Laddove finiva la città di Milano nel Medioevo: Porta Nuova, quella vecchia!
Oggi Porta Nuova è famosa per i grattacieli ma storicamente, ancor prima di quella napoleonica sui Bastioni omonimi, è sempre stata Nova la Porta e i relativi Archi ubicati in Piazza Cavour.
Già nel XII sec. Milano era dotata di robuste mura a difesa del libero Comune, con tanto di fossato che Guintellino aveva bonificato e allargato nel 1155, lungo quella che secoli più tardi fu nota come cinta dei Navigli. Stiamo parlando di un sistema che ricalcava, inglobando interi comparti agricoli, il sistema difensivo romano repubblicano e poi imperiale.

Le mura della Milano romana
Di quest’ultimo si servì il nuovo assetto urbano per proiettare verso la campagna circostante gli stessi assi di penetrazione viaria. Insomma Milano, sotto la spinta delle prosperità mercantile, si andava espandendo e aveva semplicemente bisogno di più spazio per ospitare nuove attività, magazzini e case per attrarne i vantaggi. Sembra il classico piano di una città che programma, in pace e senza ostacoli, il proprio sviluppo.
Nuovi equilibri corrispondono a nuove mura
Ma volendo mettere sotto la lente di ingrandimento il tessuto sociale e costruttivo, i conflitti e le disparità sociali, che tenevano in fermento il governo della Milano medioevale, non mancavano. Tra le 43 famiglie capitanee, che esprimevano, attraverso alcune istituzioni, il consiglio cittadino, e ancor prima l’elezione del dominus assoluto delle sorti del Comune (il vescovo), cominciarono ad affacciarsi e a definirsi quei due particolari schieramenti, che in un modo o nell’altro tennero in scacco i destini d’Italia, per tutto il Medioevo: guelfi e ghibellini. Tutto avveniva, proprio mentre sui territori lombardi stava per sopraggiungere la minaccia più feroce: la discesa dell’imperatore del Sacro Romano impero, Federico I Barbarossa, deciso a minare l’indipendenza di città padane così ricche e spregiudicatamente libere. La chiamata a raccolta di tutte le risorse e delle forze più fresche non bastarono a fronteggiare le truppe imperiali, forti dell’appoggio di tutti quei piccoli comuni che avevano patito lo strapotere e la forza della ricca e popolosa Milano. E’ così che nel 1162, dopo mesi di inutile resistenza, Barbarossa sferra l’attacco alla città da sud, penetrandovi e devastandone in maniera letale ogni possibilità di reazione.

I milanesi davanti a Federico Barbarossa chiedono clemenza per la città
I pochi abitanti sopravvissuti a tanta bestiale barbarie scappano nelle campagne e Milano rimane per mesi in balia delle milizie imperiali e alle vendette delle città circumvicine. L’ultimo atto è la distruzione delle mura affinchè la città non risorga e mai più possa tentare alcuna difesa. Invece, contravvenendo al bando, i milanesi dopo 5 anni ritornano per ricostruire sulle macerie una nuova città dotata di nuove e più potenti mura, da innalzarsi sul perimetro violato, ben difese da un fossato più ampio e più profondo. La conclusione della cinta sarà rappresentata dall’edificazione delle porte di accesso ai nuovi sestieri nel 1171 e dall’ideazione da parte di Gerardo da Mastegnanega di un profondo scavo per un fossato da riempire d’acqua. Questa stessa cintura, tirata su in fretta e furia, che sarà poi perfezionata, con più larghezza di mezzi, da Azzone Visconti all’inizio del XIV sec., aveva già ricompreso all’interno del perimetro urbano molti luoghi fino ad allora considerati fuori città (S.Babila, S.Lorenzo, S.Francesco, S.Stefano S.Ambrogio, S.Nazaro, S.Vitale) e aprendo 4 nuove posterle (delle Azze, Monforte, Fabbrica, Borgonovo) a cui ben presto saranno aggiunte la vera e propria Porta Nuova, Butinugo, S.Ambrogio, S.Lorenzo, S.Stefano, d’Algiso). La terra di risulta venne utilizzata per un terrapieno parallelo o terraggio.

Porta Nuova vista dal lato di campagna (Piazza Cavour). Foto di Robert Ribaudo
Oggi di queste porte, anche se rimaneggiate, ne rimangono, anche come testimonianza di quella cinta, solo due : Porta Ticinese, al limitare di S. Lorenzo, e gli Archi di Porta Nuova sul finire di Via Manzoni.
Il perchè di una Porta Nova
Il varco era tutt’altro che nuovo, poiché rappresentava già per i Romani l’uscita per la strada per Monza e il contado della Martesana. Quella romana era semplicemente poco più arretrata, sull’attuale Via Manzoni, pressappoco all’altezza dello slargo dell’attuale Piazza Croce Rossa (fermata della MM Montenapoleone). Anche l’attribuzione titolare data all’antica porta è tutt’altro che nuova, è semplicemente una distorsione linguistica dell’uscita dalle mura romane imperiali di Massimiano: era chiamata Porta Novelli, dal nome dei due mercanti di stoffa raffigurati sul fronte verso Piazza Cavour, in alto tra i due fornici degli archi.

le due teste dei Novelli fanno capolini tra i fornici degli archi e sotto il gruppo scultore medioevale di Balduccio da Pisa. (Foto di Robert Ribaudo)
Il primo pare che fosse quel Quinto Novello Torquato che l’imperatore Tiberio, durante un soggiorno a Milano invito’ a bere con lui. In quell’occasione Quinto bevette tre grossi vasi di vino (detti congi) senza mai riprendere fiato. L’imperatore impressionato dalla sua personalita’ lo nomino’ proconsole. Il busto che sta negli archi e’ percio’ soprannominato “Tricongio” dai tre vasi di vino che l’effiggiato si era tracannato senza batter ciglio.
Gli archi che fronteggiano la piazza, che peraltro rappresentano l’unica parte originale dell’intero complesso monumentale, ospitano un altro gruppo scultoreo di rilievo: il tabernacolo votivo trecentesco commissionato da Azzone Visconti nel XIV sec. a Balduccio da Pisa e che ospita la statua della Vergine con il Bambino e le statue dei tre Santi, Ambrogio Gervaso e Protaso, tutte in marmo di Candoglia così come la cornice che le racchiude.

La stele dei Vettii (Foto di Robert Ribaudo)
Sul fronte verso la città la saga dei Novelli continua, con la stele del figlio, Caio Vetio Novello, per questo chiamata dei Vettii e qui murata nel 1861 dopo la demolizione della vecchia Porta Orientale a metà del Corso di Porta Venezia nel 1818. Si tratta di un monumento sepolcrale dove compaiono i ritratti del capofamiglia e degli antenati, accolti in una nicchia e con l’iscrizione dedicatoria al di sotto. Di età giulio-claudia (metà del I sec. d.C.), è il più elegante e di buon fattura esempio di ritrattistica tra quelli ritrovati in città: si presenta con 5 nicchie centinate, con ritratti molto netti e curati, nei piani facciali e nelle varie pettinature femminili.
Nel paramento, verso Via Manzoni, furono inserite, nell’Ottocento, altre stele funerarie romane in marmo e in pietra di Vicenza, asportate nel 1990 (sostituite dai rispettivi calchi) e conservate oggi nel Civico Museo Archeologico.
Da Porta a Rocca
Ai lati degli Archi della Porta rimangono due tronchi di torrioni, oggi poco leggibili, ma che in buona sostanza dovevano presentarsi come quelli della vecchia Porta Ticinese.

Vecchia stampa che presenta come doveva essere Porta Nuova nel Medioevo.
Questi seppur coevi alla costruzione della Porta urbica sono il frutto dei lavori interrotti nel 1183, ai tempi della pace di Costanza, che doveva mettere fine alle ostilità tra la Lega Lombarda e l’imperatore Barbarossa, e che rendeva vana il proseguimento delle opere difensive. Ma sull’intradosso dell’apertura di quella di destra (guardando da Piazza Cavour) è murata la lapide che raffigura lo stemma del sestiere di Porta Nuova: quadripartito con campi bianco-neri.

La lapide con lo stemma del sestiere di Porta Nuova (Foto di Robert Ribaudo)
I torrioni facevano parte di un sistema difensivo più complesso, tanto da far parlare le antiche cronache di “Rocca”. Doveva avere una destinazione e uno scopo simile alla Pusterla di S. Ambrogio, tanto da essere adibita nei secoli successivi a fortilizio e carcere. Le fonti ci testimoniano come già nel 1261 i nobili esuli milanesi, detti malesardi, sopravvissuti alle vendette del popolo, furono qui rinchiusi. A supportare tale tesi sono anche documentati i lavori a metà del XIV sec. voluti da Bernabò Visconti, a completamento del sistema difensivo a nord. Lo stesso la usò anche per rinchiudere sua figlia Bernarda Visconti condannata per adulterio e la cugina Andreola Visconti, complice della relazione amorosa, già badessa del Monastero Maggiore. Qui le due sventurate morirono di stenti nel 1376. All’inizio del XV sec. ancora una volta, proprio qui, guelfi e ghibellini si fronteggiarono sugli spalti della Rocca. Di questa, gran parte successivamente distrutta, si perse traccia e memoria, anche per la costruzione delle vicine abitazioni che abbassarono ulteriormente le torri ai lati degli archi.

Vecchia fotografia che immortala l’aspetto di Porta Nuova a metà del XIX sec, già costretta dalle abitazioni adiacenti e senza i passaggi laterali nei torrioni.
Nei passaggi pedonali sui due fianchi, ricavati all’inizio del secolo scorso in due spezzoni di mura, una serie di cavità e tracce mostrano gli alloggiamenti delle grate che ne rinforzavano la chiusura e ne chiariscono il funzionamento.
L’epilogo e l’aspetto odierno
Sopravvissuti fino ad oggi sia ai numerosi tentativi di abbattimento sferrati dal governo austriaco sia dalle sommosse antiaustriache del 1848 e ancora agli innumerevoli piani di riordinamento urbanistico, ultimo in ordine di tempo quello del 1951, chiudono ancora oggi degnamente la Via Manzoni.
Durante il periodo fascista, si decide di salvarli, prospettando di costruire i portici pedonali delle case che le fiancheggiano.

Le aperture lato Via Manzoni (Foto di Robert Ribaudo)
Sul lato verso Piazza Cavour, la chiusura del naviglio di Fatebenefratelli, l’abbattimento di alcuni edifici antichi e la creazione dello slargo intitolata al primo statista dell’Unità d’Italia fecero il resto, restituendoci gli archi come mero passaggio del traffico veicolare.