Da Ambrogio ai biancospini: storia insolita di una città intraprendente

“Qui ci si battezza davvero professionisti, in questa città che ti insegna il bello sempre unito all’efficace e l’ambizione sempre a cavallo di un’operosa lena.”

In copertina, Veduta fantastica di Milano, 1490. Biblioteca Ambrosiana

Sono al Laboratorio Formentini per l’Editoria, fucina di idee per i “lavoratori del libro”, quando mi imbatto in queste parole. Sono di Giacomo Benelli. Professione: illustratore e responsabile delle relazioni esterne del Mimaster. Bellezza ed efficacia, appunto, ad maiora lavorando a testa bassa. Mi ricordano che la storia della mia città si può raccontare anche attraverso le tante vicende di persone e imprese che qui hanno trovato la spinta a imprehendere, a prendere su di sé, ad avviare un’iniziativa con spirito di intraprendenza. E che qui vorrei tratteggiare con qualche spunto, senza dimenticare gli alberi.

Sant’Ambrogio in un disegno di Dario Fo, tratto dalla storia Sant’Ambrogio e l’invenzione di Milano, scritta dall’artista “per essere rappresentata nel quadriportico della Basilica”.

Ambrogio, l’anima del professionismo

Quando Ambrogio arriva a Milano nel 370 dopo Cristo, il borgo è diventato la capitale dell’Impero d’Occidente. Le mura sono già state ampliate due volte e hanno cinquanta torri, ma il futuro vescovo non trova una situazione facile. Milano è cristiana già dal 52, anno del presunto miracolo di san Barnaba – quello del tredesin de marz. Inoltre, nel 313 e nel 355 l’imperatore Costantino ha sancito proprio a Milano la libertà di culto per i cristiani. In città, però, infuria la lotta tra cattolici e ariani (cristiani pure loro) per assicurarsi il soglio episcopale, e Ambrogio, giovane magistrato, uomo del nord non battezzato, si trova a moderare il “comizio” tra i due fautori delle opposte fazioni. Le sue parole parlano di tolleranza e rispetto, di tenacia e costanza: Siate atleti, siate combattenti. Siate allenati, massaggiati con l’olio della letizia, il vostro cibo sia sobrio e privo di lussuria. Siate sempre pronti a ricominciare”. Conquista la folla, che lo acclama, suo malgrado, vescovo. Tenta la fuga, ma non può sottrarsi al destino.

Il giovane Ambrogio in fuga da Milano, formella dell’Altare di Sant’Ambrogio, capolavoro di oreficeria a opera del magister phaber Volvinio, 824-859. Milano, Basilica di Sant’Ambrogio.

Inizia così la sfida con una professione che non ha scelto, ma di cui diventa un eccellente artefice. Mette in campo tutte quelle che, oggi possiamo dirlo, sono le qualità del professionismo milanese: la caparbia operosità, la visione etica del lavoro, il senso di solidarietà e civiltà, l’apertura sul mondo. Umile e tollerante ma fermo e deciso, Ambrogio offre un modello efficace e fa di Milano un polo di riferimento. Nell’incitamento a essere “combattenti” e “sempre pronti a ricominciare” si scorge il seme dell’impegno, della dedizione al lavoro e dell’integrazione che caratterizzano questa città. Dario Fo aveva ragione: Ambrogio è l’inventore di un modello urbano che oggi “battezza” chi vi approda con la voglia di fare.

Incoronazione della Vergine con angeli musicanti, dipinta nel 1508 circa da Bergognone nel catino absidale di San Simpliciano, una delle quattro originali basiliche paleocristiane che ai tempi di Ambrogio vescovo simbolicamente presidiavano le mura e al tempo stesso accoglievano chi arrivava a Milano.

Acqua, arte e tecnologia: made in Milano

Nel 1288, Bonvesin de la Riva, prelato e poeta, nel suo Le meraviglie di Milano dichiara che la città è la più grande di tutte grazie a sei particolarità, tra cui “l’abbondanza di acque”. Viene messo a punto in quel periodo il progetto del Sistema Navigli al quale, un paio di secoli dopo, dà il suo sostanziale apporto Leonardo da Vinci, a Milano presso gli Sforza tra il 1482 e il 1500. Non è un caso che un artista del suo calibro la scelga come sede di lavoro. Già in quell’epoca la città è attiva e intraprendente, offre prospettive. Il suo genio spicca, ma i Navigli raccontano anche la storia di centinaia di artigiani e tecnici che mettono la tecnologia al servizio dell’efficienza, si impegnano con professionalità in un’impresa comune che porta lavoro.

L’acqua collega, trasporta, irriga; l’acqua unisce e ottimizza le competenze; dà impulso all’agricoltura come ai commerci; “fa rete” e soprattutto, ante litteram, “fa cultura”. Nella sua villa di Lainate, a metà Cinquecento, il conte Pirro Litta Visconti Borromeo concepisce un giardino con ninfeo e giochi d’acqua. Chiama gli artisti Procaccini e Morazzone per decorare, gli scalpellini per raccogliere e “incastonare” nelle pareti migliaia di ciottoli dei vicini torrenti, chiama tecnici per allestire l’impianto. Vuole che quel progetto celebri la sintesi tra arte e tecnica, tra estetica e abilità professionale.

Il Ninfeo di Villa Litta, a Lainate.

Ed è una storia simile quella che si dipana nel mondo della pittura: non si va a bottega dal grande artista, ma si cresce nell’impresa di famiglia, dove la creatività è richiesta al pari della buona volontà a lavorare sodo. Così da un lato la mano dell’artista disegna i modelli e dall’altro il mastro artigiano li trasforma in personaggi di affreschi piuttosto che vetrate istoriate. Senza maestranze di questo tipo, quali Zavattari, de’ Mottis, Niccolò da Varallo, i Montorfano, i De Fedeli o i Moretti non ci sarebbero, tra l’altro, le vetrate del Duomo.

Cristoforo Moretti, affreschi dell’abside di San Siro alla Vepra, parte rimanente dell’antica chiesa oggi addossata a Villa Triste.

Ambrogio 2.0

Quanti “Ambrogi” hanno contribuito a fare di Milano quella che è oggi? Quante imprese, opere, iniziative. Decisamente tante. Se siamo arrivati nel luogo del “bello coniugato all’efficace” è perché vi sono state e vi sono persone che hanno saputo coniugare il patrimonio scientifico/culturale con le risorse umane, professionisti dell’imprenditoria e della creatività che hanno intrecciato l’impegno del lavoro con il sapere tecnico-scientifico, il ruolo degli investimenti produttivi con l’opera delle istituzioni formative, nel convincimento che l’economia di un paese, per aprirsi alla competizione internazionale, ha bisogno di strutture civili, culturali e sociali all’altezza. Carlo Cattaneo li avrebbe definiti “interpreti e mediatori fra le contemplazioni dei pochi e le abitudini dei molti”. Pensate a quanto si riconoscono in questa definizione figure come Gio Ponti o Ferdinando Bocconi, ma anche i tantissimi giovani che qui arrivano e possono mettere a frutto le loro capacità.

More is different!”, ha detto il premio Nobel Phil Anderson. Milano ha fatto sua questa lezione di successo.

Via Primaticcio.

E i biancospini?

Per raccontar di biancospini dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, proprio all’origine della città. Narra la leggenda che tra il VII e il VI secolo a.C. alcune popolazioni celtiche guidate dalla mitica figura di Belloveso si spinsero nella pianura, sconfissero gli etruschi e penetrarono nel territorio già abitato dagli insubri. Il condottiero scelse di insediarsi nel luogo in cui aveva scorto una scrofa dal lungo pelo sulla schiena, o semilanuta (medio lanum), simile a quella sul suo scudo, ferma sotto un biancospino, albero sacro alla dea celtica Belisama. Quando i romani arrivarono per spodestare i celti, si dice che trovarono “un mite borgo cinto di biancospini”.

Armata dello spirito intraprendente milanese mi sono messa così alla ricerca di quei biancospini… insomma dei loro discendenti. E ne ho trovati, anche dove non me l’aspettavo.

Via Bisceglie.

Il biancospino, del genere Crataegus, è una rosacea, ciò che spiega la presenza delle spine. Si presenta in forma di arbusto o alberello, con corteccia irregolare e foglie ben riconoscibili.

Dalla primavera all’estate si ricopre letteralmente di fiori bianchi con venature rosa, mentre per tutto l’autunno si infiamma di bacche rosse, i frutti.

 

Li ho incontrati nei parchi periferici, dal Bosco in Città al Forlanini, ma anche in via Primaticcio, via Bisceglie, via Benedetto Croce e così via. La location che più mi ha sorpreso è quella sotto la stazione di Romolo, verso via Filargo. Qui il biancospino che si staglia sul murale dipinto interpreta pienamente l’incontro tra tradizione e innovazione di cui la città è un autorevole portavoce.

Nei pressi di Romolo.

E se avete dubbi sul riconoscimento, cherchez l’épine!

Testo e foto di Marina Beretta

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