Renata Dubini: Una milanese con le Nazioni Unite per rendere il mondo un posto migliore
Avere a cuore il destino di chi è più sfortunato, mettere questa passione alla base della propria professione, vivere in prima persona 35 anni di storia mondiale portando aiuto alle popolazioni in difficoltà nei teatri di guerra, con progetti che possono cambiare la vita di persone, comunità, a volte intere nazioni. Nell’appassionante racconto di oggi ci sono tutti gli ingredienti per realizzare una serie tv di grande successo. Ma qui si tratta di vita vera.
Incontriamo Renata Dubini, milanese “col cuore in mano”, ambasciatrice della solidarietà per conto dell’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Ritrovare una compagna di scuola dopo tanti anni è sempre una grandissima emozione. In poche frasi si cerca di raccontare tutto quello che si è vissuto nel frattempo: lavoro, matrimonio, figli, genitori ormai anziani. Il riassunto di una vita con tutte le prove affrontate, i sentimenti provati, le avventure belle e meno belle che la vita ci ha messo davanti in tanti anni.
Ho incontrato Renata Dubini, “la Chicca” per noi compagne di scuola, in un bel pomeriggio di sole pochi giorni prima che scattasse la zona rossa. Ci siamo sedute su una panchina proprio davanti alla nostra scuola, nell’emozione di una piazza Tommaseo tutta fiorita di magnolie rosa e, data l’emergenza, non ci siamo nemmeno potute scambiare un abbraccio.
Ma il racconto che mi ha regalato oggi, col suo permesso, lo voglio condividere con voi. E’ indubbiamente una storia straordinaria.
Tutto è partito da Milano
Tutto è partito da Milano. Renata nasce e cresce in una sana famiglia meneghina dai solidi principi cattolici, e viene educata in una scuola, l’Istituto Marcelline, dove fare volontariato è uno dei capisaldi della formazione attiva degli allievi fin dalla scuola media.
Tradizionalmente a Milano si dice che “se sei stato fortunato, è giusto che ti impegni per aiutare chi è stato meno fortunato di te”.
Per Chicca, ragazzina, è normale fare volontariato con le compagne di scuola, o vedere la mamma che accompagna regolarmente gli ammalati a Lourdes col treno dell’UNITALSI o andare con lei a trovare i vecchietti alla Baggina.
“A 14 anni ho imparato a giocare a briscola dagli ottantenni del Trivulzio”, ricorda divertita.
E questo non toglie certo niente alla spensieratezza degli anni del liceo, anzi abitua a considerare una fonte di gioia anche occuparsi di chi ha bisogno di aiuto.
Una laurea in giurisprudenza, con specializzazione in diritto internazionale, un interesse per le intense lotte sociali che in quegli anni dominavano il nostro mondo occidentale e per le problematiche che riguardavano anche realtà più lontane.
Nel 1986, anche se sta già lavorando in Mondadori, Chicca continua a frequentare le conferenze SIOI e ISPI sulle realtà internazionali ed è così che scopre l’esistenza del Programma Junior Professional Officer, ovvero il Programma Giovani Funzionari delle Organizzazioni Internazionali. E’ un’iniziativa governativa che si realizza annualmente ancora oggi, in cooperazione con le Nazioni Unite, per offrire ai giovani un’esperienza formativa, normalmente di due anni, nelle organizzazioni internazionali.
In attesa di poter fare domanda, Chicca ottiene un permesso dalla Mondadori e parte per due mesi di internship a Ginevra, lavorando al fianco di un funzionario dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) che si occupa della MesoAmerica.
In quel momento il tema centroamericano è caldo. Le viene assegnata una ricerca sul primo rientro in patria dei profughi guatemaltechi fuggiti in Messico durante la feroce guerra civile che per quasi 30 anni ha tormentato il paese. Questa esperienza sui diritti dei rifugiati risulta molto utile per consentire a Renata di essere ammessa l’anno dopo al Junior Professional Officer proprio per l’UNHCR.

La sede dell’ONU a Roma. Dove si è svolto il colloquio per l’ammissione al Programma JPO
La prima esperienza in America Latina
Iniziano così 2 anni di grande apprendimento a Buenos Aires. Sotto la guida di un capo molto esperto, in un piccolo ufficio che tuttavia è riferimento centrale per quasi tutti i paesi sudamericani, trasferte e incarichi sempre diversi sono una magnifica opportunità per imparare. Ogni volta si aprono nuovi scenari: Brasile, Bolivia, Peru, Cile, Paraguay, Uruguay, persino Guinea.
Renata ricorda il primo Natale lontano da casa, passato alla Commissione Cattolica Argentina di Buenos Aires con tre cileni fuggiti dalle carceri di Pinochet:
“Erano dei ragazzi poco più grandi di me, ma già con alle spalle un grande bagaglio di sofferenza solo per aver espresso le loro idee. Storie di vita così diverse dalla mia! In seguito siamo riusciti a farli accogliere in Svezia, Francia e Messico, paesi con grande tradizione di asilo.”
Alla scadenza dei 2 anni, prima di tornare a casa, Chicca fa un giro per il continente: 9000 chilometri in Cile guidando la sua piccola Renault! Poi continua il suo tour in autobus, zainetto in spalla, attraverso Peru e Bolivia.
“Naturalmente non esistevano ancora i cellulari, per essere rintracciati si usava il sistema del fermo posta. Quando arrivavo in una città andavo alla posta centrale a vedere se c’erano comunicazioni per me. Arrivata a La Paz ho trovato un messaggio: “Torna subito, ti cercano per una missione in Kuwait”.
Kuwait: i pozzi in fiamme
“Arrivare in Kuwait nel 1991 è stato sperimentare sulla mia pelle per la prima volta che cosa è la guerra.” Quando Renata arriva, si è appena conclusa l’operazione Desert Storm, in cui l’invasione irachena è stata respinta dal territorio kuwaitiano da una coalizione ONU di 35 paesi guidata dagli Stati Uniti, ma le conseguenze della Prima Guerra del Golfo sono ancora tragicamente presenti.
Costretto a ritirarsi dal Kuwait, Saddam Hussein ha ordinato alle sue truppe di incendiare più di 700 pozzi di petrolio in territorio kuwaitiano per infliggere al paese un danno economico incalcolabile. E’ un disastro ecologico epocale. Per un anno intero i pozzi continueranno a bruciare oscurando permanentemente il cielo e rendendo l’aria irrespirabile, tutto l’ambiente ne sarà avvelenato, il mare restituirà migliaia di pesci e uccelli marini morti. Un inferno.
All’epoca l’ufficio HCR non era ancora stato accreditato dalle autorità del Kuwait, per cui in questa apocalisse Renata si trova sola, operando come “un’antenna”, con solo una macchina e un autista, a gestire una tenda delle Nazioni Unite per soccorrere chi, non essendo cittadino kuwaitiano o iracheno, non sa come ritornare in patria. Diventa la paladina di questi “dispersi” e per ricostruire le loro storie collabora con i colleghi della Croce Rossa.
Tutto è difficilissimo: l’unico modo per comunicare con UNHCR a Ginevra è farlo tramite CNN, facendo ore e ore di coda per poter fare una telefonata.
E’ tutto un susseguirsi di scene surreali.
Una mattina, cercando di raccogliere delle mine lungo la strada davanti al suo albergo, le truppe francesi per errore fanno saltare in aria tutte le auto parcheggiate, compresa la sua. Non conoscendo ancora la vera natura dello scoppio, gli ospiti vengono fatti evacuare in una stanza nel seminterrato, qui Renata conosce dei militari italiani in forze all’ONU che diventeranno un riferimento per lei, insieme alla Croce Rossa, per aiuti e consigli.
El Salvador
Vaccinata da questa esperienza fortissima, Renata ottiene il suo primo contratto a più lungo termine e viene inviata in Salvador. A metà del ’91 la guerra civile è sul finire e si concluderà nel gennaio ’92 con la firma di un accordo di pace a Città del Messico.
“Durante la mia prima missione al terreno della comunità di Segundo Monte Morazan, ci siamo ritrovati nel bel mezzo di un conflitto a fuoco. Abbiamo trovato riparo sotto delle panchine, in mezzo a un nugolo di galline! Il target non eravamo noi, ma quando si capita in mezzo a operazioni militari, “chi c’è, c’è”.”
La missione stavolta è particolare: facilitare il rimpatrio dei salvadoregni che avevano trovato rifugio nei vari paesi della sub-regione e poi contribuire ai programmi di pacificazione e ricostruzione. Nel corso della guerra sono stati incendiati quasi tutti i municipi con relative anagrafi, bisogna quindi ricostruire le identità e documentare la popolazione. Si lavora 7 giorni su 7 in tutto il paese per questa operazione capillare che fa incontrare migliaia di persone e richiede un anno e più.
Gli incontri con la popolazione nei municipi, ascoltare le loro vicissitudini, apprendere dal loro coraggio marcano definitivamente Renata. Iniziative come questa, che ridanno un volto, un’identità e una dignità a migliaia di persone, la coinvolgono appieno. Sente che questa sarà la sua strada e, deludendo un po’ le aspettative dei suoi, che speravano rientrasse per iniziare una più tranquilla carriera forense (anche perché aveva passato al primo colpo l’esame di procuratore!), decide di continuare con l’UNHCR.
Ruanda
Viene inviata in Ruanda subito dopo il genocidio, nella cittadina di Cyangugu, nel sud Kiwu, appena al di là della frontiera con la Repubblica Democratica del Congo (che si chiamava ancora Zaire), nella zona dove è stato ucciso il 22 febbraio scorso il nostro ambasciatore italiano Luca Attanasio insieme al carabiniere della sua scorta Vittorio Iacovacci.

Anche il nostro ambasciatore si stava dedicando ad un progetto umanitario nelle scuole della Repubblica del Congo quando è stato ucciso un mese fa durante un trasferimento
E’ un’esperienza durissima. Due anni di lavoro estremamente difficoltoso durante i quali vede il collega che si occupa di diritti umani ucciso a colpi di machete insieme ad un giovane volontario delle Nazioni Unite ed al loro autista.
La piccolissima comunità dell’ONU è testimone dell’estrema brutalità in cui sfocia l’odio che oppone i popoli Hutu e Tutsi, un odio ancestrale che nulla riesce a mitigare e che purtroppo ancora oggi cova sotto la cenere in un clima di assoluta diffidenza reciproca e nel costante timore di improvvisi scoppi di violenza.
Al rientro dal Ruanda, Renata, molto provata, trascorre un anno sabbatico in Inghilterra facendo un master in diritti umani per riflettere sulle esperienze acquisite sul campo fino a quel momento.
Argentina
E’ la volta dell’Argentina: stavolta con un incarico di responsabilità, nell’ufficio sub-regionale con base a Buenos Aires. Siamo alla fine della presidenza Menem nel pieno di una drammatica crisi economica e finanziaria. Il principale compito affidato a Renata consiste in una revisione delle leggi regionali che regolano l’accesso dei richiedenti asilo, per assicurare loro una nuova vita in sicurezza e dignità.
Kosovo/Macedonia e la missione d’urgenza in Guinea
Dopo 2 anni, nel 1999 fa parte della rappresentanza UNHCR per gestire la crisi umanitaria conseguente alla terribile guerra nel Kosovo. Per sfuggire alla pulizia etnica e ai massacri per cui il presidente serbo generale Milosevic sarà in seguito processato alla Corte Internazionale dell’Aja per crimini di guerra, i kosovari sono fuggiti in massa in Macedonia dove sono stati allestiti 11 campi profughi per ospitarli.
Qui si tratta di organizzare questi campi: nascite, bambini, anziani, famiglie. E collocare all’estero i casi più vulnerabili o effettuare ricongiungimenti familiari, secondo le quote di ospitalità messe a disposizione da vari paesi che hanno aderito al progetto.
Un lavoro enorme, che continuerà in Macedonia per 2 anni in un clima di forti tensioni sociali. Il tutto sotto i riflettori dei media e al centro dell’attenzione internazionale, con visite diplomatiche fino a tarda notte. Qui siamo in Europa signori, e non in un paese dimenticato in un posto remoto del mondo…
Non è giusto, ma è così.
Come intermezzo, alla fine del 2000 Renata deve guidare un piccolo team di emergenza in Guinea per riaprire un ufficio HCR attaccato e bruciato dai ribelli, che avevano anche ucciso il capo ufficio. In questa zona il team si deve anche occupare di alcuni campi profughi in condizioni estreme, per mancanza di finanziamenti adeguati, e dove i soprusi sui più deboli sono purtroppo la regola.
Alla fine della missione in Macedonia, Renata rientra a Ginevra nella divisione della Protezione Internazionale e per un periodo si occupa dell’organizzazione dei progetti, dei rapporti con gli altri organismi internazionali e con i rappresentanti dei paesi che sostengono la causa di UNHCR. In più, segue la formazione dei colleghi in questo ambito.

Ogni anno i responsabili delle varie aree del mondo relazionano nella sede ONU di Ginevra sui progetti realizzati e futuri.
Liberia
Dopo questo periodo, la ritroviamo in Africa. Precisamente in Liberia, un paese in cui gli abitanti fuggiti durante la guerra civile appena conclusa stanno rientrando. Stavolta Renata riveste il ruolo di Rappresentante UNHCR, un posto di responsabilità a livello dirigenziale, e collabora con altre agenzie delle Nazioni Unite.
E’ una missione complessa in un paese pieno di speranza. Si tratta di ricostruire il paese dalle basi: allestire scuole, centri comunali, tribunali cittadini, rifondare istituzioni fondamentali come la magistratura e la polizia. Ma anche ridare dignità e fiducia alle donne, dopo la terribile violenza di genere degli anni della guerra.
Per svolgere il programma Peace and Education l’HCR deve assicurarsi il sostegno degli “anziani”: sono loro infatti i veri influencer in questo tipo di società africana. Con loro si passano settimane spiegando, ascoltando e mediando per far accettare i vari progetti.
Siria
Tra il 2009 e il 2012 Renata opera in Siria, a suo parere la missione che forse l’ha segnata di più. La prima metà del mandato si svolge in tempo di pace, la guerra inizierà nel 2011. La Siria nel 2009 ospitava più di 300.000 rifugiati iracheni.
“La Siria è un paese magnifico e i siriani sono bellissime persone. Grandi lavoratori e con sanissime strutture familiari. Quando sono arrivata era una società molto secolarizzata in cui non si distinguevano molto gli sciiti dai sunniti e dai cristiani. La Siria è un mosaico di religioni e di popolazioni che avevano a lungo convissuto pacificamente. Quando è scoppiata la guerra questo sistema ha subito un cambiamento a 360 gradi.
Quando il vento della “primavera araba” è arrivato anche qui, ha trovato un paese economicamente sano in cui anche i più deboli vivevano con dignità. Le manifestazioni per il rispetto dei diritti civili e politici avrebbero dovuto sortire un cambiamento più graduale. Invece sono intervenuti troppi attori esterni e le posizioni si sono radicalizzate all’estremo. Risultato: una guerra infinita e un’infinito esodo interno e verso i paesi vicini!”
“Abbiamo dovuto imparare a distinguere dall’abbigliamento, dall’aspetto esteriore, le appartenenze religiose e politiche delle persone, che prima ignoravamo. Nel nostro stesso ufficio la tensione tra i colleghi siriani era molto alta. Ci sono stati vari incidenti. Un nostro collega è stato ucciso all’inizio del 2012. Questa guerra terribile, iniziata nel marzo 2011, continua ancora dopo 10 anni! Noi abbiamo messo in piedi operazioni importanti per dare sollievo agli sfollati siriani e per sostenere i profughi iracheni. Ma le ferite della guerra sono profondissime, soprattutto per i giovani e gli anziani. Inoltre molte città splendide, come Aleppo, hanno pagato un prezzo altissimo.”

Aleppo oggi: una città fantasma
Renata torna da questa missione completamente KO e deve prendere 6 mesi di pausa per riprendersi.
Il Bureau de las Americas
Nel 2015, data la sua vastissima esperienza, le viene affidata la direzione del Bureau de las Americas a Ginevra e poi a Panama.
Ancora anni intensi di operazioni sul campo, negoziazioni, lobby, contatti, giorni e giorni passati volando tra Europa e America.

Un convegno a Città del Messico. Al centro Filippo Grandi, un altro milanese doc, che ricopre la più alta carica nell’HCR. Dal 2016 è lui l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Nelle immagini qui sopra li vediamo al lavoro in Brasile per il progetto di inserimento degli Uanao, una popolazione nomade proveniente dal Venezuela
Qui sotto invece siamo in Honduras, un paese che forma il cosiddetto “Triangolo della Morte” insieme a Salvador e Guatemala. Questi paesi hanno al loro interno zone completamente in mano a bande criminali, le maras, in guerra tra di loro e contro lo stato. I mareros sono reclutati forzosamente fin da bambini e non conoscono altra realtà nella loro vita se non la violenza. Per prendere il controllo di un territorio, spesso costringono gli abitanti a sfollare abbandonando tutto, in uno stato di conflitto permanente. Il progetto dell’HCR ha consentito di creare dei centri per i ragazzi con la scuola, dei corsi per insegnare loro un mestiere, attività ricreative e sportive.
Tornare a casa
Poi la voglia di tornare a casa, dalla sua famiglia, dove era comunque sempre venuta un paio di volte l’anno in occasione delle ferie.
Certo andare in pensione in questo momento di emergenza pandemica, in cui persino una città vitale come Milano è bloccata, non è facile.
“Mi sento come sospesa… Certo il lavoro mi manca, ma mi è sembrato giusto tornare ai miei affetti e alla mia città, perché sento di poter ancora dare molto. Mi piacerebbe mettere quello che so fare a disposizione della comunità, nel volontariato o in qualsiasi incarico possa essere utile la mia esperienza organizzativa.
Quando ho iniziato il mio cammino nell’UNHCR nel 1988 l’Italia era, a mio avviso, un paese più solidale ed accogliente. Non sembra che si sia riusciti ad avanzare molto sul tema dell’integrazione e le polemiche sull’accoglienza mi sembrano strumentali. Certo la situazione è cambiata, la pressione dall’esterno è molto maggiore e poi la crisi economica ha inciso molto. Comunque siamo riusciti a realizzare progetti di accoglienza in paesi in condizioni molto peggiori.
Certamente l’integrazione va organizzata a dovere, a cominciare da una valutazione dei casi per capire chi ha veramente bisogno. Per esempio, con una situazione demografica come la nostra, sarebbe vantaggioso poter inserire i giovani in modo costruttivo, facendoli sentire utili a questo paese nuovo per loro.
Un esempio positivo è quello che è successo in Germania, quando hanno accolto i siriani che oggi costituiscono una forza lavoro qualificata di 800 mila unità.
Andrebbero realizzati progetti di profiling degli individui a livello locale, regionale, studiando la domanda e l’offerta in realtà specifiche; un’impostazione che verrebbe utile anche per gestire la disoccupazione interna.
Sono molte le iniziative che si potrebbero attuare. Tornando ho sentito nell’aria molta stanchezza, naturalmente comprensibile considerando il momento. Ma mai darsi per vinti, si può sempre iniziare a promuovere un cambio di direzione! Io sono fiduciosa.”
Ed eccoci qui oggi, su questa panchina, ad ascoltare con meraviglia e ammirazione questa storia vissuta con straordinaria passione e coraggio, che rende orgogliosi anche noi che solo la ascoltiamo e condividiamo. Il racconto di una persona eccezionale, che ci fa rivivere intensamente 35 anni di storia e riesce a parlarci anche di futuro!
E’ vero. Data l’incertezza che stiamo vivendo, per Milano avere le mani legate e non poter fare progetti è pesante, forse ancora più che per altre realtà meno attive.
Speriamo davvero che la nostra città e il nostro paese non si lascino sfuggire l’occasione e approfittino della grande energia ed esperienza di Renata. Confidiamo tutti in una ripresa che, appena sarà possibile, ci faccia dimenticare questo momento difficile e ci aiuti a ripartire con determinazione e fiducia verso il futuro.
Cara Chicca, l’emergenza adesso è qui: più che mai c’è bisogno di te!

Bello ritrovarsi davanti a scuola…
Testo: Silvia Castiglioni
Foto: Silvia Castiglioni, Renata Dubini, aspoitalia, il sussidiario.net,skuola.net, collettivoclan, tuttogolfo.it, limesonline, Encyclopaedia britannica.inc