Volontariato in emergenza/urgenza: gente con l'”hobby” di salvare vite umane
Anche in tempi di normalità, sentire la sirena di un’ambulanza infonde inquietudine: se si è al volante, viene automatico accostare per lasciare libera la strada e questa semplicissima azione, a volte compiuta goffamente nell’urgenza, ci fa sentire in qualche modo partecipi di un salvataggio. Nel nostro piccolo, ci siamo resi utili.
Oggi incontriamo chi a questi salvataggi prende parte da protagonista con grande passione, sacrificando molto del suo tempo e delle sue forze e rischiando spesso in prima persona.
Miriam Crucitti, soccorritrice in emergenza/urgenza della Croce Rossa Italiana, è un concentrato di energia positiva. L’effetto della nostra nostra intervista online, causa limitazioni in tempo di coronavirus, per me è stato tutt’altro che virtuale perché questa piccola donna, pelle ambrata, capelli fluenti e tono vivacissimo, mi ha coinvolta intensamente, quasi fisicamente, nel suo racconto pieno di entusiasmo e di passione.
Cosa significa essere volontari per la Croce Rossa
Una piccola premessa per dire che la Croce Rossa nasce per svolgere un’esigenza di primo soccorso, ma è anche molto attiva nel sociale in varie forme.
Per esempio, ci sono squadre di volontari che si occupano dell’assistenza ai meno abbienti e agli homeless fornendo loro cibo, coperte ed aiutandoli a trovare un ricovero nei mesi più freddi.
In questo particolare periodo di emergenza Covid, si dedicano a chi si trova da solo in isolamento a trascorrere la quarantena dopo la malattia e non può uscire di casa nemmeno per fare la spesa o portare fuori il cane.
Poi c’è il Settore Giovani, in cui ragazzi tra i 14 e i 18 anni sono attivi anche nelle scuole per sensibilizzare i loro coetanei di fronte a problemi importanti come droga o alcolismo e fornendo nozioni base di primo soccorso. E’ un’età delicata in cui la voce di un coetaneo è sicuramente più ascoltata di quella di un genitore.

La CRI gestisce il soccorso in occasione di eventi di vario genere. Qui Miriam durante la cerimonia di chiusura dell’anno scolastico a Garbagnate
Infine c’è una preparazione specifica per i volontari CRI che operano in collaborazione con la Protezione Civile per il soccorso in occasione di calamità.

Un nuovo servizio CRI Comitato Groane per l’attuale emergenza
L’attività principale resta sempre però l’Emergenza/Urgenza.
Sì certo. Per questa attività è necessario un corso di formazione di almeno 18 mesi con un esame finale presso l’AREU (Azienda Regionale Emergenza Urgenza): uno scritto e prove pratiche in cui si simulano situazioni che vanno gestite.
Ogni azione in emergenza ha un protocollo obbligatorio che va seguito scrupolosamente, anche per non rischiare di farsi prendere dal panico in situazioni di particolare gravità.
Inoltre è importante imparare a valutare i rischi, entrare nell’ottica che chi porta soccorso deve essere in una condizione di assoluta sicurezza personale. Un esempio? Non si può entrare in un ambiente se si sente puzza di gas. In questo caso si può operare solo in collaborazione con i Vigili del Fuoco.
Una parte determinante dell’esame è l’utilizzo del Defibrillatore, fondamentale per soccorrere una persona in arresto cardiocircolatorio: ogni 2 anni si deve ripetere questa prova, dopo opportuno retraining.

I componenti della squadra “Del Mercoledì Notte” cenano insieme prima di “dare macchina”, cioè prima che inizi il turno. Miriam è al centro
Un programma impegnativo
Perché la certificazione sia valida, ogni anno è obbligatorio effettuare almeno 15 ore di retraining ed 200 ore di servizio, cioè almeno 2 notti al mese.
Se consideriamo che circa il 70% delle persone che indossano la divisa rossa della CRI è composto da volontari con lavoro e famiglia, ci rendiamo conto del grande sacrificio che implica gestire questa attività!
Del resto però senza una buona formazione non è possibile mantenere la calma in situazioni di vera emergenza: Miriam ricorda con emozione il salvataggio in ambulanza di una donna in arresto cardiaco, evento in cui a volte solo pochi secondi possono dividere la vita dalla morte. Chi soccorre deve per forza acquisire un automatismo che gli consenta di intervenire correttamente e in modo tempestivo.
L’esperienza di Miriam
Miriam è attiva in Croce Rossa da 7 anni e da 3 ha la qualifica di “capo servizio”: è responsabile e coordinatrice di una squadra di 4 persone (autista compreso). Precisa che però, in tempi Covid, le squadre si sono oggi ridotte a 3 componenti in quanto molti non si sono sentiti di rischiare, magari diventando veicolo di contagio per la propria famiglia o sul posto di lavoro. Alcuni addirittura si sono sentiti chiedere di rinunciare ai turni in ambulanza dai loro stessi datori di lavoro.
Per il sì o per il no, è stata una scelta molto difficile.
Chi continua oggi lo fa anche solidarizzando con medici e infermieri che lavorano giorno e notte, a rischio della vita. E così i turni aumentano, insieme alle precauzioni e anche… alla paura, provvidenziale molla di difesa che fa stare più attenti.
A squadra ridotta, aumenta molto anche lo sforzo negli interventi.
Miriam racconta il soccorso a un uomo di 170 chili: come riuscire a portarlo in ambulanza, quando dalla centrale ti dicono che, causa emergenza Covid, non hanno nessun aiuto da inviarti?
Problema risolto con l’autorizzazione dalla centrale a discostarsi un po’dalla prassi normale.
Solo la centrale può farlo (le conversazioni sono registrate), altrimenti il volontario deve rispondere di ogni sua iniziativa, anche penalmente in caso di errori. Così come l’autista del mezzo è responsabile nell’eventualità di un incidente, nel caso in cui non abbia seguito i protocolli che regolano ogni ambito durante le missioni.
Volontari sì, ma con un bel fardello di responsabilità!
Il soccorso in tempo Covid

Tenuta anti Covid in “stile Ghostbuster”, come la definisce Miriam
Miriam racconta che in questo periodo sono scomparse le chiamate per motivi più lievi. Oggi sono richiesti solo interventi classificati come Gialli, ossia emergenze che potrebbero portare a complicazioni importanti, o Rossi, i più urgenti e drammatici, con pazienti a rischio della vita.
Poi ci sono i Covid. Per limitare il contagio, qui il protocollo prevede che solo il capo servizio, opportunamente vestito con tuta, doppi guanti, calzari e tutto il resto, entri in casa del malato e con lui poi vada nella parte posteriore dell’ambulanza. Finito il servizio, gli indumenti devono essere eliminati e il mezzo totalmente sanificato.
Ogni giorno mediamente girano per Milano e province lombarde circa 800 ambulanze per servizi 118. In questo periodo sono circa il doppio. Le sirene suonano solo in caso di interventi Gialli o Rossi. A Bergamo e provincia, durante il picco, è stato decretato di suonare solo in caso di servizi in codice Rosso, per evitare eccessiva ansia nella popolazione. ( dati Areu https://www.areu.lombardia.it/web/home/home)
Grandi pericoli e grande impegno sempre
In ogni caso si suona sempre la sirena negli incroci, per la sicurezza. La stessa sicurezza che fa chiamare i carabinieri davanti al paziente sotto l’effetto di stupefacenti e col coltello in mano, o al soggetto con Aids conclamato che minaccia di sfoderare le unghie. Esperienze vere che Miriam racconta con toni vivaci.
Nei corsi di formazione insegnano anche a valutare eventuali vie di fuga in situazioni di pericolo. Come pure l’atteggiamento da usare con i pazienti psichiatrici aggressivi: quando è il caso di agire e quando invece è meglio stare fermi per non spaventare e scatenare reazioni incontrollate. Sempre occhi negli occhi, mai dare le spalle.
L’esperienza aiuta a sviluppare l’istinto, l’attenzione ai particolari, a mantenere il controllo della situazione e il sangue freddo per valutare i rischi.

Miriam a Roma, scelta per rappresentare il Comitato Groane in un incontro della Croce Rossa con Papa Francesco
Esperienze difficili da dimenticare
Tutti adesso sono ancora più sotto pressione. Innanzitutto bisogna trasportare i malati, anche non Covid, soli, senza nemmeno il conforto di un parente vicino, perché la precauzione principale è quella di evitare inutili esposizioni al contagio. E’ lo stesso motivo per cui tutti noi dobbiamo rimanere in casa.
Una difficile gestione quella dei parenti, con tutta una variegata gamma di reazioni davanti al fatto di non poter seguire i loro cari in momenti di grande angoscia.
Comunque i casi più drammatici di questa emergenza sono stati vissuti dagli operatori nel momento del picco del virus, accompagnando i pazienti in ospedale. Nel totale tsunami degli arrivi, sono stati testimoni di momenti convulsi e disperati, talvolta con medici costretti ad applicare scelte su chi salvare per primi e su chi far aspettare, senza nessuna certezza di riuscire a tenere in vita nell’attesa.
Consideriamo che i soccorritori non sanno quasi mai come finiscono le vicende dei pazienti che lasciano in ospedale. C’è di che turbare le notti e l’equilibrio psicologico anche dei più forti!
Non a caso per le squadre dei volontari CRI è previsto un servizio di sostegno ad hoc, con l’aiuto di psicologi, anche loro volontari.
Miriam racconta la difficoltà, dopo queste notti ad altissimo tasso di adrenalina, di tornare a casa, farsi una doccia, e recarsi in ufficio, come tutti gli altri giorni. La fatica di scrollarsi di dosso la battaglia, gli sguardi, le parole, l’empatia che ti spinge a identificarti con chi hai davanti e con i suoi problemi.

Fatica fisica e psicologica in questi tempi difficili
La vita che continua
Ma la vita deve continuare nonostante tutto.
Così Miriam torna al suo lavoro di logistic and shipping manager in una nota multinazionale.
Torna da suo marito Cristiano, che la conosce e la ama così tanto da essere stato lui ad iscriverla al primo corso di soccorso, pur sapendo che questo impegno avrebbe cambiato la vita di tutta la famiglia.
Torna dai suoi due figli adolescenti, Jacopo e Matilde, che pur essendo nell’età della contestazione dei ruoli famigliari, hanno un importante motivo per essere orgogliosi di una mamma così tosta e appassionata.
Torna dal suo papà, medico anestesista rianimatore, che le ha passato i geni giusti e l’energia per essere all’altezza di questo difficile compito.
E allora, a fronte di tutti questi sacrifici e rischi, perché lo fai Miriam?
“Sai che cosa ti ripaga di tutto? Il sorriso pieno di gratitudine delle persone; il “grazie” ricevuto da chi hai aiutato. Un ringraziamento che qualche volta non può nemmeno essere espresso con la voce, ma solo con lo sguardo, e che viene dal profondo.
E’ la consapevolezza che proprio tu hai dato la svolta positiva ad una situazione che sarebbe potuta sfociare nel peggio.
La gioia di sapere che proprio le tue mani hanno salvato la vita di una persona: questa soddisfazione, questa felicità ti dà la carica giusta per continuare ad affrontare tutto.
Dopo situazioni così intense, la tensione si scioglie in un pianto di gioia. Proprio come capita spesso dopo il parto.
In questi casi guardo su, credo e ringrazio.”
Anche questo è un sicuramente un bel modo per donare la vita.

Miriam Crucitti è stata una mia allieva quando insegnavo al liceo. Cara Miriam, stavolta hai parlato tu per due ore e io ho preso appunti. E’ stato bello ritrovarti così speciale.

La Croce Rossa cerca volontari per questo tempo di emergenza
Testo: Silvia Castiglioni
Foto: Miriam Crucitti e fonte Facebook