Quando la grande boxe passeggiava sui Navigli
Quando la grande boxe passeggiava sui Navigli! Il nostro incontro di oggi ci trasporta in un mondo che non esiste quasi più, ma che è stato per molti decenni una realtà sportiva molto viva nella nostra città, oltre che sullo scenario mondiale: Luca Parasecoli ci accompagna nell’universo della boxe e dei suoi grandi protagonisti, milanesi e non solo.
Passione
Solo una passione smisurata può farti snocciolare per due ore nomi, dati, fatti, avvenimenti accaduti nel corso di un secolo in un determinato ambito. Se ci fosse ancora qualche trasmissione a quiz modello Rischiatutto, Luca Parasecoli potrebbe partecipare, sicuro di vincere. Materia: il Pugilato di tutti i tempi. Mentre ti racconta match e protagonisti, non resiste a non dirti di ognuno il soprannome, il luogo di nascita, l’origine della famiglia, i titoli vinti, gli incontri, le date, le sconfitte, le vittorie (di cui per KO…). Un vero super appassionato.
Anche se le vicende della vita non l’hanno mai condotto ad essere pugile professionista, possiamo dire che Parasecoli la boxe ce l’ha nel sangue da sempre. Sicuramente da quando, alle elementari, consegnò alla sua amata maestra Giuliana il disegno che rappresentava una scena del suo sport preferito: un ring in cui Nino Larocca metteva KO un avversario.

Nino La Rocca, maliano naturalizzato italiano, campione europeo dei pesi welter nel 1989
Siamo negli anni ’80 a Cinisello Balsamo. Infanzia e adolescenza passate a cercare di difendersi dai bulli. Luca ci racconta:
“Adesso finalmente se ne parla e si mette sotto accusa il fenomeno, ma il bullismo c’è sempre stato. Nelle case popolari c’era tanta brava gente, ma anche quelli che bravi non erano. Certi ragazzi terrorizzavano anche gli adulti. C’era poco da scherzare. La mia famiglia era molto credente e praticante e io sono cresciuto in oratorio, un ambiente considerato un po’ più protetto, ma ogni tanto venivano anche lì a rompere le scatole…
Tante volte capitava di essere malmenati. Gruppetti che ti fermavano e facevano il bello e il cattivo tempo. Era una problematica molto diffusa, soprattutto nell’hinterland a nord di Milano come Novate o Quarto Oggiaro, ma anche Bicocca, Barona, Stadera.
La chiamavano la scuola della strada.
Questo senso di ingiustizia me lo sono portato dentro e anche per questo mi sono interessato al pugilato: prima di tutto è stato un modo per imparare a difendermi.
All’inizio non pensavo di combattere sul ring in un match vero e proprio; ma ero portato. Il mio maestro della Rocky Marciano, una palestra molto conosciuta a Cinisello, mi ha spinto a provare.”

Il grande Rocky Marciano (Rocco Francis Marchigiano) a cui si intitola la palestra. Si ritirò imbattuto nel 1956: 49 match, 49 vittorie (43 per KO)
Il primo match
Luca ricorda il suo primo match da dilettante a 20 anni nel ’94, dopo il militare:
“Mi ero infortunato al polso allenandomi col sacco. Mi avevano detto che avrei dovuto incontrare un principiante come me. Invece la sera del match vedo sul tabellone: “Parasecoli – Roncaglia”, un pugile da prendere con grande cautela, che proveniva dalla famosa palestra storica Doria di via Mascagni del maestro Tazzi, allenatore di Rocky Mattioli! Non mi avevano detto niente. Ormai era troppo tardi per trovare un altro. Sono salito sul ring che sembravo una molla. Avevo una carta in più: un pizzico di paura spesso è provvidenziale.
La paura è utile perché ti fa stare attento, concentrato. Però non devi lasciare che ti bruci, devi usarla come un fuoco che ti scalda. Perché il colpo della domenica arriva sempre nel pugilato: è quello che non ti aspetti, quello che non vedi arrivare. Può dartelo anche un brocco. Così, a mani basse, alla cieca. Se ha un ferro da stiro nelle mani e ti prende, vai a terra come un cocomero. Non ci sono santi, né madonne.
Sul ring bisogna muoversi come un tergicristallo, schivavo i colpi così e poi subito replicavo . Il mio maestro era impressionato, guardava gli spettatori e sorrideva… Poi per la stanchezza ho commesso due scorrettezze e alla fine abbiamo chiuso in parità.”

Luca Parasecoli in una foto ufficiale scattata in quel periodo
“Il video del match l’ha girato Cammarelle, mio compagno di palestra, olimpionico nei supermassimi: bronzo ad Atene, oro a Pechino e argento a Londra. A quattordici anni era già alto 1,92 per 100 kg…”

Roberto Cammarelle.
“Poi per un periodo mi sono allenato a Ferrara, alla Pugilistica Padana Vigor, fondata dallo storico maestro Strozzi, allenatore di Carlos Duran e dei suoi figli. Lì si allenavano molti professionisti per i mondiali: Sanavia, Cherchi, Gelli, Zoff, Pizzamiglio, i fratelli Casamonica e i fratelli Branco. Al mio angolo c’era l’ex iridato dei massimi Momo (Massimiliano) Duran.”

Luca ai Campionati Italiani del ’99 con Momo Duran all’angolo

Carlo Duran, argentino naturalizzato italiano, campione europeo dei pesi medi e superwelter negli anni ’60/’70. Qui coi figli Alessandro e Massimiliano, anche loro in seguito celebri boxeur.
L’incontro con Vailati, il pugile pittore
Un giorno passeggiando sui Navigli Luca è colpito da un quadro che rappresenta un pugile, esposto fuori da un laboratorio di pittura. Butta l’occhio all’interno e vede l’artista col suo camice da pittore e con un inconfondibile naso schiacchiato. E’ Attilio Vailati, pittore della Vecchia Milano, ma soprattutto famoso campione milanese attivo negli anni ’40!

Attilio Vailati all’opera nel suo studio in Alzaia Naviglio Grande
Nasce subito un’amicizia, anzi Vailati diventerà per Luca quello che lui definisce un “nonno adottivo”, sempre prodigo di consigli e di racconti.
Come quella sera che in tempo di guerra, da neo professionista, Attilio doveva andare a Gorla a combattere nella palestra della scuola elementare Francesco Crispi. Invece proprio quel giorno, il 20 ottobre 1944, la scuola fu bombardata. La strage di Gorla: una delle pagine più nere nella storia di Milano, in cui morirono 184 bambini, 14 insegnanti, la direttrice e 5 membri del personale scolastico. La follia della guerra, un momento che ancora oggi i milanesi ricordano con orrore.

Anche Adriano Celentano frequentava le elementari alla Francesco Crispi di Gorla. Andava lì partendo da via Gluck, “là dove c’era l’erba ora c’è… una città”. Il destino volle che quel giorno non andasse a scuola perchè era malato.
Luca ricorda con nostalgia: “Andavo spesso a trovare Attilio in bottega, mi preparava il caffè con la moka e mi raccontava. Mi faceva vedere le mani col marchio del pugile: il metacarpo ingrossato. Mani da ottantenne, con ancora qualche cicatrice visibile.”
E proprio a una stretta di mano è legata un’altra delle storie di Attilio.
Negli anni ’40 assistette a un suo match a Roma anche il famoso mafioso italoamericano Lucky Luciano, che era stato scarcerato negli Stati Uniti purché venisse in Italia ad usare la sua influenza per facilitare l’attracco delle navi americane durante lo sbarco in Sicilia.
Finito l’incontro Lucky Luciano, colpito dalla combattività di questo giovane peso leggero milanese, volle stringergli la mano, ancora bendata per l’incontro. Poco dopo Vailati si rese conto che, a titolo di mancia, Luciano gli aveva fatto scivolare in mano una banconota da 10.000 lire, una cifra favolosa per l’epoca!

Il quadro del pugile dipinto da Vailati rappresentava Jake LaMotta, italoamericano campione dei medi dal ’49 al ’51, che incontrò Tiberio Mitri nel 1950 al Madison Square Garden di New York. In questa foto curiosa LaMotta è ritratto con sua moglie Vicky, Miss America, e la moglie di Mitri, Fulvia Franco, Miss Italia. Un fenomeno che precedeva di alcuni decenni il cliché “veline e calciatori”…
Un evento memorabile
A causa di vari stop dovuti a infortuni e a impegni di lavoro, Luca piano piano rallenta la sua attività nel pugilato, ma rimane comunque nell’ambiente e nel 2001 partecipa ad un pranzo storico organizzato al Tennis Club Jolly Milano di Novate da Sandro Lopopolo, protagonista iconico della boxe, olimpionico d’argento a Roma nel ’60 e campione mondiale dei superleggeri.
Si vuole festeggiare l’approvazione in Parlamento delle norme che regolano la pensione per i pugili professionisti, ottenute anche grazie agli sforzi di Nino Benvenuti, il popolare campione olimpionico e mondiale dei pesi medi e superwelter negli anni ‘60.
A Luca sembra di sognare. Insieme a lui intorno al tavolo siedono dei grandi della boxe: Marvin Hagler con la moglie, Lopopolo, Rocky Mattioli, Giancarlo Garbelli e Carmelo Bossi.
Si commuove alle lacrime ricordando Carmelo Bossi, ex campione mondiale, ormai in una condizione fisica molto compromessa per una grave malattia neurodegenerativa:
“Un’immagine tristissima: che sofferenza. Purtroppo il pugilato è così, può dare anche queste gravi conseguenze dopo anni di combattimenti.”
E’ anche per questo che non viene più molto coltivato dai giovani in Italia?
“Il pugilato è uno sport che cresce nel giardino dei poveri. Si dice che i pugni fanno male, specialmente quando li prendi. Devi fare una vita durissima: allenamenti estenuanti tutti i giorni. Ti alleni così per mesi e poi magari perdi perché quello che hai davanti è più forte di te.
E’ una selezione naturale: più sali e più trovi sulla tua strada russi, panamensi, cubani, messicani, argentini che vengono su dalla fame.
Io avevo buone qualità, ma sono contento di quello che ho fatto come dilettante: ho fatto i miei match, mi sono tolto le mie soddisfazioni.”
Certo, non tutti diventano campioni del mondo: è normale.
“Se lo vuoi, lo diventi. Ma a volte il prezzo da pagare è molto alto.”

Luca il giorno dell’evento. Tra il mitico Marvin Hagler (a destra) e un collega boxeur del Ghana
L’incontro con Giancarlo Garbelli
In occasione di questo pranzo storico, Luca fa amicizia con Giancarlo Garbelli, un altro pugile milanese tra i più popolari negli anni ‘50/’60.

Giancarlo Garbelli in un’immagine del ’57, con una dedica speciale per Luca Parasecoli
Luca lo descrive così: “E’ stato il pugile più forte che l’Italia abbia avuto. Era imbattibile quando a Milano il tempio della boxe era il Teatro Nazionale. Ma era genio e sregolatezza. Gianni Brera lo definiva il Fighter d’Italia perché aveva un modo di boxare spavaldo, a mani basse, imprevedibile. Diceva che, per dare un colpo come voleva lui, era disposto a prenderne tre. Ma il suo pugno era speciale, solo lui lo sapeva dare. Era un picchiatore: lavorava al corpo, al fegato.
Quando andavo a trovarlo a casa sua mi spiegava che trattamento riservava ai pugili che lo provocavano e lo sfidavano prima del match. Diceva: “Ridi, ridi, tanto dovrai passare sotto i miei colpi…”
“L’avevo visto per la prima volta ai Campionati Italiani Assoluti nel ’94. Era già anziano e con una barba molto fluente. Quando lo speaker disse “Salutiamo un grande campione del passato, Giancarlo Garbelli”, tutto il Palasesto si alzò in piedi. Lui aveva un impermeabile bianco, alla Humphrey Bogart, e un cappello da pittore, sembrava Monet. Si è alzato lentamente, solenne, con uno sguardo umile e pieno di rispetto.
Se lo avessi conosciuto prima forse non avrei smesso con la boxe, chissà…
Aveva il dono della parola: ti diceva cose che tu hai già in te, ma non te ne rendi conto. Giancarlo era psicologo, senza aver conseguito la laurea. Per istinto. Perché aveva vissuto e sofferto e il pugilato è scuola di vita. Dopo due secondi ti inquadrava e capiva che persona eri. Aveva un’intelligenza e una sensibilità naturali: mi ha insegnato tante cose.
Mi diceva: “Sul ring devi temere i buoni, i gradassi non valgono niente. Il vero pugile rimane umile e dolce anche dopo aver boxato per 12 riprese: non ha il divismo che puoi trovare in un calciatore. Anche il ciclista è così: dove c’è la sofferenza, c’è l’umiltà.”
I veri sportivi non se la tirano. Il calciatore in difficoltà passa il pallone. Nella boxe si dice “Fuori i secondi!” e tu resti solo sul ring. Sono cavoli tuoi. La nobile arte è questa.”

Garbelli con la figlia Gianna nel giorno del suo 81° compleanno
Un giorno andai a prenderlo a Inverigo, dove abitava, e andammo a trovare il Vailati.
Quando ci incontravamo, Garbelli mi prendeva a braccetto e lo portavo in giro per Milano. Le donne come lo guardavano!”
Sarà stata la sua barba bianca?
“No, era tutto carisma. Un’aura speciale.”
Perché non hanno sfruttato di più le sue doti di pugile?
“Non era molto gestibile. Un ribelle che sfidava tutti: “Sul ring salgo io, non tu. So io quello che devo fare, non tu che stai lì sotto a guardarmi.” Ma comunque quando il titolo mondiale era uno solo (e non come adesso che ci sono 5 sigle diverse!), Garbelli è arrivato al 3° posto al mondo dopo Sugar Ray Robinson e Carmen Basilio. Infiammava le folle: vederlo era uno spettacolo.”

La cintura “ad honorem” assegnata a Garbelli dal Comitato Mondiale del pugilato. Con la sua foto, ci sono anche quelle di Muhammad Ali, di Joe Louis e del presidente WBC Josè Sulaiman
“Guadagnava più dei campioni del mondo.
Era arrivato a prendere cifre da capogiro, un milione a match, per poi magari spendere o regalare tutto senza fare una piega. E’ stata una delle persone più divertenti, leali e generose che abbia mai conosciuto. Mi diceva: “Appena hai dei soldi usali per aiutare, dai tutto a chi ha bisogno.” Non a caso era nato il 4 ottobre, giorno di San Francesco…”
Era molto popolare: Enzo Biagi lo intervistò alla tv in una sorta di “bilancio” della sua vita.
In sei intensissimi minuti, tanto dura questa intervista, emerge la sua dimensione di eroe solo, la sua profondità, la grandezza disarmante della sua umiltà e del suo distacco dai falsi miti.
Vogliamo ricordare tutta la forza di queste sue frasi, una forza disperata che ammanta di una dimensione eroica questo personaggio così particolare:
“Gli eroi muoiono. Avrei voluto morire sul ring: è troppo bello misurarsi con sé stessi. Vittoria o sconfitta non contano: è misurarsi che conta. Misurarsi con la sofferenza. Tu non batti nessuno, tu batti i tuoi limiti. La sofferenza diventa forza, il male diventa un bene se ti fa sentire vivo. La vita è un’avventura. Fai quello che vuoi, basta che ti rispetti.”
Il pugilato al cinema
Dice Luca: “Pugili si nasce. Devi avere l’attitudine a soffrire, l’intelligenza, la forza fisica, il coraggio sul ring. E’ un coraggio particolare: ti misuri con chi è come te.
Ogni pugile ha la sua storia di sofferenza, anche i grandi campioni. Perché il pugilato non è solo uno sport, è un dramma.”
Tantissime storie. E non è un caso se il pugilato è lo sport che ha più ispirato il cinema. Anche questo fa parte della sua magia.

Robert De Niro con Jake La Motta sul set di Toro Scatenato, film cult di Martin Scorsese tratto dall’autobiografia di LaMotta. Per interpretarlo, Robert De Niro dovette ingrassare di 20 kg!

Il Colosso d’Argilla, realizzato da Mark Robson nel ’56, un film storico sui rapporti tra pugilato e malavita. Racconta la drammatica vita di Primo Carnera, gigantesco campione che nacque in Friuli nel 1906 e si trasferì negli Stati Uniti. Fu soprannominato “La montagna che cammina”.

Paul Newman e Anna Maria Pierangeli sono i grandi interpreti di “Lassù qualcuno mi ama”, del ’56, che narra la storia di Rocky Graziano, celeberrimo campione degli anni ’40

Il “pugile cinematografico” più popolare al mondo. Sylvester Stallone ha interpretato il personaggio di Rocky Balboa in 6 famosissimi film girati tra il 1976 e il 2006!
Ringraziamo Luca Parasecoli per averci voluto regalare quelli che definisce i suoi “racconti antichi sui veri pugili di una volta; quelli che oggi non ci sono più”.
Sono racconti di tempi passati che, in tutta la loro drammaticità, riescono a farci sentire un’emozione, potremmo forse definirla un epico profumo di gloria…

Un grazie anche a Tino Mugni, il nostro consulente speciale di…”cinematografia pugilistica”.
Testo: Silvia Castiglioni
La foto di copertina rappresenta Giancarlo Garbelli, a destra, con Mario D’Agata, campione mondiale dei pesi gallo tra il ’56 e il ’57, soprannominato il piccolo Marciano
Foto: Gianna Garbelli, gazzetta.it, rete8, Luca Parasecoli, Scott Heavey Getty Images, You Tube, stonemusic, blastingnews, ciak club, comingsoon, spietati, Hynerd, Silvia Castiglioni