Com’è cambiato Corso Garibaldi: diverse modalità di valorizzare l’antico tessuto abitativo
In Corso Garibaldi, all’altezza di Largo La Foppa (ma non solo!), assistiamo da anni a molti fenomeni: di costume, di cambiamento, di forte vitalità. Anche in campo culturale.
Il tessuto abitativo è molto cambiato da quegli anni ’70 quando le povere abitazioni davano accoglienza a quel popolo minuto che aveva fatto grande Milano e dove sotto casa potevi ancora trovare una latteria, un droghiere, o una vineria aperta fino a notte fonda.

Una delle vecchie latterie di Corso Garibaldi, ancora aperte negli anni ’70
Oggi la latteria è stata soppiantata da una gelateria alla moda, il droghiere si è trasformato in una boutique di abbigliamento (meglio se ne ha mantenuto l’insegna) e la vineria è un luogo di ritrovo per happy hour e aperitivi. Al popolo dei lavoratori e artigiani, spesso meridionali, sin dagli anni ’80 si è sostituito il popolo della notte. Le case di ringhiera fatiscenti con i vecchi negozi su strada sono state soppiantate dai bei palazzi ristrutturati, con le vetrine scintillanti atte allo shopping elegante, in sintonia con lo struscio serale.

Cartolina da Milano: la vecchia osteria Moscatelli, oggi irriconoscibile e parte di una catena alimentare
Ora, per il sottoscritto, che a tutta questa evoluzione ha assistito e la rievoca con una certa nostalgia, è importante, dal punto di vista urbanistico, riportare due casi emblematici e indicativi di come (non) vengano valorizzati angoli storici della vecchia Milano. Proprio in Corso Garibaldi, nel giro di poche centinaia di metri vi sono due casi esemplificativi di come all’evoluzione dei costumi e al superamento del degrado non si è saputo o voluto portare avanti politiche di riqualificazione “onesta” dei vecchi tessuti urbani, perdendo in genuinità e personalità.

L’oratorio di S. Febbronia visto dall’alto di uno dei palazzoni che lo circandano (foto di Stefano Gusmeroli)
Il primo caso è quello dell’Oratorio di S. Febbronia.
E’pressoché sconosciuto ai più, anche per la posizione infelice in cui è rimasto relegato il lotto. Si tratta di una vetusta costruzione, preservata da un vincolo della Sovrintendenza, ma completamente abbandonata e stretta all’interno di un sistema di condomini con affaccio su Corso Garibaldi all’altezza del civico 79 e chiusa dalla retrostante Via Tommaso da Cazzaniga.

Il lotto chiuso dai condomini di cui si intravede solo il perimetro rettangolare coperto di muschio
Dell’edificio è rimasto ormai davvero poco, se non la struttura in mattoni, e poco più, deficitaria della copertura e affondata tra le erbacce di un cortile interno. La si può scorgere appena appena, se si ha un occhio attento, sopra una cortina di legno, in una delle tante rientranze del Corso. Ma lo spettacolo è davvero poco edificante, così stretta e violentata in tutto il suo abbandono, seppur in pieno centro.

foto della staccionata di chiusura all’area di S. Febbronia da Corso Garibaldi con al di là le vestigia di ciò che vi rimane (foto di Robert Ribaudo)
La dedicazione di S. Febbronia o Febronia prende il nome dalla martire cristiana orfana all’età di due anni, vissuta in comunità. Il suo martirio sotto Diocleziano (25 giugno del 305), ricorda in qualche modo lo scempio a cui è stata sottoposta la chiesetta, e viene ricordato come uno dei più cruenti. Infatti, secondo la tradizione venne flagellata e sottoposta alle pene del fuoco, raschiata con pettini di ferro, le vennero tagliati i seni, le mani ed i piedi, cavati i denti ed infine fu decapitata. Nel 363 il corpo venne poi portato a Costantinopoli. Successivamente giunge a Trani, in Puglia, dove fino al ‘700 la santa viene venerata nel giorno 25 giugno. Milano nel XVII sec. vuole ricordare la sfortunata breve vita della santa mantenendone la memoria per volontà di uno di quei devoti preti di periferia (perché tale era Corso Garibaldi allora), a ridosso delle mura, dette della Tenaglia, poichè portavano proprio con un andamento a forma di pinza, di filato al Castello Sforzesco.

stralcio della mappa di Lafrery del 1573, con la Porta Temaglia e il Castello
Così nel 1644, l’arcivescovo Cesare Monti da’ l’assenso affinché il sacerdote Francesco Maria Grasso istituisca presso una sua vasta proprietà, il Conservatorio per le figlie povere o Luogo Pio di S. Febronia per le “zitelle, soprattutto quelle che sono in evidente pericolo di perdere la loro “pudicizia”, e cioè ragazze sotto i 12 anni figlie di prostitute o senza una tutela affidabile. Venne imposto a queste l’abito religioso di S. Orsola con l’osservanza della Regola di S. Chiara. Nel 1784 l’Ente viene soppresso e le ragazze confluiscono alle Stelline, ma il piccolo edificio usato come magazzino viene dimenticato, destinato ad assistere nel corso dei secoli alle più sfrenate lottizzazioni, che intanto prendono corpo proprio intorno al suo perimetro. Ancora oggi è lì, dimenticato tra le sterpaglie, in attesa di eventuali crolli, e l’accesso ne è naturalmente vietato ai visitatori, che possono scorgerne la sagoma con le modalità predette.

foto della facciata laterale del palazzo oggi (foto di Robert Ribaudo)
L’altro caso è quello del già rimaneggiatisimo convento dell’ordine dei Teatini dedicato a S. Anna.
A poche centinaia di metri più in là, verso Largo La Foppa, è ancora più cupo, poiché frutto di un vero e proprio stravolgimento del tessuto e delle linee compositive. Dopo decenni di abbandono, è stato recuperato per farne lussuose abitazioni per facoltosi nuovi abitanti del quartiere Brera-Garibaldi. Infatti, all’altezza del civico 93 del Corso, la casa di Sant’Anna, originariamente era stata sede dei padri della Congregazione dei Padri di S. Girolamo da Fiesole, già costretti ad uno spostamento e ridimensionamento, per far spazio alle nuove esigenze difensive intorno al Castello alla fine del XV sec., sino alla soppressione dell’ordine nel 1668, quando era abitato da soli 14 monaci. Fu concessa nell’anno successivo proprio ai Teatini dell’abbazia di Sant’Antonio Abate, assumendo così la doppia dedicazione.
Mappa del Barateri del 1629 con le due realtà sullo Stradone di Porta Comasina, così come era chiamato Corso Garibaldi: sotto S. Febbronia (48) e sopra S. Anna (47)

Pianta antica con le due realtà sul corso di Porta Comasina, così come era chiamato Corso Garibaldi: sotto S. Febbronia e sopra S. Anna
Ma già dal 1633, la chiesa annessa (oggi scomparsa) fu interessata da lunghi lavori di rinnovamento, che si protraggono per circa mezzo secolo, così come testimonia lo storico Carlo Torre: si trattava di un edificio con facciata sulla strada, ad una sola navata di 26 m., con un coro più stretto retrostante di 14 m. con quattro cappelle laterali e soffitto in legno.

Ciò che rimane dell’impianto del vecchio chiostro con al di sopra le ringhiere ottocentesche (foto di Robert Ribaudo)
Accanto, sulla destra, si sviluppava il chiostro di 33 m , di cui rimane ancora qualche vestigia nella nuova costruzione, che nella parte retrostante era chiuso da una serie di locali di servizio (refettorio di c. 11×7 m., cucina di c. 6,50×7 m., ecc.) dalla scala di distribuzioni al dormitorio soprastante, e da un passaggio baricentrico che portava ai giardini, anche questi perduti per creare il nuovo edificio con ingressi privati dal passaggio all’altezza della biforcazione tra Via Moscova e Via di Porta Tenaglia .

Il palazzone sorto sul lotto interno, dove sorgevano le ortaglie del convento (foto di Robert Ribaudo)
Come molti altri conventi cittadini con l’arrivo delle idee giacobine francesi il luogo fu chiuso e soppresso nel 1791. La chiesa che ospitava quattro ante d’organo opera di Giovan Battista Discepoli, rappresentanti Sant’Anna, Nostra Signora con Gesù Bambino, Sant’Agostino, e San Girolamo venne sconsacrata nel 1808.
Da questo momento, il complesso subisce una serie innumerevoli di cambi di destinazione d’uso: la chiesa scompare per far spazio all’edificio porticato di Largo La Foppa, già ospitante il cinema Paris, e le parti conventuali sopralzate già nell’XIX sec. vennero trasformate in popolatissime case di ringhiera, di cui rimane ancora oggi all’interno ben poco, con piccoli negozi su strada, animati da una serie di attività artigianali di cui parlavo poc’anzi. All’interno i cortili erano animati da una torma di ragazzini e dal vociare di questo piccolo villaggio sviluppantesi su una serie di corti passanti.

Il palazzo al civico 95 così come si presentava ancora qualche anno fa, prima di essere avvolto dai ponteggi
Ancora prima dell’ultima ristrutturazione sulla facciata, accanto al portone di ingresso campeggiava una targa in pietra (chissà dove finita) che riportava la scritta “S. Anna”. Dell’antico complesso, che già i rimaneggiamenti ottocenteschi avevano trasformato nella tipica casa di ringhiera milanese, con tanto di facciata gialla, rimane oggi un palazzetto dalle linee vagamente alla francese, fresco di ristrutturazione e pronto per finire sul mercato immobiliare.

foto della facciata moderna (foto di Robert Ribaudo)
Non pochi sono gli stravolgimenti subiti, anche sul piano compositivo sia all’esterno che all’interno, che gode peraltro del giardino della Casa degli Artisti, altro esempio di valorizzazione delle vetustà cittadine, quando l’interesse è prettamente pubblico a beneficio dei cittadini.
Ma Milano è anche questo, provare per credere!