Fondazione Corti: con la scienza e con l’amore fino al cuore dell’Africa
L’incontro di oggi parte da vicino e ci porta molto lontano. Dal centro di Milano ci conduce fino in Africa. Dagli anni ’50 ci accompagna fino ad oggi. E’ il sogno di un ospedale che diventa un progetto, poi una realtà, poi un’impresa da gestire con attenzione, determinazione e fatica. Tutto attraverso la spinta dell’amore e della passione, ma anche della concretezza, del duro lavoro, spesso del sacrificio, a volte dell’eroismo.
Incontriamo Dominique Corti, presidente della Fondazione Corti onlus, che ci farà scoprire una storia e una realtà assolutamente eccezionali che tutti, ma veramente tutti, dovrebbero conoscere.
La Fondazione Corti
La dottoressa Dominique Corti mi riceve in un modo accogliente e semplice. E così è l’atmosfera che si respira nella sede della Fondazione intitolata alla sua famiglia, in pieno centro a Milano. Un ufficio dall’arredo essenziale, senza fronzoli: quello che serve per il lavoro, intenso, dei volontari seduti alle scrivanie.
“Qui siamo tutti impegnati nella pura raccolta fondi, devoluti integralmente all’ospedale.”, esordisce Dominique.

Dominique Corti, per descriverla l’aggettivo che trovo più adeguato è: tostissima. Sorridente, ma anche molto competente e determinata a supportare con tutti i mezzi quanto realizzato dai suoi genitori.
Si va al punto, senza perdere tempo: mi mette subito in mano un libro realizzato nel 2019 insieme a Laura Suardi, mia cara amica e attualmente consigliere della Fondazione. Il volume contiene la corrispondenza che ha accompagnato la vita del St. Mary’s Lacor Hospital, fondato dai missionari comboniani e sviluppato dai genitori di Dominique nella regione abitata dalla popolazione acoli nell’Uganda del Nord. (Piccola precisazione: la pronuncia esatta di Lacor è Lacior e quella di acoli è acioli)

Un libro di quasi 400 pagine che raccoglie in modo organizzato un’impressionante quantità di materiale scelto fra innumerevoli lettere e persino pagine di diario prodotte da chi ha vissuto e lavorato al Lacor in un periodo compreso tra il 1960 e il 2003. Dentro ci sono le storie personali, quella dell’ospedale e quella, difficile e tormentata, dell’Uganda.
Scrivere e ricevere queste lettere è stato essenziale per comunicare col resto del mondo da questo angolo di Africa profonda, lontano da tutto. Leggere gli scambi epistolari, alcuni più ufficiali destinati alle autorità, altri di tono semplice e famigliare per parenti e amici, introduce con intensità nella vita e nello spirito che anima chi ha fatto parte della grande famiglia del Lacor. Sicuramente chi ha partecipato a questa grande avventura ha riportato da questa esperienza qualcosa di indelebile.

Proprio nel cuore dell’Africa
Tutto incomincia a Besana Brianza…
Tutto incomincia nel 1957 quando Piero Corti, sesto di dieci figli in una grande famiglia cattolica di Besana Brianza, si laurea in medicina a Pavia e si specializza in neuropsichiatria infantile, radiologia e pediatria. Un tris di tutto rispetto!
“Non era poi così sgobbone come si potrebbe pensare, piuttosto dicono che trovasse sempre qualche secchione a cui aggregarsi per studiare.”, ride Dominique.
A questo punto, Piero chiede di poter fare un’esperienza all’estero e parte per un periodo di internato in Canada, nell’importante ospedale pediatrico di Sainte Justine a Montreal.
Lì conosce Lucille Teasdale, unica allieva femmina in chirurgia pediatrica:
“Più che altro vedeva passare questa bella ragazza al volo al bar nell’intervallo: in quanto donna, lei doveva dimostrare il proprio valore lavorando molto più dei suoi colleghi maschi!
Era la migliore del corso” racconta Dominique, “e alla fine vinse una borsa di studio per lavorare all’estero; ma siccome era una donna fu respinta dagli ospedali dove aveva fatto domanda negli Stati Uniti. Allora optò per la Francia.”
Lucille manda a Piero una cartolina da Marsiglia, e lui passa a salutarla: è in partenza per l’Africa. Il fatto di avere uno zio missionario in Chad solletica da sempre la sua voglia di avventura e il suo desiderio, da medico, di prodigarsi per una buona causa.
Non sa che Lucille a dodici anni, dopo un incontro avvenuto nella sua scuola con una suora missionaria in Cina, aveva già deciso il suo futuro: laurearsi in medicina per diventare medico missionario in qualche angolo lontano della terra.
Così quando Piero le propone di andare in Uganda con lui “per un paio di mesi, solo per avviare la chirurgia pediatrica, vitto e alloggio pagati”, Lucille accetta subito.
Arrivano a Gulu, dove il vescovo sta cercando qualcuno per dirigere un piccolo ospedale missionario ancora in costruzione, il St. Mary’s Hospital. Cominciano subito a lavorare, duramente ma con entusiasmo, e Piero si impegna a trovare personalmente fondi per sviluppare questo piccolo ospedale in qualcosa di più grande e importante.
Qualcosa di più grande
L’impresa è difficile, ma esaltante per due giovani medici pieni di energie che vogliono realizzare il loro sogno. Così Piero e Lucille capiscono che questa non solo è la vita che hanno sempre desiderato, ma anche che vogliono percorrerla insieme.
“Si sono innamorati e sposati nel giro di due mesi. Il matrimonio è stato celebrato nella cappella dell’ospedale, con ricevimento nel refettorio delle suore comboniane e con le suore come uniche invitate possibili!”
Dominique Atim, la loro bambina, nasce dopo un anno. Esattamente un mese dopo la dichiarazione di indipendenza del paese nel 1962.

Atim in lingua acoli significa nata lontano da casa
Storia dell’Uganda
“L’Uganda non è mai stata una colonia, ma un protettorato inglese con un’amministrazione più leggera rispetto alle colonie. Gli unici bianchi erano missionari, andavano lì come benefattori a costruire scuole e ospedali.”, racconta Dominique “E’ un paese più piccolo dell’Italia, tagliato con il righello dalle potenze europee nell’’800, senza alcun riguardo per la sua realtà. E’ una zona di confluenza di grandi migrazioni ed è abitata da 30 popoli di ceppi completamente diversi. Alcuni si ritrovano separati fra due o tre nazioni limitrofe: Uganda, Sud Sudan e Rep. Democratrica del Congo. Questo certamente non semplifica le cose.”

La regione Acoli dove sorge il Lacor dista 400 km dalla capitale Kampala che si affaccia sul lago Vittoria.
Cinque anni dopo l’indipendenza, nel ’67, il primo ministro Milton Obote, nativo di una tribù del Nord, destituisce il kabaka (che significa re), appartenente ad una tribù del Sud e si proclama presidente; poi nel ’71 il generale Idi Amin Dada con un colpo di stato prende il potere. Ognuno di questi passaggi porta violenza e terrore: gli squadroni della morte di Amin in 8 anni uccidono 300.000 persone e quando Obote riprende il dominio nel ‘78 in 3 anni ne fa uccidere il doppio!
Tutto viene giustificato, pur di controllare il potere.

Idi Amin Dada alle Nazioni Unite nel 1975
“Tra il ’71 e l’86 nessuno andava in Uganda: erano scappati tutti. Rimanevano solo pochi missionari.”, ricorda Dominique.
“Lo stato è definitivamente fallito quando Amin, dopo un sogno a suo dire di ispirazione divina, ha cacciato tutti gli indiani, che avevano in mano il commercio nel paese. Le loro proprietà sono state distribuite ai neri: una volta finiti i soldi, tutto è andato a rotoli.”

Amin in visita ufficiale al Lacor Hospital parla col dr. Corti
“Nessuno veniva più.”, continua Dominique, “Io andavo a scuola in Kenia, per poter tornare a casa almeno ogni tre o quattro mesi; prendevo qualsiasi aereo facesse scalo in Uganda, ma erano pochissimi. Una volta una hostess mentre scendevo mi ha rincorsa dicendo: “Ma no, dove va?? Qui non si scende, questa è l’Uganda.”
Eravamo tagliati fuori dal mondo.
Nell’86 è arrivato al potere l’attuale presidente Museweni: con un governo stabilissimo, è riuscito a fermare la guerriglia e a pacificare il paese. Ha stabilito uno stato di legge: finalmente polizia e funzionari pubblici non corrotti e regolarmente pagati.”

Yoweri Museweni al potere dal 1986
“Tutto il paese ha iniziato una ripresa, tranne la nostra regione, perché gli acoli erano quelli che lui aveva cacciato per prendere il potere e allora una parte degli acoli ha cominciato una resistenza armata. Un movimento di ribelli difficilissimo da capire che ha compiuto per anni e anni atrocità indescrivibili, che si è fatto strumentalizzare dagli arabi sudanesi combattendo anche al di là del confine, nell’attuale Sud Sudan, contro il suo stesso popolo acoli e cercando di imporre leggi assurde e crudeli, come per esempio la mutilazione per chi consumava alcolici.”
Per un lungo periodo la popolazione è costretta a subire anche il rapimento di decine di migliaia di bambini, maschi e femmine, da parte dei guerriglieri per trasformarli, in due mesi di addestramento, in implacabili macchine da guerra: i bambini-soldato.
In quegli anni terribili l’ospedale, nonostante subisca saccheggi e anche un rapimento di infermiere (fortunatamente risolto), diventa l’unico punto di riferimento e protezione per la popolazione civile. Si crea un flusso costante di gente che ogni sera arriva per trascorrere la notte nel solo luogo relativamente protetto: nel 2001 si arrivano a contare 10.000 persone ogni notte! La gente si accampa ove possibile all’interno dell’ospedale, e poi sotto i cespugli nel territorio recintato che lo circonda.

I night commuters per anni hanno cercato protezione al Lacor ogni notte
In questo periodo di guerriglia e povertà estrema comincia a diffondersi un virus sconosciuto e micidiale, inizialmente definito slimming disease, risultato di un salto di specie da uno scimpanzé: ha origine proprio in questa zona dell’Africa e tutto il mondo lo conoscerà in seguito come HIV/AIDS.
Il contagio avviene attraverso un contatto di sangue, per questo Lucille rimane infettata nel 1979, nel corso degli infiniti interventi chirurgici che effettua per salvare i civili e i combattenti vittime della guerriglia. In quel momento non esistono cure, ma Lucille convivrà col virus ancora fino al 1996, continuando eroicamente ad operare e a salvare vite fino all’ultimo.

L’impegno e il valore di Lucille Teasdale come medico sono stati molte volte riconosciuti con importanti premi internazionali

Lucille e Piero alla consegna del prestigiosissimo Sasakawa Health Prize dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1986 presso la sala delle Assemblee delle Nazioni Unite

Alla fine del 1998 anche Madeleine Albright, Segretaria di Stato nella seconda amministrazione Clinton, si recherà al Lacor portando aiuti e dedicando la sua visita a Lucille

Sulla scia dell’emozione per la scomparsa di Lucille, poco dopo anche Christiane Amanpour, la famosissima corrispondente internazionale della CNN, arriverà al Lacor per realizzare un’intervista che sarà trasmessa in prime time
Un’emergenza continua
Per nessuno è facile continuare senza la fondamentale presenza di Lucille, ma allo scoccare del nuovo millennio, ancora in piena guerra civile, il Lacor è ormai una realtà consolidata e di dimensioni veramente importanti. Oltre ad avere una serie di successivi ampliamenti con nuovi reparti costruiti gradualmente nel tempo, è anche sede di una quotata scuola per infermiere e di un polo universitario che prepara medici ugandesi tirocinanti per poi mandarli all’estero per la specializzazione. Questo perché uno degli obiettivi più importanti, fin dall’inizio, è stata la creazione di una classe medica e infermieristica costituita integralmente dalla popolazione locale.

Un’immagine suggestiva del personale del Lacor
Braccio destro dei coniugi Corti è un brillantissimo giovane medico ugandese, il dr. Matthew Lukwiya, specializzato in Italia e in Inghilterra, già destinato a prendere le redini dell’ospedale quando sarà il momento.
Ma un’altra sconvolgente emergenza è già in agguato: scoppia all’improvviso in tutta la sua violenza una terribile epidemia di ebola, una febbre emorragica dagli effetti devastanti che ha origine in questa regione. Viene presentata dalla stampa di tutto il mondo come la peste del 2000 perché colpisce in tempi brevissimi e non lascia scampo nel 50% dei casi. Il Lacor è ora sotto i riflettori dei media di tutto il mondo e in pochi tragici mesi vede morire, insieme a tanti pazienti, anche infermieri e collaboratori che si sono prodigati, a rischio della loro stessa vita, per non abbandonare i malati.
Alla fine il virus si porterà via anche il dr. Lukwiya, per tutti l’amato dr. Matthew, proprio lui che aveva già gestito con abilità e coraggio altre gravi crisi epidemiche, come quella di colera e di meningite, e che si era distinto trattando con i ribelli per la liberazione delle infermiere rapite, rimanendo rapito a sua volta per un periodo; proprio lui che per primo aveva segnalato all’OMS questa gravissima emergenza sanitaria, trasmettendo al resto del mondo dati fondamentali per la conoscenza del virus ebola, sperimentando e combattendo in prima linea nel soccorso dei malati fino alla fine.

Il dr. Matthew, salutato come un eroe, come da suo desiderio è sepolto al Lacor Hospital, di fianco alla dr. Lucille
Combattere insieme
Duramente colpito in questi anni complicati e tragici, il dr. Corti continua coraggiosamente la sua battaglia, oltre che sul fronte medico e organizzativo, anche su quello del reperimento dei fondi, come ha sempre fatto. La sua è una filosofia molto pragmatica, il suo motto è un andare al sodo che possiamo definire molto Brianza style:
“Ottenere le migliori cure possibili per il maggior numero di persone possibili e al minor costo.”
Nel frattempo Dominique, laureata in medicina e attiva al Lacor insieme al personale che ormai è integralmente ugandese, si rende conto che a questo punto l’urgenza principale non è trovare nuovi medici, ma reperire i fondi necessari perché l’ospedale continui la sua attività quotidiana. Da allora decide di dedicarsi anima e corpo a questo obiettivo.
Le due Fondazioni presiedute da lei, una a Milano e l’altra a Montreal, sono nate proprio per questo.
“La maggioranza delle morti avvengono per malattie prevenibili e curabili a basso costo. Soprattutto i bambini restano vittime di malaria, malnutrizione, diarrea, polmonite. Un paziente può essere salvato con 10/20 euro. I nostri progetti più importanti sono questi, perché ci consentono di salvare tantissime persone.”
“Sono malattie che nei paesi occidentali sono considerate da poco ed è più difficile convincere le persone a donare per questo, anziché per progetti sanitari più sofisticati e avanzati.
Alla base c’è l’idea di finanziare le spese correnti: in Uganda non si può fare affidamento sul contributo statale, perché la maggior parte della popolazione è poverissima e non consente un gettito fiscale regolare. Quindi i soldi devono arrivare da fuori per poter garantire cure a chi non può permettersele, cioè la grandissima maggioranza delle persone.
Anche i medici ugandesi, molti dei quali si specializzano all’estero, conoscono e chiedono strumenti tecnologici avanzati. Ma in medicina nessuno ti insegna che l’altra faccia delle cure che pratichi sono gli altissimi costi.
Il nostro è un ospedale non profit. Noi del Lacor ci reggiamo con le donazioni dall’estero per il 70% e più. Il 90% dei nostri pazienti è veramente molto povero. Vogliamo evitare che siano costretti a vendere la casa per farsi curare.
Durante la crisi del Covid per essere ammessi in terapia intensiva alcune case di cura della capitale chiedevano al giorno il corrispondente di tre anni di stipendio! Molti malati sono morti perché non potevano pagarsi le cure, molti altri sono stati risparmiati dal Covid solo perchè l’età media in Uganda è di 15,5 anni : è il paese più giovane del mondo.
In generale questi costi sanitari sono la prima causa di indebitamento e caduta in povertà delle famiglie. Al Lacor cerchiamo di interrompere il circolo vizioso per cui la malattia è causata dalla povertà ed è lei stessa causa di povertà.”

“Al Lacor abbiamo l’unica Unità Intensiva di tutto il Nord del paese, ma sono solo 10 letti. Per il resto, durante il Covid si doveva andare a Kampala a prendere le bombole di ossigeno. 400 km più a Sud.”
Il clima è cambiato
“L’attività principale per la maggior parte della popolazione è un’agricoltura di sussistenza. Zappare i campi a mano non è mai stato facile, ma almeno una volta il clima era regolare come un orologio svizzero. L’Uganda è così: è un altopiano africano, piatto, sull’Equatore. Di regola non fa mai né caldo né freddo. C’è sempre stato un clima prevedibile: da Natale partiva una lunga stagione secca, poi una lunga stagione delle piogge, poi una piccola stagione secca e un’altra piccola stagione delle piogge. Due raccolti all’anno.
Col cambiamento climatico oggi è tutto diverso. Piogge erratiche e irregolari, siccità: raccolti persi. Poi allagamenti improvvisi: raccolti persi.
Non ci sono sistemi di irrigazione o sistemi meccanici di coltivazione. Non c’è altro. Così si scivola facilmente nella carestia e nella fame. E la colpa non è certo degli ugandesi…”

Con questo documento la Fondazione Corti spiega la situazione dello sfruttamento dell’Africa da parte dei paesi stranieri. Per leggerlo clicca qui
Il Lacor oggi
Sono ormai 20 anni che anche Piero non c’è più, dopo una vita intera dedicata al suo ospedale. Ma il suo sogno continua a realizzarsi ogni giorno: si curano 200.000 pazienti all’anno. Numeri da Policlinico.
Al Lacor lavorano 700 dipendenti ugandesi: un impiego prezioso in una zona dove non più del 20% della popolazione ha un impiego formale.
“I nostri infermieri sono anche agricoltori, ma col salario dell’ospedale possono pagarsi vestiti, sapone, zucchero, sale e le scuole dei figli. Il salario fa la differenza!
Per questo chiediamo contributi per sostenere le spese correnti dell’ospedale. E’ più importante raccogliere denaro da destinare dove serve, anche una piccola donazione regolare, piuttosto che ricevere un apparecchio medicale, sia pure usato, che però va spedito a nostre spese, va installato, protetto dagli sbalzi di tensione e dalla polvere, inserito in un ambiente condizionato e soprattutto manutenuto: tutte cose che laggiù sono praticamente incompatibili con la realtà dell’ospedale.
Noi inviamo denaro, quello che serve di più, ma naturalmente in cambio facciamo regolarmente controlli rigorosissimi sul suo utilizzo e sul bilancio dell’ospedale.”
Le buone regole per donare in beneficenza
Dal nostro punto di vista, ad oggi il panorama di buone cause a cui destinare offerte è infinito; non è facile capire se una causa è buona davvero e assicurarci che i nostri soldi arriveranno dove devono arrivare. Chiedo a Dominique che cosa dobbiamo valutare quando decidiamo di donare una somma in beneficenza.
“Prima di tutto bisogna controllare se l’organizzazione a cui si vuole donare è registrata. Si va a vedere il sito. C’è uno statuto? Ci sono i bilanci? E’ obbligatorio per legge. Noi ci stiamo iscrivendo al Registro Unico del Terzo Settore che serve proprio a verificare e certificare ufficialmente chi sei e che cosa fai, con revisori legali dei conti e del bilancio sociale.”
Dominique continua con grande determinazione:
“Contano i fatti. Non facciamo pubblicità per sogni futuri, ma per quello che già facciamo da 60 anni.
Ad oggi non puoi più pensare di realizzare un ospedale in Africa senza mettere in conto di destinargli delle risorse per i prossimi 50 anni.
Per noi è la massa quotidiana del lavoro che conta. I nostri finanziatori sono imprese o persone che controllano e capiscono la quantità impressionante di cose che riusciamo a realizzare con quello che ci viene dato. Solo così possono verificare l’importanza di quello che anche loro fanno per noi con le loro donazioni.
La storia dell’ospedale e la sua realtà di oggi è la garanzia che possiamo dare.”
Video: https://www.youtube.com/watch?v=bPR05nkxXbQE
Testo: Silvia Castiglioni
Foto: Mauro Fermariello, Fondazione Corti ETS, Wikipedia. La bambina nell’immagine sopra il titolo è Dominique da piccola con la sua tata acholi.
Per chi vuole saperne di più:
Fondazione Corti: https://fondazionecorti.it/
“Un sogno per la vita” la biografia ufficiale di Piero e Lucille, scritta da Michel Arsenault
“Ritorno al Lacor” con le splendide immagini di Mauro Fermariello
“Lucille degli Acholi”, una graphic novel a fumetti rivolta ai più giovani e non solo, che recentemente ha ottenuto il Premio Orbit