Osterie, taverne, locande, mescite e vinerie: l’happy hour della Milano di una volta
In un periodo dalla dilatazione temporale che va dall’impero romano fino all’avvento della TV, gli uomini dopo il lavoro, e ancor più gli sfaccendati della nostra città, passavano la maggior parte del loro tempo nelle osterie, a bere, mangiare uno spuntino, giocare d’azzardo e qualche volta a far rissa.
Era un luogo senza tempo, crocevia di incontri delle unità di vicinato, visto la numerosità delle botteghe, quasi una per ogni via. Erano spesso luoghi bui, quasi degli antri, con una sola luce, spesso quella di ingresso. Erano costituiti da un grande stanzone dominato dal bancone e dalle botti da dove si spillava del vino, spesso di bassa qualità, o nel migliore dei casi, quando arrivava dalla Puglia (da qui il nome di “trani”), alleggerito dall’acqua.

Foto del 1927: bar -Trani e Barletta- situato in via Pastrengo, 4 nella zona di Porta Garibaldi.
Alcune possedevano anche una cantina sotterranea dove si stipavano le provviste, appese alla volta per evitare il contatto coi ratti, che erano la popolazione più numerosa, in quei luoghi infestati dall’umidità di risalita o da qualche roggia confinante, dove si riversavano i miasmi delle latrine di fortuna per gli avventori. Di questi chi oltrepassava quel portone sudicio sapeva di entrare in una realtà protetta, come un rifugio per malfattori ma anche luogo di insidie che ti insegnavano a stare al mondo: uscivamo bestemmie, grida ed imprecazioni, ma anche risate, urla, discorsi e maldicenze. Era rappresentazione teatrale viva dei milanesi del rione, dove le ingiurie si fondevano ai silenzi, ai sorrisi ed alla disperazione, ma dove si poteva anche assistere ad alcune forme di arte ormai perduta, come quella dei cantastorie, dei menestrelli dal dialetto verace, e dei barbapedana (come si chiamarono fin dal XVII sec), la cui memoria è tramandata dagli scritti di Carlo Maria Maggi e più tardi da Arrigo Boito.
Questi erano musicisti di strada, così bravi a intrattenere gli avventori di locande e ritrovi, mescite, vinerie, da essere ancora ricordati nella memoria popolare.

Uno degli ultimi cantastorie di Milano, fotografato tra la fine dell”800 e inizi ‘900
Si riconoscevano oltre che dalla chitarra anche da un loro particolare vestiario: l’immancabile cappello a cilindro, addobbati da una coda di scoiattolo. Accompagnavano le loro filastrocche e canzoncine, che si caratterizzavano per un repertorio castigato nelle ore diurne e quello più volgare quando l’ora si faceva tarda e le tante bevute cominciavano a fare effetto, lasciando andare i freni inibitori.
I luoghi
L’interno, delimitato dal grande portone ligneo, rimaneva per secoli, come era sempre stato. Il pavimento, in lastricato di grigia pietra di beola lombarda, lisciato e consumato, da anni ed anni di calpestio, con le grige losanghe irregolari che sapevano di sputi e di vomito maleodorante intriso di vino. La volta a botte, in mattoni faccia vista, con l’intonaco oramai scrostato in più punti che una volta tradiva un po’ di decoro, faceva trasparire spesso un passato più degno. L’oste in questi casi si vantava di aver ospitato nella sua taverna in tempi remoti, ma non troppo, signori e signorotti, cornuti e prostitute. E spesso il meretricio non aveva mai cambiato residenza, non si era mai allontanato da quei luoghi, poiché dove c’era il bere c’erano anche altri vizi. Ma bastava contare meno di trenta passi che lì vi scorrazzavano bambini, già divenuti grandi, troppo in fretta, o vi era una chiesa sempre aperta sia d’ estate che d’ inverno, di giorno e di notte, per dare asilo ai rifugiati. Insomma sacro e profano aleggiavano subito fuori dall’uscio.
Alcune, le più rinomate, ma non sempre quelle dall’oste più onesto, avevano anche una stanza retrostante per gli incontri riservati, dedicati ai malviventi che lì organizzavano i propri colpi, in cui spesso il proprietario era complice, oppure per i cospiratori o per i patrioti, nei casi più nobili. Altre avevano magazzini attigui o fondaci dove vi si potevano depositare merci per i mercanti, altre fungevano da stazioni di posta con tanto di stalle per il cambio cavalli. Insomma, erano attività commerciali al minuto con una utilità sociale indubbia, caratterizzate dal popolino che risiedeva nel quartiere o da alcuni avventori di passaggio, che arrivavano da fuori città per i loro commerci e quindi inconsapevoli veicoli delle ultime notizie, che sarebbero echeggiate ben presto nell’intero quartiere.
Ma dov’erano queste famose osterie?
Nell’antichità, famose erano quelle del Bottonuto, dei Due Muri o dell’odierna Via Torino o del Laghetto, dove il tessuto sociale era particolarmente connotato dalla delinquenza o dai facchini, anche se qui come in altri quartieri i palazzi nobiliari erano attigui alle catapecchie del popolino, tutti affacciati sui vicoli o sulle strade tortuose e umide della rete di comunicazione del tessuto gotico.
Abbiamo detto come fossero distribuite un po’ per tutta Milano, soprattutto nei quartieri popolari. Ma la massima concentrazione era nei pressi delle porte urbiche, dove c’era un più frequente passaggio di viandanti e mercanti che entravano e uscivano dalla città.
Presso Corso di PORTA ROMANA, c’era e c’è ancora una via che addirittura prende il nome di Via Osti, per le tante osterie appunto che si affacciavano sulla via, più o meno controllate dalla canonica di S. Nazaro, che le utilizzava per aumentare gli introiti. L’ultima rimasta, chiusa agli albori del XXI sec., era lo Stomaco di Ferro, che ebbi la fortuna di vedere ancora aperta. Nasceva come bettola con mescita di vino, uno dei luoghi più amati dai carrettieri degli inizi del Novecento, tanto «che ognuno, entrando – si legge in un saggio sulle osterie milanesi che risale agli Anni Trenta – trovava già bell’e servito nel bicchiere… sicché non avevano che da pagare i suoi cinq ghei, bere e andarsene». Peraltro questa è sempre stata una zona ricca di luoghi di ristoro, proprio per i forti traffici dal sud del contado. Come non ricordare anche la famosa e poco lontana Osteria della Luna.
Nel XIX sec., fino al 1926 sul Corso, all’altezza del n.51/53 si registra prima della costruzione del palazzo di Magistretti, la presenza dell’Hotel delle Due Spade, una squallida locanda popolare, stazione di posta e ricovero per carrettieri. Poco più avanti, nel palazzo del Teatro Carcano, prima della costruzione dell’edificio anni Venti, si ricorda un’insegna con la dicitura “Antico Stallazzo”.
Sempre in prossimità di una Porta, ma stavolta quella ORIENTALE O VENEZIA, vi era la più famosa Osteria della Stadera, scomparsa, che si trovava alla fine di Corso Venezia sulla sinistra, di fronte all’ingresso dei Giardini Pubblici. Si trattava della classica osteria posta all’ingresso della città, per i viandanti in ingresso o in uscita dalla città, da Est. Anche il nome ricorda gli strumenti del dazio, posto sulla strada dei commerci per Bergamo e Brescia: la stadera è la bilancia per pesare le merci. Qui, peraltro, a conferma che fossero luoghi di consessi della più varia natura, nel 1782, Francesco Bolchini fonda con 32 soci borghesi, la Società del Giardino per esercitare il gioco delle bocce e per riunirsi all’aperto. Ciò vuol dire che l’esercizio doveva essere dotato di un discreto spazio a verde retrostante. Si fermerà qui fino al 1786, per poi divenire in Via S. Paolo, uno dei club più esclusivi di Milano.

La Cascina Cuccagna in una foto degli anni ’60, ben diversa da come si presenta oggi.
Fuori da PORTA TOSA O VITTORIA, un’altra osteria famosa era quella collocata presso la Cascina Cuccagna (già Cascine del Torchio): prese questo nome per via dell’albero della Cuccagna che un oste aveva piantato nel giardino della sua osteria per richiamare clientela.
Un’altra osteria su questa direttrice è l’Antica Trattoria Bagutto (Via Vittorini 4) nel borgo di Ponte Lambro, o quella della Cascina Gobba, ormai divenuta toponimo.
Fuori PORTA NUOVA come non citare l’amatissima Cassina de Pomm, sulla Martesana, all’altezza della sua immissione sull’odierna Via Melchiorre Gioia.
In PORTA TICINESE, le cronache ricordano l’Osteria Tri Scagn (o Scagni, scomparsa, angolo del Carrobbio tra Via Medici/Via del Torchio/Via Torino)
Sul Carrobbio, verso il Torchio dell’Olio si affacciava un tempo l’osteria dei “Tri Scagn”, il cui nome ricordava un’antica consuetudine del giorno dell’Epifania. Le reliquie dei Magi venivano portate con una processione solenne da S. Eustorgio a S. Maria Maggiore (l’attuale Duomo) e viceversa. Arrivati al Carrobbio i sacerdoti si riposavano un po’ su tre seggiole o “scranne” offerte loro dal popolo. L’osteria venne in seguito sostituita da un ristorante delle “Tre Scranne”, oggi anch’esso scomparso. Nel 1893 alcuni clienti del ristorante fondano la Tazzinetta (poi Tazzinetta Benefica) che distribuiva a Natale i “Cesti” di generi alimentari alle famiglie bisognose della zona.

In una fotografia del 1946, viene immortalata uno degli ultimi trani del Ticinese: il famoso Nigretti, in Via Sambuco, luogo di ritrovo degli straccivendoli.
Ne potrei citare tantissime altre, come la Trattoria Bagutta, o la vineria Moscatelli nel vecchio Corso Garibaldi, ma vorrei concludere con una delle più antiche, sorta in un quartiere popolarissimo ma che oggi sta a ridosso del quadrilatero della Moda, l’Antico Ristorante Boeucc. Quet’ultimo caso dà a tutti il segno di come sia cambiata nel corso di un secolo questa città.
One comment, add yours.
Francesco
Buongiorno, sono alla ricerca di foto di antiche osterie, bar e locali di Milano, come quelle che sono mostrate su questo articolo. Le foto mi servirebbero per poterle esporre in un locale pubblico. Mi sapreste dire dove posso acquistare le stampe?
Grazie e scusate l’intrusione.