Vivere in condominio…a Milano!
Si sa che l’uomo è un animale sociale. Lo è soprattutto se decide di vivere in una grande città come Milano, dove le complessità del vivere quotidiano impone regole piuttosto rigide: le libertà di ognuno finiscono dove iniziano quelle del vicino! Ed è proprio di vicini e regole di condominio che vogliamo parlarvi oggi.
Il tutto è stato demandato, come tutti voi sapete, agli amministratori, che dovrebbero garantire la pax condominiale. Ma è veramente così?
Il loro ruolo appare spesso contrario alla premessa, perché la litigiosità non pare affatto diminuita, ingenerando spesso cause, sia verso terzi sia tra gli stessi condomini. Non sempre sono in grado di difendere realmente gli interessi di coloro che gli hanno affidato l’incarico, alcuni per malcelata incapacità altri per vero e proprio calcolo personale.
La mia esperienza non mi porta a rispondere così affermativamente sulla reale necessità di figure che dovrebbero essere legate allo stato della terzietà o arbitre di situazioni al contorno davvero difficili. Ma il nuovo Codice del Condominio prevede tassativamente che in uno stabile in cui dimorano più di 8 famiglie tale figura sia obbligatoria per legge. Quindi partendo da questo assunto, quasi tutti gli stabili di Milano sono dotati di una di queste figure di riferimento per farsi rappresentare o per eseguire la manutenzione ordinaria e straordinaria.
Tutto ciò oltre a ingenerare tutta una serie di interessi, prevede affollatissime e pesanti assemblee periodiche, che oggi, a causa del Covid sono pressochè inibite. Motivo per cui il potere degli amministratori è lievitato enormemente, per palese abbandono e disinteresse, anche in virtù del fatto che le piattaforme informatiche (oggi permesse) per le cadenzate riunioni condominiali sono inibite a tutta una fascia di popolazione anziana o sprovvista di pc. Inoltre gli ultimi provvedimenti per il rilancio dell’economia, promossi dal governo Conte, hanno previsto una serie di agevolazioni fiscali che hanno chiamato al risveglio la sonnolenta categoria professionale. Tra queste disposizioni non possiamo non citare il famigerato 110% per il rifacimento delle facciate, legato ad una migliore coibentazione termica (con rinnovamento delle coperture, applicazione dei cappotti alle quinte murarie e altri accorgimenti per l’eliminazione dei ponti termici) o al miglioramento delle condizioni strutturali legate alla classe di rischio sismico.
E’ chiaro che questi strumenti di leva economica, promossi per incentivare il settore dell’edilizia, legato alle manutenzioni dei caseggiati urbani hanno fatto lievitare gli appetiti di tutta una fetta di operatori contigui a questo settore ( banche e finanziare, a cui si può cedere il debito, le grandi imprese che hanno la possibilità di agire sul credito di imposta per far partire opere senza congrui anticipi), non ultimi gli amministratori che hanno una percentuale fissa sui capitolati d’appalto oltre al loro abituale emolumento annuale. Motivo per cui, queste ultime figure si sono trasformate in veri e propri promotori finanziari, promettendo, non sempre a ragione, lavori a costo 0: molte delle opere presenti sui preventivi, a supporto di quelle prima citate, sono solo detraibili col 50 o al 65% (cambio infissi o sistemi di condizionamento o riscaldamento che agevolano il confort ambientale interno ad es.); gli adempimenti burocratici, davvero molto macchinosi, devono davvero essere impeccabili affinchè l’Agenzia delle Entrate poi non si rivalga interamente sul condominio. Non ultimo, almeno non in termini di importanza, è il punto che riguarda lo stato finanziario del caseggiato, che deve essere solido e capace di rispondere in caso di debiti di immediata esigibilità (sappiamo come sia difficile in Italia, soprattutto grazie o per colpa dello stato della giustizia civile, estirpare il cancro della morosità, con lunghi e non sempre risolutivi decreti ingiuntivi a spese degli onesti proprietari) .
Ma questo stato di cose non nasce oggi, arriva da lontano: già negli ultimi anni avevamo assistito ad uno stato di malcelata indifferenza da parte della categoria degli amministratori, che spesso non brillano nemmeno per eccessiva cultura, tanto da prendere di mira persino facciate datate o dotate di strutture particolarmente interessanti, frutto del professionismo colto del dopoguerra. E allora addio alle originali tesserine in gres o klinker che regalavano movimento e grazia alle quinte sulle grigie strade milanesi; fine dei serramenti in rovere di Slavonia disegnati a mano per la sostituzioni con quelli ad alta efficienza in pvc o alluminio, o anche in legno, ma di fattura industriale e creati in batteria, in nome della modernità. Insomma si sono resi protagonisti o almeno corresponsabili della perdita di alcuni manufatti, frutto dell’ingegno di chi questa Italia l’ha fatta ripartire, subito dopo l’ultimo conflitto bellico, senza gli strumenti finanziari e con l’aiuto di un artigianato virtuoso, che tanti veri posti di lavoro stava regalando al paese.
Ultima nota stridente di questa disfunzione del sistema, che dovrebbe far interrogare dal di dentro la categoria se non le associazioni degli amministratori di condominio (purtroppo ne esistono più d’una), consiste nell’ingresso dei professionisti iscritti ad altri Ordini nel novero degli abilitati: Già negli anni ’90 avevamo visto comparire molti geometri e architetti (già iscritti al loro albo) tra le file degli operatori del settore, portatori di interessi legati al mondo dell’edilizia, con pesanti interventi di manutenzione, spesso non necessari o molto costosi (realizzazione di parcheggi sotterranei, anche automatizzati, rifacimento di interi blocchi, promozione di discutibili interventi sui sottotetti), che hanno spesso reso la nostra città sicuramente meno affascinante.
L’inizio del terzo millennio, e la crisi delle professioni “alte” ha ingolosito anche gli avvocati ad entrare nell’agone, ingigantendo, ahimè, le conflittualità e gli interessi che gravitano intorno al mondo della casa e spesso mettendo il bavaglio alle giuste recriminazioni di chi gli stabili li abita tutti i giorni e di chi paga per essere servito da un professionista che dovrebbe essere mosso solo dall’impegno di mettersi al servizio di una piccola comunità. Ma questo invece è un problema di tipo deontologico che invece dovrebbe fare interrogare gli Ordini professionali di appartenenza (avvocati, geometri, architetti, ingegneri ecc.), anche semplicemente sull’opportunità che i loro iscritti possano andare a coprire ruoli diversi.