Il momento dell’isolamento: le voci dei milanesi che vivono all’estero
Quando abbiamo stappato lo spumante abbracciando amici e parenti la notte dell’ultimo Capodanno non avremmo mai immaginato, anche con la più fervida fantasia, di ritrovarci, nemmeno tre mesi dopo, confinati in casa e con l’obbligo di mettere almeno un metro di distanza tra noi e qualunque altro essere umano.
Una situazione surreale, incredibile, degna giusto di un romanzo di fantascienza. Invece tutto si svolge proprio nel nostro bel paese e la nostra amata Lombardia è esattamente l’epicentro di uno scenario tragico e assurdo che in tempi rapidissimi ha cambiato nel profondo la vita di tutti noi.
In un momento come questo è fondamentale mantenere virtualmente i contatti fra di noi e col resto del mondo: comunicare per non sentirsi soli, una battuta per alleviare la tensione, un abbraccio virtuale per stemperare l’angoscia e la paura.
Le Cascate del Niagara illuminate col tricolore italiano per esprimere solidarietà e amicizia in questo momento difficile
Oggi che i confini sono bloccati, ci affacciamo virtualmente al di là della frontiera per alcune testimonianze di milanesi che vivono all’estero: come stanno vivendo l’evoluzione di questa che proprio ieri è stata classificata come una vera e propria pandemia, un mostro che ormai si aggira, con effetti tragici, in tutto il mondo?
CANADA
Alessandra Gatti è nata a Milano da genitori milanesi, ma da quando era bambina vive nella regione del Québec dove la sua famiglia si è trasferita per motivi di lavoro.
Il suo legame con Milano e l’Italia è però sempre rimasto vivo: a Montreal ha frequentato la scuola delle Suore Marcelline, che proprio lì hanno ben due bellissime sedi, ha sempre parlato italiano con la sua mamma, snocciolando di tanto in tanto anche simpatiche espressioni in dialetto meneghino, e non ha mai perso occasione per venire in Italia, che lei ama moltissimo, da sola o con marito e figlie, a trovare i suoi numerosi amici.

Alessandra (prima a sinistra) e suo marito Thomas nel loro più recente viaggio in Italia, lo scorso luglio
Come vivono in Canada l’emergenza Coronavirus?
Una ventina di giorni fa, quando l’ho sentita per la prima volta al telefono, Alessandra ci ha raccontato che in Canada la presenza di casi di Coronavirus era segnalata solo sulla costa ovest del paese, nella British Columbia, la regione della città di Vancouver, a ben 4.500 kilometri (3 ore di fuso orario) da Montreal: quindi non influenzava più di tanto la vita nel Québec.
Da un recentissimo aggiornamento con Alessandra, oggi la situazione è molto cambiata: mediaticamente il Canada ha preso piena coscienza di avere il problema in casa il 13 marzo, quando la moglie del premier Justin Trudeau ha contratto il virus, pare durante un viaggio a Londra; di conseguenza anche lo stesso premier ha dovuto auto isolarsi e lavorare da casa.
Già da una decina di giorni, per prevenire l’avanzare del virus, che adesso è presente su tutto il territorio, il governo ha dunque imposto misure di sicurezza e severe sanzioni per chi non le rispetta. Inoltre il 20 marzo ha chiuso la frontiera con gli Stati Uniti per quanto riguarda il “traffico non essenziale”.

Quella fra Canada e USA è la più lunga frontiera al mondo fra 2 singoli stati
Un discorso molto rassicurante è stato pronunciato dal primo ministro della regione del Québec François Legault per tranquillizzare tutti coloro che non possono lavorare in conseguenza del lockdown.

La bandiera della regione del Québec
Naturalmente la preoccupazione è presente in tutti e, come è successo qui da noi, quando sono entrate in vigore le misure di sicurezza i supermercati sono stati presi d’assalto. Una curiosità: gli articoli più richiesti sono stati la pasta, alimento non proprio tipicamente canadese, ma visto come genere non deperibile, e, proverbialmente, la carta igienica.

Per fronteggiare un’eventuale penuria, sono state segnalate anche lunghe code davanti ai negozi che commercializzano cannabis!
REGNO UNITO
Da quasi 4 anni Giacomo vive a Londra, partito da Milano con in tasca una laurea triennale in Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative, ha completato lì il suo percorso universitario con un master. Per lui Londra sembra essere davvero il posto ideale, dove oggi lavora con soddisfazione nel suo settore, studia per conseguire l’abilitazione da attuario qualificato e si diverte nel tempo libero suonando come pianista jazz.
Tutto andava per il meglio, ma ora questo problema, che come un domino sta travolgendo tutti i paesi europei e non solo, fa tremare i suoi genitori che vorrebbero saperlo al sicuro in questo momento di incertezza e preoccupazione.
E’ un problema comune a molti genitori che in questo periodo hanno i loro ragazzi all’estero per studio o per lavoro e sui social è un fiorire di gruppi dedicati a queste famiglie che vogliono scambiarsi informazioni e rimanere in contatto.

E’ un grande conforto per le famiglie poter condividere le proprie esperienze in questo momento di emergenza
Sono stata in contatto con Giacomo durante queste ultime settimane in cui gli avvenimenti si sono succeduti in modo frenetico sia da noi, sia in Inghilterra:
nel nostro primo colloquio 20 giorni fa mi ha parlato di 300 casi di coronavirus in Gran Bretagna; ad oggi se ne registrano 5.000, in un’esplosione che ha profondamente cambiato l’atteggiamento degli inglesi nei confronti del virus.
I primi casi a Londra si sono verificati in persone provenienti dall’Iran e dall’Italia, in particolare perché in febbraio, durante la settimana di vacanze scolastiche di metà semestre, numerosi ragazzi si sono recati in Italia per la settimana bianca.
Così, mentre all’inizio la flemma dominava ancora la società londinese, le aziende cominciavano a fare i primi test di smart working, modalità che esiste già da tempo in Gran Bretagna, coinvolgendo per l’occasione la totalità dei dipendenti.
Con il passare dei giorni, in assenza di precise direttive da parte del governo, il paese si è dibattuto in una serie di comportamenti contraddittori.
Un esempio: la Federcalcio inglese ha deciso autonomamente di far disputare le partite a porte chiuse.
Risultato: spalti vuoti e assembramento di tifosi vocianti fuori dagli stadi!

280.000 appassionati di ippica hanno preso parte in 4 giorni al Cheltenham Festival che si è svolto dal 10 al 13 marzo, mentre noi eravamo già tappati in casa…

Anche alcuni membri della casa reale hanno preso parte all’evento, sfoggiando i consueti cappellini
E via con le stravaganze fino al 13 marzo, quando nel suo primo famoso discorso alla nazione il premier Boris Johnson ha raggelato tutti annunciando di non voler prendere misure restrittive, con lo scopo di arrivare a sviluppare l’”immunità di gregge” nel popolo inglese tramite la diffusione del contagio ed esortando i suoi concittadini a “prepararsi a perdere i loro cari”.
Di fronte a questa affermazione sconvolgente, panico: supermercati svuotati, frenesia generale nella psicosi del contagio.
Di qui l’inversione a U del governo: invito all’isolamento per chi supera i 70 anni, scuole e locali pubblici chiusi, regina Elisabetta e marito confinati in luoghi protetti.
In questo quadro confuso 4.000 studenti italiani sono rientrati in una sola settimana grazie a voli speciali di Alitalia.

Migliaia di studenti italiani hanno lasciato Londra
Giacomo racconta che nelle ultime due settimane è molto cambiato anche l’atteggiamento verso l’Italia e gli italiani, dapprima visti come abitanti di un paese in cui il sistema sanitario è di bassa qualità (vista l’alta percentuale di decessi) e presi in giro come attuatori di norme di sicurezza esagerate, poi però considerati più attentamente e alla fine visti come un modello per la serietà delle misure adottate.
Ad oggi Giacomo lavora da casa; è in quarantena perché risulta che una sua collega sia stata contagiata.
Dice che anche lì i numeri ufficiali non sono certamente rispondenti alla realtà in quanto solo le ospedalizzazioni (il 5% dei casi) vengono sottoposte a tampone: secondo uno studio della Oxford University si può invece ipotizzare che quasi metà della popolazione di Londra sia già contagiata.
SVIZZERA
Pierfrancesco T. è un milanese di origini toscane. Da quasi vent’anni lavora e risiede a Lugano per fare ritorno a Milano solo nel fine settimana. Per molti anni attivo in ambito bancario, è adesso insegnante in un istituto superiore del Canton Ticino.
Come si vive in Ticino il problema Coronavirus?
Pierfrancesco ci racconta:
“La situazione qui è cambiata radicalmente nel giro degli ultimi 7/10 giorni come credo stia accadendo in tutta Europa.
Come al solito bisogna distinguere ciò che pensano/dicono le istituzioni da quello che pensano gli specialisti o anche solo coloro che riescono ancora a fare un ragionamento logico.
I secondi da tempo consideravano la situazione grave e ritenevano necessario prendere decisioni forti, la politica come spesso capita manifesta i propri limiti e pensa troppo ai risvolti economici a breve termine.
Da una quindicina di giorni sono state emanate disposizioni di carattere igienico da parte degli organi preposti alla tutela della salute, ma sempre su base volontaristica e senza dare quell’impulso che la situazione avrebbe richiesto.
Il risultato è che da non molto sono state prese decisioni importanti tipo la chiusura delle scuole; in un primo momento, a sorpresa, non di tutte ma solo di quelle post-obbligatorie. Per intenderci materne, elementari e medie sono restate aperte ancora per una settimana. La logica resta difficile da comprendere ai più.
Le prospettive non sono rosee e ormai ci si aspetta un’evoluzione tipo Italia perché il virus ovviamente non ha confini e l’unica vera arma a disposizione è evitare il contagio.
Il grande rischio anche qui è la capacità reale di assistere gli ammalati e gli esperti sanno benissimo che non ci sono le strutture per curare un elevato numero di persone con gravi carenze respiratorie.”

Lugano: la bella Piazza Riforma ormai deserta. Per contrastare la diffusione del virus il Canton Ticino, geograficamente “in prima linea”, chiede a Berna l’adozione di misure di sicurezza molto più rigorose.
Come vengono viste Milano e l’Italia in questo periodo?
“Il Ticino ha sempre un rapporto piuttosto difficile con l’Italia, un po’ rabbia un po’ invidia, che manifesta talvolta con atteggiamenti di chiusura e supposta superiorità rispetto agli italiani. In realtà la storia meno recente e le tradizioni legano molto di più il Ticino alla Lombardia di quanto quest’ultima non sia legata al resto d’Italia.
Si consideri il problema dei quasi 70’000 frontalieri che ogni giorno vengono a lavorare qui dal nord Italia: molti cercano di osteggiarli anche in modo talvolta becero, ma senza questi lavoratori il Ticino non funzionerebbe.
In particolare, e vengo al tema del virus, il sistema ospedaliero e di assistenza sanitaria ha assoluto bisogno degli specialisti che vengono dall’Italia.”

Un “ingresso dedicato” per i frontalieri
“E Milano? Milano viene comunque percepita come una città interessante e soprattutto dopo il successo dell’Expo l’interesse da parte di chi abita qui è cresciuto molto, assieme alla considerazione e la convinzione che sia un bel posto dove vivere.
Certo oggi si pensa all’emergenza e i pensieri vanno altrove, ma da qui si ha sempre l’impressione che qualunque cosa succeda, Milano e i suoi abitanti sappiano dare la risposta giusta! Magari non subito, ma presto e con la capacità che questa città sa esprimere.
Quando mi capita di parlare di Milano con i miei amici ticinesi, sottolineo sempre il fatto che questa è l’unica vera Città, con la C maiuscola, in Italia.
Milano sa accogliere tutti coloro che vogliono raccogliere delle vere sfide e che non hanno paura di confrontarsi con se stessi e con gli altri. È sempre più una città internazionale, multiculturale, multietnica e direi moderna nel senso migliore del termine.”
Ringraziamo i nostri cari amici “milanesi all’estero” per le loro interessanti testimonianze e prendiamo queste ultime parole di Pierfrancesco su Milano come un prezioso augurio per la nostra città: perché possa recuperare tutta la sua vitalità in una ripresa che non sarà certamente facile.

Per ora solo l’ambiente sta traendo beneficio dalla situazione: i tassi di inquinamento sono scesi e persino i leprotti sono ricomparsi nei parchi milanesi…
Testo: Silvia Castiglioni
Foto: Ansa, AreaC, Silvia Castiglioni, fonte Facebook, PaddyPower’sNews, Londradavivere, Corriere di Como, infoinsubria, Repubblica.