Dal Grecchi “l’ofelée el fa el so mestée” (“Il pasticcere fa il suo mestiere”, proverbio milanese)
La storia che sforniamo oggi è calda e fragrante come una bella fetta di panettone. Prima ci fa tornare indietro nel tempo, come una micro Ricerca del Tempo Perduto in salsa milanese, per gustare l’atmosfera di un quartiere di una volta (quello che era l’antico “Borgo degli Ortolani”, una specie di paese coi suoi personaggi e i suoi riti), e poi ci porta all’oggi, come è giusto che sia, e alla realtà di una professione più che mai up to date e sulla cresta dell’onda anche sui social e nei programmi televisivi.
Incontriamo Antonio Grecchi, grande chef pasticcere, titolare della pasticceria Grecchi, Bottega Storica di via Piero della Francesca, da 60 anni riferimento irrinunciabile per i golosi di Milano e provincia.
Un piccolo inciso per spiegare il titolo. Il proverbio milanese è “Ogni ofelé el fa el so mestée” e si riferisce al fatto che ognuno dovrebbe “lasciar fare, o dire, una cosa a chi se ne intende davvero, a chi lo fa di mestiere.” Ofelée, che si legge ufelée, significa pasticcere.

La targa di Bottega Storica, attribuita ufficialmente dal Comune di Milano
Un’attività familiare
Parlare del Grecchi per me è un po’ come parlare di qualcuno di famiglia perché questo negozio, aperto nel 1959, con le sue torte, i suoi panettoni, le sue colombe e i suoi pasticcini ha partecipato idealmente a tutti i nostri eventi familiari, Natali, Pasque, compleanni e festeggiamenti di ogni genere. Naturalmente era ed è così non solo per noi, ma per tantissime famiglie del quartiere. Una vera istituzione.
Ricordare il negozio prima del suo ampliamento, avvenuto negli anni ’80, mi fa tornare alla Piero della Francesca degli anni ’60 e ‘70, quando la mia mamma mi prendeva per mano e mi portava con lei a fare la spesa nei vari negozi.

Per chi non lo sapesse, via Piero della Francesca è il risvolto commerciale e colorato del più “istituzionale” e storico Corso Sempione, che scorre in parallelo. Coerentemente, mentre il corso va a sfociare attraverso il napoleonico Arco della Pace nel nobile Parco Sempione, la via Piero della Francesca, in cui ancora oggi è presente qualche ca’ de ringhéra, si va a tuffare, in fondo, nell’allegra atmosfera della zona che oggi è diventata Chinatown.

La Ca Lunga, la più famosa delle (poche) case di ringhiera ancora esistenti in via Piero della Francesca
La mia mamma era nata in questa via e, simpatica e sorridente com’era, era sempre in ottimi rapporti con tutti e per tutti aveva una bonaria battutina in meneghino. Così, sull’onda del buonumore, la spesa diventava un happening quotidiano e gli esercenti, che servivano volentieri la sciura Pinuccia, avevano sempre uno sguardo affettuoso anche per me che ero la sua picinìna.
Il tour comprendeva, di volta in volta, el macelàr (el Carlo), el cervelée (el Pietro, il salumiere), la fundeghéra (la sciura Camilla, la droghiera), la prestinéra (la Luisa, la panettiera), l’urtulàn (el Benito), el pesàtt (il pescivendolo – il venerdì tutti in coda!) e una breve sosta alla torrefazione Mexico per un cafferino al volo.
Quando entrava in ballo l’ufelée, el Grecchi, la cosa si faceva interessante perché bolliva in pentola qualche progetto festaiolo. Erano sempre occasioni liete.
Proprio ricordando la sua nonna, frizzante e minuta, alla cassa del negozio e il suo papà Luigi che si affacciava dal laboratorio col grembiule bianco, inizia la nostra chiacchierata con Antonio Grecchi, che continua nella tradizione dell’alta pasticceria della sua famiglia, e che, per inciso, la mia mamma ha sempre definito un bel fiulèt.

Abbassare la mascherina solo per scattare un selfie con lo chef e farsi travolgere dagli effluvi celestiali che aleggiano in negozio. Dalla mia espressione si capisce bene!
Figlio d’arte…
Verso la fine degli anni ’80 Antonio, dopo il militare, inizia a frequentare una scuola professionale di pasticceria e contemporaneamente lavora sotto la supervisione del suo papà.
“Che fortuna essere un figlio d’arte!”, dico io.
“Coosa?? Mio papà aveva un carattere forte e in più era un perfezionista. Ogni cosa, anche se fatta benino, per lui era un disastro! Non ti dico i complimenti che mi faceva! Me ne diceva di tutti i colori. Accontentarlo era praticamente impossibile.”
Effettivamente il signor Luigi ti sparava in faccia il suo sorriso a 32 denti e ti faceva fare quello che voleva lui. Ricordo che più di una volta, di fronte alla mia richiesta di pagare col bancomat, sempre sorridendo e sventolandomi lo scontrino sotto il naso, mi ha spedita a prelevare i contanti alla banca dietro l’angolo, con l’aria di uno che ti offre una gita al mare.
“In negozio non c’è il bancomat, gioia.” – grande sorriso. Naturalmente il bancomat c’era, ma lui, mago in laboratorio, non era ancora tanto avvezzo a queste innovazioni tecnologiche e non aveva voglia di tribolare con la diabolica macchinetta…

Ecco qui il signor Luigi con sua moglie e gli adorati nipotini
Antonio racconta: “Già all’età di 7 anni con mia sorella davo una mano in bottega la domenica mattina. Adesso sarebbe impossibile, ma una volta i figli dei bottegai e degli artigiani, se volevano, potevano andare ad aiutare. Anzi, svolgere lavori anche piccoli era motivo di orgoglio: ognuno faceva la sua parte in famiglia.”
Lo spirito di squadra nasceva così.
“Diciamo che comunque mio padre mi ha insegnato tutto e mi ha trasmesso le basi perché la nostra attività potesse avere una storia e resistere nel tempo. Poche regole chiare: fare le cose con la massima cura del dettaglio, usare materia prima di assoluta qualità e offrire sempre roba freschissima. Prodotti sempre giusti e perfetti.”
E dici poco…
“E naturalmente igiene assoluta in laboratorio e in negozio. Quando entra un cliente non deve vedere nemmeno un granellino di zucchero del cliente precedente. Regole semplici, ma fondamentali.”
Diciamo che, a quanto pare, il perfezionismo è passato di padre in figlio…

Le torte appena sfornate allineate in vetrina
Ricordo che una volta nel quartiere c’era l’indissolubile binomio domenicale Messa – Grecchi, nel senso che all’uscita dalla Messa tutti si catapultavano in massa a comprare i pasticcini. Sembrava una specie di comandamento supplettivo, quasi che, se non fossero andati, si sarebbero dovuti confessare la domenica dopo, ahahah!
“E’ ancora un po’ così”, dice Antonio, “ma fortunatamente il lavoro non è più concentrato solo nel week end. C’è un flusso continuo dal martedì alla domenica. Un’attività per funzionare bene ha bisogno di continuità. Se no, l’è un disaster.”
Una bottega con laboratorio annesso
“Siamo regolarmente in 6 a lavorare: 2 signore al banco più mio figlio Andrea e mia moglie Daniela alle confezioni; in laboratorio con me, Elisa e Gianni e poi ci sono degli stagisti.
Collaboriamo con un paio di scuole che ce li mandano: a noi piace insegnare. Però devono essere svegli e ricettivi perché nel nostro laboratorio gli spazi sono stretti. Lavoriamo su 3 tavoli. Non si può sporcare in giro o creare disordine.
Nel suo piccolo, il laboratorio è una specie di sala operatoria. Se non stai più che attento, ci vuole un niente per mettere in disordine. E poi se ti serve qualcosa ci metti un’ora a trovarla.”

Elisa al lavoro con le basi di croccante
Per analogia, mi fa pensare alla difficile convivenza in barca: bisogna essere ordinatissimi, pulitissimi e andare d’accordo.
“Esatto. Sono le basi per lavorare bene in squadra.
Delle tante pasticcerie nel centro di Milano, ormai pochissime hanno il laboratorio annesso. In genere oggi quasi tutti hanno dei distaccamenti fuori città che gli consegnano la merce: sono praticamente delle rivendite. Molti usano prodotti congelati, che scongelano per la vendita. Tengono scorte.
Noi invece sforniamo e mettiamo direttamente in vetrina o nel banco. Tutti possono vederci lavorare attraverso il vetro. Non facciamo scorte perché ci piace far sentire il profumo ai nostri clienti.”

Ecco le crostatine!
E infatti l’effetto è irresistibile: ieri sono entrata per un’informazione e… taac, sono uscita col pacchettino. E ti pareva…

Appena a casa, diciamo che la merenda si prepara da sola. Mentre gli altri guardano la partita…

Ops, non ci si può allontanare un attimo! Non proprio tutti guardano la partita…
“Nei negozi di una volta, salumai, panettieri, ti entusiasmavi per il profumo.”, continua Antonio. “Oggi è difficile che capiti, i sapori sono meno marcati. Nei supermercati trovi prodotti di qualità accettabile, gran “vie di mezzo”. L’eccellenza è difficile da trovare.”
“Ho visto che tuo figlio lavora al banco. La dinastia continua?”
“Per adesso è con noi, in attesa che capisca davvero qual è la sua strada, e nel frattempo ci dà un valido aiuto. Si impegna molto e questo fa davvero piacere. Sicuramente qui con noi fa esperienza. Una volta si chiamava “l’università della strada”: gestire le telefonate e gli ordini, parlare col cliente, raccontare i dettagli di ogni cosa, entrare in empatia con le persone per capire davvero le loro esigenze. Alla fine diventi un po’ uno psicologo, e spesso ti accorgi di non sbagliare alla prima impressione. Quello che impari con la pratica è una grande “scuola”. Gli sarà utile per qualsiasi strada vorrà intraprendere.”
Sacrifici
Ma un’attività di famiglia così ben avviata, perché non continuarla?
“Non è un’attività facile: devi trovare i collaboratori giusti che riescono a capire che cosa ti aspetti da loro. Il dettaglio è fondamentale, non solo esteticamente, bisogna conoscere la materia prima e tutte le lavorazioni, ogni passaggio non va fatto a caso.
La concentrazione deve essere continua. E’ stressante. Siamo dei piccoli chimici: 1 grammo fa la differenza!

Lo chef avvolge la pasta sfoglia intorno a una bacchetta di metallo per fare i cannoncini.

Eccoli qui all’uscita dal forno. Sembrano spiedini, ma il profumino non lascia dubbi!
Gli orari poi sono massacranti: non si può arrivare in negozio dopo le 5 di mattina! Noi facciamo tutto: dalla brioche al cioccolatino, dalle torte a tutto il salato. In più, il lavoro più intenso è al sabato e alla domenica, quando il resto del mondo inizia a staccare mentalmente il venerdì pomeriggio.
E’ chiaro che non puoi avere una vita sociale normale, come tutti gli altri.
Quando i miei figli erano bambini, per portarli a sciare un sabato dovevo venire in negozio alle 2 di notte, lavoravo fino alle 8, poi andavamo in montagna a sciare. Al ritorno, doccia, chiusura del negozio e preparazione di tutto quello che andava in lievitazione per il giorno dopo. Tornavo a casa alle 10 di sera. Tutto per accontentare i miei figli. Mi guardavo allo specchio e dicevo: “Questo qua è matto. Fatelo ricoverare!””
“Qual è la cosa più difficile per un pasticcere?”
“Niente è difficile, ma quasi tutto è complicato. Una cosa che è abbastanza complicata, e non immagineresti mai, è fare la pasta lievitata: panettoni, veneziane, colombe, le stesse brioches. Devi tenere conto della temperatura e dell’umidità, che non sono mai uguali, e in più tanti altri piccoli particolari per fare una semplice brioche!”

Le classiche fiamme.
“Un cioccolatino: sembrerebbe facile. Ma devi conoscere i meccanismi per fare un temperaggio giusto del cioccolato. A seconda del cioccolato che usi ci sono delle temperature e delle procedure per arrivare a renderlo lucido e a poterlo lavorare bene. Non puoi distrarti perché non deve essere né troppo caldo né troppo freddo. Bastano 3 gradi di differenza e il lavoro va rifatto da zero!!”

Classicamente i pasticceri si possono specializzare in tre settori definiti: i pasticceri da forno si dedicano alla pasta lievitata, sfoglia, frolla e crostate varie; i pasticceri di credenza trasformano i dolci usciti dal forno in preparazioni come i bigné, le torte decorate, i semifreddi. Poi c’è il cioccolatiere che si occupa, appunto, del cioccolato.
“E tu sai fare tutto?”
“Per forza. Devi saper fare tutto per valutare se tutti i prodotti sono fatti a regola d’arte.”

La meringata al cioccolato. Vabbè, no comment.
Torte di una volta e torte “social”
“Molti dolci di una volta non si vedono più e adesso ce ne sono di nuovi.”, dico io.
“I gusti sono cambiati rispetto a tante cose: per esempio, le torte liquorose tanto di moda una volta sono cadute in disuso. Certi dolci tradizionali invece sono sempre richiesti e li produciamo ancora, per esempio la Saint Honoré. Noi cerchiamo sempre di unire la tradizione al nuovo.”

Il Monte Bianco. Un altro evergreen.
“Qual è la torta più nuova che avete in produzione?”
“Ne facciamo tante nuove. In questo momento va tantissimo un semifreddo biscottato che possiamo fare anche a forma di lettere o numeri. Strati di biscotto con crema chantilly o creme più calde (come lo zabaglione, il cioccolato o il pistacchio), con decorazioni di fiori freschi o frutta fresca o biscotti abbinati a cioccolatini. Ci adeguiamo volentieri alle richieste e all’estetica del momento, che domina sui social.
6 o 7 anni fa c’era la moda delle torte americane con la pasta di zucchero. L’estetica era gradevolissima, ma in Italia siamo troppo raffinati per quel che riguarda il gusto. Non facevano per noi: stradolci, un po’ asciutte, dai colori improbabili, pesanti da digerire. Erano monumenti pesantissimi, per di più con un costo molto elevato.”
“Avete anche torte vegane e per celiaci”
“Sì, per noi è un prodotto di nicchia, perché è molto difficile trovare gli ingredienti di qualità. Ad esempio: niente burro? Difficile trovare margarine vegetali con un buon gusto e una buona qualità. Quando non possiamo usare prodotti ultra scelti, preferiamo rinunciare.
Utilizzare solo materie prime eccellenti significa poter offrire prodotti sani.”
E’ tardi, Antonio è tornato in laboratorio. Non voglio più trattenerlo con le mie chiacchiere.
Solo, mi accorgo di non avergli chiesto come si chiama la polverina magica che mi fa tornare bambina ogni volta che mangio uno di questi deliziosi biscottini…

I savoiardini “magici”! I miei figli dicono che succede anche a loro. Chissà cosa ci metterà dentro?…
Testo: Silvia Castiglioni
Foto: Corriere Web, Milano Segreta, Silvia Castiglioni, Antonio Grecchi
2 comments, add yours.
Adele Dragoni
Particolarmente gradito questo argomento. Perché parliamo di dolci, perché Grecchi é una pasticceria ARTIGIANALE, per le case di ringhiera e più di tutto per le espressioni milanesi, e i negozi “sottocasa” in cui facevo la spesa da bambina, se pure in un quartiere diverso.
Silvia Castiglioni
AuthorGrazie Adele! Noi nati in quegli anni abbiamo tanti ricordi in comune. Fa piacere riviverli insieme!