Antichi luoghi di lavoro a Milano: il mondo dei facchini
Ci fu un’età in cui anche fare il facchino era un mestiere.. E nemmeno troppo tempo fa.
Ricordo come alcuni di questi, con tanto di divisa e berretto, per pochi spiccioli e organizzati in cooperativa, una volta entrati nei grandi saloni della Stazione Centrale ti accompagnavano al treno. Sembra passato un secolo ma forse ne sono passati una quarantina mal contati. Eppure il mestiere del facchino di piazza, è sempre esistito, e forse esiste ancora, in alcuni luoghi della nostra città: ad iniziare da quello in livrea dei grandi alberghi di lusso per terminare al “popolo dei carrellini” della nostra China Town.

Carrellini per i facchini cinesi di China Town a Milano (foto di Robert Ribaudo)
Ma la di là di questi casi estremi, non ci è più possibile scorgerne per le strade di Milano. Un po’ perché considerato mestiere degradante, un po’ perché sinonimo di sfruttamento della fatica umana, come se gli altri lavori in qualche modo non la contemplassero! Certo, non è un lavoro “pulito” o da “colletto bianco”, ma rimane e soprattutto fu un lavoro onesto che permetteva al popolo degli umili e senza istruzione di guadagnarsi un salario giornaliero col sudore della fronte. Il mestiere del facchino a Milano è sempre esistito, dalla notte dei tempi, proprio perchè, la sua natura di città mecantile, lo richiedeva.
Via dei Facchini
C’era persino un vicolo a loro dedicato, in un luogo ora “alla moda”, a metà di Via Manzoni, all’altezza della Chiesa di S. Francesco di Paola.

Il vicolo ormai occluso accanto alla Chiesa di S. Francesco di Paola, in Via Manzoni
Era chiamato così proprio per la forte presenza di trasportatori di merci, provenienti dall’area delle valli svizzere italofoni e della Val Blenio, nel Medioevo parte integrante del Ducato di Milano. La Val Blenio, è una valle interna dell’odierno Canton Ticino, confinante a ovest coi Grigioni: dal punto di vista fisico, i confini coincidono circa con lo spartiacque del fiume Brenno (nell’alto corso) e del suo bacino idrografico, tributario del fiume Ticino. ll distretto ha avuto una grandissima importanza strategica nei tempi grazie al Passo del Lucomagno che era una delle vie preferite nei collegamenti alpini tra nord e sud, soprattutto per il trasporto delle merci. E proprio per questo, torme di gente provenienti da queste terre si riversò facilmente in città, attirata dai fiorenti commerci del libero comune di Milano prima e della capitale del Ducato poi, almeno fino alla fine del XV sec.

La posizione della Valle di Blenio rispetto all’attuale Canton Ticino
Ancora oggi la Val di Blenio è ricca di testimonianze architettoniche romaniche, forse tra le più importanti del Ticino, a comprova di questa sua importanza strategica e alla frequenza con cui era percorsa la via di comunicazione da viandanti e pellegrini. La ridotta altitudine e la facilità di percorrenza avevano reso il passo del Lucomagno preferito rispetto ai passi vicini e dotato di una strada carrabile. Si trattava di una strada sicura e ben difesa rispetto a quella del Passo del San Gottardo, ad esempio, che era molto più breve come distanza di percorrenza, ma presentava delle notevoli difficoltà soprattutto tra Andermatt e Göschenen. Chi controllava la valle di Blenio, quindi, controllava tutto il traffico merci tra Grigioni e valle del Ticino. E’ per questo che i Visconti furono sempre molto attenti a mantenere e ad intessere strette alleanze con i signorotti locali, ad iniziare dagli Orelli.

segnaletica che ancora oggi segna il cammino che dala Svizzera entra in Lombardia dalla provincia di Varese
Resta comunque il fatto che già dal XIII secolo, tuttavia, iniziò un lento declino del Lucomagno a causa di una serie di fattori: uno fra tutti la costruzione del ponte del diavolo nella via di collegamento del passo del San Gottardo, l’altra era sicuramente la nascente Confederazione svizzera che cercava di sganciarsi dalle rotte controllate dai più potenti vicini, sia a nord (l’impero) che a sud (Milano), per privilegiare il Gottardo rispetto al Lucomagno.
I facchini della Val di Blenio
Ma perché tutto questo interessamento per i facchini della Val di Blenio (o Bregn, come veniva chiamata anticamente)? La loro parlata e le loro usanze ispirarono alla metà del XVI sec., la nascita di un’ Accademia artistica, detta appunto dei Facchini della Val di Blenio, che ebbe sede proprio qui. Fu fondata nel 1560 da Giovan Ambrogio Brambilla. Ma anche Annibale Fontana e Paolo Lomazzo furono tra i più attivi protagonisti di questo singolarissimo consesso di artisti, artigiani, musici, attori teatrali che qui presero a riunirsi. Nel 1568 lo stesso Lomazzo viene eletto “abate” e per l’occasione dipinse l’Autoritratto di Brera con i simboli dell’Accademia.

Autoritratto del Lomazzo, alla maniera caricaturale dell’Accademia
I membri erano animati da questa poetica dialettale dei Rabìsch (da Arabeschi, titolo anche di una raccolta di scritti del Lomazzo del 1589), scritti in lingua ‘facchinesca’ (una sorta di dialetto ticinese simile a quello dei facchini della Val di Blenio). La loro cultura mostra tracce di dottrine proibite dalla severa censura della controriforma (il contesto ambientale era quello della Milano di Carlo Borromeo): la teologia orfica, la cabala e la magia naturale, tra cui il De Occulta Philosophia di Cornelio Agrippa di Nettesheim. Per questo, i membri furono costretti a riunirsi, in segreto, sotto le mentite spoglie di finti nomi popolareschi. La tradizione pare che ebbe seguito anche nel XVIII sec. quando da Accademia cambiò nome in “Badia”.

Edizione lionese del De occulta philosophia, con lo spurio IV libro
A questi letterati appartengono le prime bosinate (un genere letterario popolare della Milano dell’inizio del XVII sec). La tradizione del genere rimarrà in auge fino all’epoca della Restaurazione austriaca, spegnendosi dopo il 1848.
Il Malcantone di Via Torino
Era un altro insediamento di facchini, presso la Contrada della Balla (poi Via Palla), che un tempo si estendeva anche sull’attuale Via Lupetta. Ma come Corsia della Balla si indicava anche la zona che giungeva fino all’attuale chiesa di San Sebastiano e a quella di San Giorgio al Palazzo, come parte di quella che diverrà con l’Unità d’Italia, l’attuale Via Torino.

Via Palla, dall’imbocco di Via Torino, con una cortina di un vecchio palazzo sventrato, ridotto a muro di cinta (foto di Robert Ribaudo)
L’antico nome deriva infatti da «Balle», che erano quei fardelli di merce varia che i facchini si caricavano sulle spalle, a servizio dei mercanti della zona. Ed in questa contrada i facchini avevano infatti la loro corporazione, tanto che la via era soprannominata dei “facchini della Balla”. Al servizio dei Pusterla, signori della contrada, tra i vari incarichi, avevano quello di trascinare una volta all’anno un gigantesco cavallo di legno da S. Sebastiano fino al Duomo. Tale usanza era detta infatti “Facchinata del Cavallazzo”: un offerta che l’antica casata portava in processione fino alla cattedrale. Là, fra musiche e canti, dalla pancia del cavallo saltava fuori un gran numero di persone cariche di doni per la cattedrale, da parte dei Pusterla. La particolare processione verrà definitivamente soppressa da Carlo Borromeo nel 1566, perché giudicata troppo profana. Ma come ricompensa dei servigi resi, i facchini continuarono a ricevere in concessione dai potenti signori un ampio cortile, proprio dentro le case dei Pusterla, detto appunto «la Balla», per radunarvi le loro mercanzie.

L’edicola con la Madonna dei Facchini, nel Vicolo Pusterla/Via Palla
L’ingresso era dall’attuale Vicolo Pusterla dove ancora oggi campeggia un’edicola, con una Madonna detta appunto dei Facchini.
Dal XIV sec., fino al 1810 nella contrada si svolgeva anche il mercato dei polli, burri e latticini, oltre che di olio, in franchigia di dazio. Dal deposito ogni anno si prelevava un otre pieno di olio per la lampada che ardeva presso il corpo di S. Aquilino, nella chiesa di San Lorenzo. Secondo la leggenda, il corpo del santo, ucciso da alcuni eretici, sarebbe stato rinvenuto nella zona della Balla, dai facchini che vi lavoravano. Da allora, S. Aquilino fu eletto loro patrono e i facchini si riservarono l’onore di fornire l’olio e la cera occorrente per il suo altare.

La Cappella di S. Aquilino, vista dal Parco delle Basiliche
Insomma tutto il primo tratto di Via Torino, che manteneva ancora l’impianto dell’antica città romana, era ingombro di merci, magazzini e depositi. La stessa Via delle Asole prendeva il nome da un uso legato al mestiere dei facchini. Infatti era il luogo dove transitavano i carrettieri con le loro asine.
E anche nelle zone retrostanti, nel Medioevo, in un’area compresa tra l’odierna Piazza San Sepolcro e il tempio di San Sebastiano, vi era una piazza, detta Corticella o Cancelleria, luogo di traffici e crocevia di mercanti, su cui si affacciava il fondaco dei Genovesi, base per i loro scambi commerciali a Milano.
E’ difficile da immaginare…Ma insieme ai facchini se n’è andato anche questo spaccato di vecchia Milano.