Progetto Bielorussia per i bambini: un concentrato di affetto e famiglia per farli sentire bene
L’”avventura milanese” che vi presento oggi è una storia straordinaria di amore e solidarietà, con protagonisti meravigliosi.
Circa un mese fa, del tutto casualmente, a casa di un’amica ho conosciuto Ester Mistò Pessina, una scrittrice milanese che ha al suo attivo numerose pubblicazioni come autrice di testi teatrali e racconti, oltre ad essere curatrice di libri d’arte.
Un sorriso aperto e un bell’approccio comunicativo. Alla fine dell’incontro questa elegante e giovane signora, infilando il caschetto e inforcando la sua bici per tornare a casa, mi promette un incontro ad hoc per raccontarmi che cos’è il PROGETTO BIELORUSSIA: l’esperienza che ha cambiato per sempre la sua vita.

Ed eccoci in una nota caffetteria del centro per la nostra chiacchierata
Un incontro per caso
Anche in questo caso, tutto è incominciato con un incontro fortuito. Quattro anni fa non era un gran momento: la crisi economica che continuava ormai da anni si aggiungeva a qualche problema personale.
Una mattina, facendo jogging al Parco Lambro, Ester incontra una sua conoscente, Patrizia Cassani, e si ferma a fare due chiacchiere sulle difficoltà del periodo. Qualcosa però sorprende in questa “sinfonia di toni bassi”: Patrizia è impegnata in prima linea nell’aiutare gli altri e la sua energia è straordinariamente coinvolgente.
A un certo punto Patrizia invita Ester a partecipare come volontaria ad alcune attività che si svolgono presso la parrocchia di San Leone Magno in via Carnia, zona Lambrate.
Ester obietta, dichiarandosi non particolarmente “di chiesa”, ma Patrizia taglia corto: le attività sono aperte assolutamente a tutti.

San Leone Magno. Le attività di volontariato sono aperte a tutti!
Un Natale “in famiglia”
In breve tempo, e con crescente entusiasmo, Ester e suo marito Stefano, psicologo e psicoterapeuta, si ritrovano impegnati nel Centro d’Ascolto, nell’organizzazione della raccolta per il guardaroba dei bambini, poi estesa a tutti i bisognosi, e nell’accoglienza dei senzatetto in occasione dei tradizionali pranzi di Natale e di Pasqua, uno anticipato in parrocchia e uno il giorno di Natale con la comunità di S. Egidio.

Un pranzo di Natale con la Comunità di Sant’Egidio. (photo santegidio.org)
Compiti semplici, di cui si ha bisogno: preparare da mangiare, servire ai tavoli, fare la differenziata in cucina, gestire il guardaroba e riordinare; ma soprattutto ricevere gli ospiti nella piccola cappella della parrocchia, cantare per loro con tutto il gruppo dei volontari, prenderli sotto braccio per invitarli a sedere in prima fila invece di restare intimoriti e soli, in fondo, quasi a non voler disturbare, abituati all’invisibilità, anziché agli abbracci e ai sorrisi.
L’immagine più dolce del loro primo Natale è il visino intimorito di un piccolo rom, perplesso sulla soglia del guardaroba: di tanto in tanto si affaccia per controllare che al tagliandino azzurro che stringe in mano continui a corrispondere la sua giacca. Sai mai…
Alla fine, quando tutti se ne sono andati e si è terminato di riordinare, anche i volontari mangiano insieme quello che è avanzato.
Momenti intensi di un Natale vero in famiglia, in tutta la sua essenza.
Il Progetto Bielorussia
A questo punto Ester e Stefano, che col suo atteggiamento dolce e accogliente vive insieme a lei questi momenti, sono talmente felici di aver condiviso queste esperienze, da decidere di sperimentarne un’altra, assolutamente speciale: aderiscono a un progetto della Caritas Decanale di Lambrate, il Progetto Bielorussia.
Ogni anno nel mese di giugno e nel mese di ottobre un gruppo di bambini arriva a Milano dalla Bielorussia, i piccoli vengono accolti nelle case dei volontari e vivono un’avventura che cambia la loro visione del mondo.
Le famiglie di volontari hanno composizioni varie, alcune volte hanno già uno o più figli, e allora possono chiedere di accogliere bambini che per età e per sesso possano giocare e fare amicizia più facilmente coi loro. Altre volte non hanno figli, per loro scelta oppure no, e in questo caso l’esperienza è forse ancora più forte e coinvolgente: la vita di coppia si trasforma in uno schema famigliare più complesso, magari coronando un sogno, anche se solo temporaneamente.
In ogni caso si creano legami affettivi che restano per sempre.
I gruppi di bambini arrivano con l’interprete, ma poi a casa ci si deve arrangiare da soli. Le parole fondamentali si imparano subito, i gesti e la mimica aiutano: la comprensione reciproca avviene facilmente anche se le lingue sono così lontane.
Insomma, si può fare.
Quelli che arrivano in giugno, durante il giorno si appoggiano alle attività dell’oratorio estivo: quindi gite al parco, al mare e in montagna, Aquapark, musei gratuiti, il circuito per go kart della Polizia Municipale, dove imparare le regole della circolazione, e tutte le varie attività per i bambini che si possono scovare a Milano e dintorni. Consideriamo che per loro è già un grande spasso un pranzetto da McDonalds o un giro in autobus o in metropolitana, magari quella senza conducente!

Un bel giretto in tram può essere un gran divertimento
In ottobre i gruppi arrivano insieme a una maestra che fa lezione con loro presso la scuola di via Feltre. Finite le lezioni, merenda e giochi in oratorio coi volontari.
Alla fine della giornata i “genitori italiani” li portano a casa e nel week end stanno con loro a tempo pieno.
Un aiuto contro gli effetti di Chernobyl
Lo so, sembra singolare che dei bambini, per fare una vacanza, vengano mandati per un mese a Milano! Ma qui bisogna partire dall’inizio di questa storia.
La regione della Bielorussia da cui provengono questi bambini dista poche decine di kilometri dal confine con l’Ucraina, al di là di questo confine c’è la Zona Rossa di Chernobyl, detta anche “zona di alienazione”.
Si estende per circa 30 km di raggio intorno alla centrale nucleare sede del catastrofico incidente nel 1986, il più grave della storia. Tutta l’area è ad oggi ancora considerata contaminata: chi entra può farlo solo con autorizzazione e solo per un tempo assolutamente limitato, nessuno può in ogni caso risiedervi stabilmente.
Le 350.000 persone che abitavano nelle aree contaminate hanno dovuto abbandonarle in poche ore lasciando tutto; non torneranno più, perché il dissolvimento della radioattività dura ben più della vita umana.

La splendida serie TV creata da Craig Mazin e diretta da Johan Renck nel 2019. Ricostruisce il disastro nucleare, gli errori, le inettitudini, ma anche gli eroismi che hanno contrassegnato questa immane tragedia. Ha raccolto ascolti altissimi in tutto il mondo.
Tutti noi che abbiamo vissuto quel dramma dall’Italia ricordiamo l’angoscia del passaggio della nube radioattiva sopra di noi, il divieto di fare attività all’aperto, di consumare verdure a foglie verdi, latte fresco, funghi.
Per loro che abitano lì vicino gli effetti si fanno sentire ancora oggi, con la manifestazione di anomalie alla nascita o tumori, soprattutto alla tiroide. Allontanare i bambini periodicamente da queste zone significa consentire loro di smaltire almeno in parte la radiocontaminazione incamerata nell’organismo.

Nel loro soggiorno a Milano i bambini vengono anche sottoposti ad esami clinici per controllare le loro condizioni.
In più, dal punto di vista umano ed educativo, è un’esperienza di crescita e conoscenza di una realtà diversa da quella a cui sono abituati, qualcosa che non avevano mai avuto la possibilità di vedere e di vivere.

Alcuni dei “genitori milanesi”, ormai diventati un gruppo di amici, che si aiutano e preparano per tutto l’anno l’arrivo dei loro piccoli.
La “delegàzia” va in Bielorussia
Per capire ancora meglio la realtà da cui provengono i “loro” bambini, Patrizia ed Ester, con i loro mariti, si sono recate in Bielorussia a passare la Pasqua nel 2019. Qui inaspettatamente le due coppie sono state accolte con tutti gli onori, in qualità di “Delegazia”, la delegazione italiana.

Una definizione molto ufficiale, che ci fa pensare al solenne protocollo di tempi passati…

Ed ecco i nostri amici, enfaticamente definiti “delegàzia”
A questo proposito la laurea di Ester in lingua e letteratura russa è venuta più che mai utile per comunicare con queste famiglie, alcune delle quali disagiate e con gravi problemi di alcolismo e di disgregazione, altre povere perché numerose, ma piene di armonia e di dignità.
Un viaggio indimenticabile in cui hanno incontrato, tra i tanti, i loro bambini nelle loro famiglie di origine: accoglienza e gioia, abbracci e commozione, fratelli e sorelle, più grandi o più piccoli, che non vedono l’ora di venire anche loro a vivere questa bella esperienza.
Ma l’esperienza è bella per tutti, per chi dà e per chi riceve, in uno scambio di gratitudine che resta per sempre nel cuore di tutti i protagonisti di questa storia.
“Per noi non è volontariato, è famiglia”
Concludo citando le bellissime parole che Ester mi ha scritto stamattina, credo che queste frasi esprimano al meglio tutto l’amore, l’emozione e la gratitudine per poter essere genitori e famiglia:
“Avrei voluto dirti un sacco di altre cose, ma ne è mancato il tempo. Avrei voluto trasmetterti la gioia dei giorni precedenti, quando prepariamo i vestiti, i giochi e la cameretta; la trepidazione alla notizia dell’atterraggio in aeroporto; l’attesa del pullman; il riconoscersi attraverso il finestrino e finalmente il ritrovarsi dopo un anno, stretti in un lungo abbraccio.
Questo mese è fatto di un’infinità di piccoli istanti: preparare la cartella per il giorno dopo, cucinare insieme, scoprire un nuovo gioco o leggere un libro. E’ vero, per noi è più facile perché io leggo in italiano e poi traduco in russo, però facevo queste cose anche prima, con Hayato, il piccolino giapponese di Fukushima che abbiamo ospitato anni fa: sono convinta che con i bambini non ci siano mai problemi di lingua.
Insomma avrei voluto trasmetterti la gioia di tantissimi momenti, concentrati in un mese all’anno. Sicuramente ospitandoli diamo a loro una chance in più, da un punto di vista fisico, mentale e psicologico, ma l’amore che si trasmette non è a senso unico. E’ autentica felicità quando giochiamo a pallone con Dob e Sascia, o quando Kalina si nasconde dietro alla porta per fare gli agguati a Stefano con le braccia spalancate in attesa di un abbraccio o vediamo nei loro occhi lo stupore di fronte a qualcosa che non avevano mai visto prima. Insomma una vita normale, fatta di tante piccole gioie, di stanchezza, di risate, ma anche di qualche pianto per un capriccio o l’inevitabile nostalgia di casa.
Per noi tutto ciò non è volontariato, è famiglia. E’ importante, e non so se per le relazioni che stiamo costruendo con questi bambini, con le loro famiglie o con le altre famiglie che aderiscono al progetto con cui organizziamo tante attività per autofinanziarci.
La nostra vita è cambiata e ormai non solo giugno e ottobre, per noi, hanno assunto uno straordinario nuovo significato.”
Non pubblichiamo foto dei bambini per rispettare la loro privacy. In questi luoghi abitano Dobronrov, bravo e bello come un Piccolo Principe, Kalina e le sue sorelline dall’aria birichina, il piccolo Sasha, tutto occhi dolci e irresistibili orecchiette a sventola, e tanti altri bambini e bambine. Papà con le barbe da Babbo Natale e mamme trepidanti che sperano di vedere i loro piccoli inclusi nel prossimo gruppo.
Chi fosse interessato a partecipare a questo meraviglioso progetto o a replicarlo in altre zone di Milano può contattare Patrizia Cassani, presso la Parrocchia di San Leone Magno, del Decanato di Lambrate patrizia.cassani67@gmail.com .
Ai nostri affezionati lettori che ci seguono da fuori Milano e Lombardia segnaliamo che iniziative come questa sono presenti in molte regioni italiane.
Testo: Silvia Castiglioni
Foto: Ester Mistò, Silvia Castiglioni, wikipedia, Comunità di Sant’Egidio