Le antiche prigioni di Milano
In un momento in cui i cittadini milanesi sono costretti “agli arresti domiciliari” e in cui si fa sempre più strada un provvedimento svuota carceri o addirittura un possibile indulto, vogliamo parlarvi di come si svolgeva la detenzione nelle carceri di Milano.
E allora partiamo dalle più antiche prigioni della città, quelle imperiali romane. Queste erano situate sul luogo dell’attuale chiesa di S. Alessandro. E la stessa chiesa è dedicata al più illustre dei suoi ospiti e al luogo dove fu detenuto per motivi religiosi. Infatti sorgeva qui, già in epoca proto-romana, un muro e una posterla di comunicazione tra il castrum e la campagna, e a ragione di ciò sono stati rinvenute parecchie strutture sotterranee in ciottoli, collegabili ad un muro. Risulta disposto e orientato secondo il piano regolatore romano imperiale, ortogonalmente alle vicine Via S. Zebedia, Posterla e Arcimboldi e adiacente al cardo maior che passava per Via Lupetta. L’area, sul finire dell’impero romano, era occupata dal Pretorio e dalle carceri dette «di Zebedia», che daranno il nome alla vicina strada.

G. GHISI (da GIULIO ROMANO), La prigione dei supplizi (seconda metà XVI sec.)
Ed è in questo frangente che il luogo si incrocia con la storia del santo soldato cristianizzato, intorno al quale già intorno al VI sec., fiorisce una vera e propria leggenda: Alessandro era comandante di centurie, vessillifero della legione Tebea, costituita da soldati di origine egizia, normalmente di stanza ai confini orientali dell’impero. Ma all’inizio del IV secolo, l’imperatore Massimiano dovette contrastare gli attacchi dei Marcomanni, e trasferire la «Tebea» in Gallia. Quando giunse presso le Alpi, la legione ricevette l’ordine imperiale di giurare fedeltà all’Impero sull’altare delle divinità e di perseguitare i cristiani. I legionari cristiani si rifiutarono di obbedire, e vennero dapprima umiliati con la flagellazione pubblica, e successivamente sterminati. Alessandro, con alcuni compagni, riuscì a fuggire e riparare in Italia. Ma giunto a Milano venne riconosciuto e incarcerato. Riuscì di nuovo, con l’aiuto di due correligionari, a fuggire a Como. Di nuovo scoperto, fu ricondotto a Milano e condannato alla decapitazione. Al momento dell’esecuzione, però, il suo carnefice, Martianus, venne assalito da tale panico e tremore da non riuscire ad eseguire la condanna. Alessandro fu allora rinchiuso nuovamente in carcere per morirvi di stenti.

La basilica di S, Alessandro in prigionia (facciata)
Ancora oggi, sopra il portale maggiore della chiesa, un altorilievo raffigura il martire cristiano mentre indica la chiesa eretta in suo onore e, sulla destra, le inferriate del carcere romano, presso cui era rinchiuso. Ma già nel VI secolo esisteva una chiesetta presso le antiche carceri di Zebedia, a ricordo del martirio del santo-soldato.
Le carceri medioevali
Si conoscono cronache in cui gli accusati di reati politici venivano appesi in gabbie nei pressi del Broletto o nelle segrete del Castello Sforzesco o ancora presso alcune porte fortificate al di là del primo fossato voluto da Azzone Visconti (in pratica la cerchia dei Navigli).

Le segrete del Castello sforzesco adibite a carceri.
Altre carceri tristemente noti, furono quelle della Malastalla (oggi scomparse, nell’isolato compreso tra la Via Torino/Via Spadari/Via Orefici). Si trattava delle antiche prigioni milanesi, soprattutto destinate agli insolventi, chiuse solo nel 1787 e note fin dal periodo comunale, adiacenti alla casa Missaglia. Ebbero grande attenzione da parte del vescovo Galdino della Sala, che nella seconda metà del XII sec., stabilisce delle rendite per i carcerati per debiti, nel quadro di un piano per il soccorso ai poveri, che in quel periodo si erano moltiplicati: gli ultimi, i carcerati per debiti, quelli che non osano chiedere. Anche in memoria di ciò, il pane per i poveri di Milano comincia a chiamarsi “pane di san Galdino”. Bernabò Visconti nel 1359, assegna una cifra annua ai carcerati della Malastalla per continuare a provvedersi di pane. Per questo, secondo alcuni autori antichi (Torre, Ripamonti) il carcere sarebbe stato costruito dal Visconti. Nel 1466, Bianca Maria Visconti fonda qui la Compagnia dei Protettori dei carcerati. Ha come scopo opere a difesa e a vantaggio dei carcerati, per chi riceve sopprusi dai carcerieri e il controllo di fondi e lasciti a favore dei reclusi.

Foto storica dell’inizio del XX sec., che immortala il cortile interno alla Malastalla
Nel 1477 viene distrutto da un incendio e viene ricostruito più grande. Ma sin dal 1569, già in piena epoca spagnola, però comincia a farsi largo il progetto di spostare le carceri in un luogo più consono e in condizioni di vita carceraria più umane: in una seduta dell’ufficio di provvisione di quell’anno, si propone di “comprare l’isola del postribolo pubblico, et ivi fabricare le prigioni in loco et scontro di detta Malastalla”. L’acquisto sarebbe stato fatto dai deputati del Luogo Pio della Malastalla vendendo il vecchio fabbricato, con l’aiuto del Comune e di altri benefattori. E’ l’inizio di un’operazione voluta dall’arcivescovo Carlo Borromeo che mira in primo luogo ad eliminare il quartiere a luci rosse di Milano, detto il Castelletto, e spostare, nello stesso isolato, il Capitano di Giustizia ancora residente in quel tempo nel palazzo arcivescovile.
Prima di parlare di questa operazione, per la costruzione di nuove e più ”moderne” carceri, vediamo che fine fa l’isolato della Malastalla. Nel 1788 dopo un’asta infruttuosa bandita a febbraio, viene venduto per 23.000 lire a certo Prospero Navrizio. Le carceri erano state soppresse l’anno precedente e i carcerati trasferiti nel nuovo Palazzo di Giustizia, di cui vi abbiamo testè parlato. I resti della Malastalla rimasero abbandonati e in rovina, per circa 150 anni, fino ai primi decenni del XX sec. Tra il 1928 e il 1935, una forte campagna stampa cerca di allontanare il pericolo di vedere abbattere la singolare costruzione quattrocentesca nell’isolato affacciato su Via Torino, che mostrava ai passanti porticati, finestre e soggette sovrapposte.

Parte della facciata della Malastalla possiamo oggi vederla appoggiata sulla cortina nell’angolo a sud-est della Piazza d’Armi del Castello, accanto all’ingresso della Biblioteca d’Arte
Si decise salomonicamente, dopo i necessari pareri della Soprintendenza e del Ministero di smontare il tutto, per rimontarlo in qualche altro luogo, meno appetibile dal punto di vista commerciale. A questo punto non si trovò altra soluzione che trasferirlo al Castello, dove nel 1935 ne veniva rimontato un solo lato a ridosso di una cortina del cortile d’armi, dove ancora oggi fa bella mostra di sé.
Il palazzo del Capitano di Giustizia e le carceri nuove
E ora veniamo alla costruzione del Palazzo del Capitano di Giustizia o dei Tribunali con annesse prigioni (o Vecchio Tribunale), di cui abbiamo parlato prima, e tanto citato anche dal Manzoni durante la peste de “I Promessi Sposi”. Come dicevamo dal 1569 si comincia parlare di costruire qui (nell’attuale Piazza Beccaria) il nuovo palazzo di Giustizia e le prigioni. Il nuovo palazzo, quello che oggi è la sede della Polizia Municipale, sarà costruito tra la fine del XVI e il XVII sec.: nel 1578 Iniziano i lavori del nuovo palazzo delle Nuove Carceri. Si inizia a costruire dal lato destro sul luogo della vecchia chiesa di San Giacomo Rodense, che verrà in seguito inglobata nel nuovo edificio, mentre le case nel quartiere delle prostitute restano sul lato sinistro fino al 1616.

Ecco come si presentava la facciata su Piazza Beccaria tra la fine del XIX e l’inizio del XX sec
Se da principio doveva trasferirsi soltanto il carcere della Malastalla, poi si decide di collocarvi anche il Capitano di Giustizia e il tribunale. I lavori vengono condotti con grande lentezza e non risultano ancora conclusi nel 1630. Nel 1605 si ha la costruzione del portale del palazzo. Una lapide citata dal Torre ricorda Filippo III e il governatore Fuentes come patroni dell’opera. Nel 1784, essendo esautorata la carica del podestà, le carceri vengono qui trasferite definitivamente. Nel 1786, con l’arrivo delle carceri il palazzo viene ampliato. Divenne nel XIX sec. teatro dei processi contro i patrioti risorgimentali milanesi (ricordati anche da alcune targhe affisse), acquisendo una connotazione di luogo di detenzione politica. Tant’ è vero che i malfattori e i protagonisti di reati comuni vengono preferibilmente destinati alle carceri austriache in porta Nuova (di cui fra poco vi parleremo). Nel 1818 il Gilardoni rifà la facciata ed è ampliato anche il recinto carcerario. Nella seconda metà dell’Ottocento sarà ancora oggetto di addizioni e sopraelevazioni per far posto agli uffici giudiziari del Regno. Anche nel periodo post-unitario ospiterà le prigioni cittadine, almeno fino alla costruzione di S. Vittore. Intanto, già dal 1868 si era aperta la piazza antistante, dedicata a colui che aveva stigmatizzato le atrocità di certi regimi carcerari sotto le dominazioni straniere in Italia: Cesare Beccaria.

Vista del Palazzo, con la facciata su Corso Europa (già Via S. Zeno). Si vede chiaramente la parte più antica e irregolare sulla destra, più prossima a Piazza Beccaria
Nel 1879, l’edificio viene liberato ai fianchi e sul retro dalle catapecchie, che lo circondavano, per far posto alle due nuove ali laterali e alla fronte posteriore dell’ing. Nazari sull’allora Via San Zeno per ospitare i nuovi Uffici dei Tribunali Civile e Penale. Successivamente, altri lavori furono condotti dal Genio Civile, tra cui il sopralzo dell’ultimo piano, per ridurre i danni dell’incuria e del sovraffollamento. Del 1934 sono i lavori di consolidamento del cortile. Passato dallo Stato al Comune, questo lo cedeva poi alla Provincia nel 1939 per alloggiarvi un Corpo di Polizia.
Nel 1940 anche il Tribunale lasciava il palazzo per trasferirsi nella nuova sede appena ultimata.
Nel 1955 il Comune riacquista il palazzo gravemente danneggiato dai bombardamenti. Il progetto di ricostruzione e restauro è di Piero Portaluppi. I restauri si svolgono tra gli anni 1958-66. Oggi è adibito a Comando Centrale della Polizia Municipale.
La Casa di Correzione di Porta Nuova
L’altra Casa di Correzione austriaca di cui parlavamo prima, ormai scomparsa, si trovava sull’isolato Via Appiani/Via Parini/Bastioni di Porta Nuova.
Infatti è del 1753, il decreto imperiale teresiano per la sua costruzione, nuovo modello di carcere, simbolo dell’oppressione straniera asburgica. Nel 1758 sarà acquistato il terreno e affidato il progetto prima all’ingegner Merlo e poi agli ingegneri Galiari e Croce.

Il nuovo progetto della Casa circondariale di Porta Nuova, con la pianta a crociera e l’alzato severo tipico dell’epoca
I lavori iniziano su progetto di Francesco Croce nel 1762 e il carcere entra in funzione il 27 giugno 1766. Accanto alle carceri doveva essere costruito l’albergo per i poveri, ma l’iniziativa doveva venire superata della contemporanea creazione del Pio Albergo Trivulzio.
Nel 1776 Piermarini progetta il completamento della Casa di Correzione, che fino ad allora aveva un solo cortile. Nel 1786 il Piermarini progetterà un secondo ampliamento dell’edificio. Si ricorderà tristemente dalle cronache per aver ospitato anche i patrioti condannati dal governo austriaco. Successivamente fu utilizzato per altri usi e poi riadibito a carcere nel periodo post-unitario. Infine fu usato come ricovero per gli sfrattati.
Nel 1927, grazie ad una convenzione tra Stato e Comune, l’area dell’ex-reclusorio di Via Parini/Bastioni di Porta Nuova veniva ceduto alla municipalità e nel 1928 ne veniva sancita la totale demolizione. Oggi sullo stesso luogo possiamo vedere edifici del periodo fascista, di Muzio e altri.
Era già l’epoca in cui i criminali si erano posti a servizio del nuovo regime e gli oppositori si mandavano a scontare le loro tristi pene a S. Vittore, costruito tra il 1872 e 1879.