SANPA – Luci e tenebre di San Patrignano

Si, lo sappiamo: ormai se ne è già parlato e straparlato, a volte a proposito e spesso a sproposito. Il soggetto è naturalmente Sanpa, la riuscitissima docu-serie di Netflix sulla storia di Vincenzo Muccioli e della comunità di San Patrignano. Però, proprio perché così tanti si sono espressi, proviamo a dire la nostra affrontando il commento da un punto di vista differente.

Primo punto: benvenute docu-serie.

Benvenute soprattutto se servono a rinnovare e rilanciare un genere, il documentario, spesso affogato in nicchie specifiche: da quella scientifica alla National Geographic, alla divulgativa  pierangelesca, al documentario storico propedeutico alla pennichella del dopo pranzo.

Dimenticatevi tutto questo: qui il ritmo e il coinvolgimento sono di tutt’altro genere, lo testimonia il bando della voce fuori campo che guida e suggerisce: in Sanpa ci sono solo persone che parlano direttamente e filmati rigorosamente d’epoca non commentati. In ogni caso mai nessuna ricostruzione arbitraria.

E’ una scelta che coinvolge lo spettatore senza fornire spiegazioni  e interpretazioni fuorvianti. Insomma: il documentario come documentazione perché ognuno possa farsi una propria idea dei fatti.

Secondo punto: il documentario è oggettivo?

Assolutamente no.

Un documentario rispecchia il punto di vista di una cascata di interessi, conoscenze, materiali, storie, personalità che hanno fatto parte di un determinato periodo, o di una realtà storica, o scientifica. Il tutto ovviamente ulteriormente filtrato dalle idee e le indicazioni di produttori e committenti.

Ogni atto comporta una scelta e di conseguenza il documentario non può essere oggettivo. Meglio: non deve essere oggettivo. Deve però essere veritiero, ovvero deve riportare e non mistificare fatti, atti e testimonianze. Questa forse una delle ragioni del successo di questa docu-serie che riesce a riportarci al centro di una delle grandi vicende del nostro recente passato, opportunamente rimossa dal dibattito che San Patrignano, insieme a tanti altri, ha contribuito a sollevare.

Terzo punto: San Patrignano.

Sanpa ci fa entrare, per quanto possibile, nella bellezza e nella sporcizia di San Patrignano; in un clima che parte dallo spirito quasi comunitario degli esordi per arrivare alle squadrette punitive e alla cupa cappa di costrizione dei momenti successivi, sino al processo per i gravi fatti che accaddero e alla morte del suo deus ex machina. Ci porta dalle vite salvate ai diritti negati e anche molto più in là. È un viaggio pesante, costantemente segnato dalla pervasiva presenza di Vincenzo Muccioli, dal suo sguardo e dalla sua corpulenza; una fisicità che cresce quasi in una proporzione diretta con l’esplodere – in termini di ospiti, superfici, attività, soldi – delle dimensioni della comunità. Un viaggio a occhi aperti, nel quale evolvono e mutano i rapporti, i valori – nel quale si assiste alla crescita della solitudine dell’uomo solo al comando e dove non si salva nessuno, o quasi. Non si salva Muccioli con la sua etica muscolare del “ti salvo a qualunque costo”, ma neppure i suoi ex-amici e sodali poi accusatori; e non si salvano  i politici, sempre in prima fila nella passerella riminese ma responsabili del vuoto assoluto nel quale in Italia, agli inizi degli anni ’80, si ritrovarono la tossicodipendenza prima e la sieropositività da HIV poi. Non si salvano i “patron” della comunità,  Letizia Maria Brichetto Arnaboldi e Gian Marco Moratti sicuramente, ma anche Paolo Villaggio e Red Ronnie e tanti altri. Tutti schierati da tifosi, come i tanti “contro” a prescindere, in una contrapposizione manichea che non aiuta a ragionare su una delle realtà che hanno, nel bene e nel male, segnato la storia d’Italia nel ventennio 80-90. Un rischio dal quale riesce a tenersi sufficientemente lontano questa docu-serie che anche per questo consigliamo.

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