Leonardo a Milano, in un luogo segreto: la chiesa di S. Francesco Grande
Nel cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci, per l’Italia del Nord sarà tutto un susseguirsi di manifestazioni in ricordo del genio toscano che tanto lustro diede anche alla Lombardia degli Sforza.
Vorremmo approfittare dell’occasione per presentare qualche aspetto insolito legato alla sua attività e intanto scoprire qualche angolo della “Milano che non si sa”.
Ecco perché oggi vorrei parlarvi di un luogo scomparso che raccoglieva tanti tesori, molti dei quali furono poi trafugati dagli antiquari e dalle truppe francesi. Stiamo parlando della chiesa di S. Francesco Grande, proprio per il fatto di essere il luogo sacro più esteso della città, che sorgeva sulla parte più interna dell’attuale Piazza S. Ambrogio, esattamente dove oggi sorge la caserma Garibaldi, accanto all’ingresso dell’Università Cattolica.

L’isolato della caserma Garibaldi già sedime della Chiesa di S. Francesco Grande
Fu una delle prime chiese costruite dai Francescani in città che si stabilirono qui sin dal 1233. Nelle costruzioni attigue, dalla metà del XIII sec. si insedia uno dei primi tribunali dell’Inquisizione in città.
Già dal 1256, si ha la prima fase di ampliamento con i quali la basilica di S. Nabore, presso il cimitero protocristiano di S. Ambrogio, veniva inglobata nel complesso.

Vecchia stampa della metà del XVII sec. in cui la chiesa di S. Francesco risalta tra i luoghi più imponendi nello skyline di Milano
Già dal Trecento l’edificio veniva descritto come il più grande della città dopo il Duomo: a tre navate sostenute da 12 duplici archi, con colonne in pietra terminanti con capitelli corinzi. Fu storicamente celebrato per la ricchezza di opere d’arte e di antichi cimeli ivi conservati. Comincia ad essere anche il luogo di elezione per alcune sepolture rilevanti per le memorie storiche della città: nel 1315, viene qui tumulato lo storico fra’ Bonvesin de la Riva, nel chiostro; nel 1334, alla morte di Beatrice d’Este, moglie di Galeazzo Visconti, vengono portate le spoglie mortali nella cappella della SS. Trinità; nel 1399 in occasione della morte in esilio di Luchino Visconti “Novello”, figlio di Luchino, viene chiesto di poter costruire come sepoltura la Cappella degli Innocenti. La cappella sarà in seguito quella dei Barbiano di Belgioioso; nel 1462 viene qui sepolto il condottiero sforzesco Tiberto Brandolini, imprigionato e ucciso nella vicina rocca di Porta Vercellina, poiché considerato reo di parteggiare per i francesi.
E’ probabile che la datazione della costruzione delle innumerevoli cappelle gentilizie perimetrali sia da far partire dal periodo dei primi decenni del XV sec. e anch’esse hanno spesso una funzione legata a funzioni sepolcrali: nel 1426 Giovanni Borromeo fonda la cappella di S. Giovanni Evangelista, dove appunto le sue spoglie mortali verranno deposte, e che verrà decorata due anni dopo da Francesco da Corbetta. Il sepolcro ad edicola, terminato nel 1478 per lo stesso Giovanni Borromeo, fu collocato davanti alla cappella di S. Giovanni Evangelista (oggi all’isola Bella), ed è lo stesso dove verrà sepolto nel 1449 Vitaliano Borromeo. I lavori per il monumento funebre furono iniziati nel 1475, diretti dall’architetto e scultore Giovanni Antonio Amodeo, con la collaborazione di Giovanni Antonio Piatti, Benedetto Briosco e Francesco Cazzaniga.

Monumento a Giovanni Borromeo (foto Alinari)
Nel 1477, in seguito all’istituzione della festa dell’Immacolata Concezione da parte del papa Sisto IV, viene dedicata qui una cappella (a destra dell’ingresso della chiesa), sotto la tutela della Confraternita della Concezione. E qui avviene la svolta per cui è ancora ricordata la chiesa che non c’è più. Leonardo da Vinci infatti, nel 1483 viene invitato a dipingere per questo luogo la tavola con la Vergine delle Rocce.

La Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci, oggi al Louvre
Verrà spostata in seguito da Carlo Borromeo, nella cappella di S. Giovanni Battista (poi rinominata per questa della Concezione) accanto alla Cappella Maggiore. Questa era stata commissionata da un’ altro personaggio influente, Carmagnola, dove verrà sepolto dopo la restituzione del cadavere, da parte dei veneziani, nel 1432.
Nella cappella della SS. Trinità viene tumulato invece il corpo di un’altro condottiero, Roberto Sanseverino, figlio di una sorella di Francesco Sforza, morto a Rovereto nel 1487 combattendo per i veneziani.
Nel 1522, Il Bambaja esegue il Monumento Biraghi per la Cappella della Passione. Alcuni resti del monumento sono all’Ambrosiana e all’Isola Bella.

Il monumento Biraghi del Bambaja
Nello stesso anno, essendo Milano saldamente in mano agli spagnoli, per ordine del governatore Ferrante Gonzaga, il campanile viene abbassato perché sovrastava le difese del castello.
Nel 1688 si ha il crollo parziale della chiesa, dovuto forse al peso della nuova copertura in pietra, in cui viene distrutta proprio l’antica cappella della Concezione, da cui fortunatamente era stata spostata la leonardesca Vergine delle Rocce. Resta danneggiata anche la tomba Biraghi del Bambaja. La chiesa viene ricostruita con numerose modifiche da Antonio Innocente Nuvolone detto Panfilo, nipote di Carlo Francesco: l’edificio rimodernato in più parti, venne impostato su nove archi di ordine corinzio, e abbellito con cappelle, marmi e tombe di cittadini illustri.

Un disegno in pianta che mostra le demolizioni avvenute per la ricostruzione della chiesa dopo il crollo del 1688
Nel 1781 la Vergine delle Rocce viene traportata in S. Caterina alla Ruota, in fronte all’Ospedale Maggiore. Lo stesso complesso fu soppresso qualche anno dopo, nel 1798, durante il periodo della Repubblica Cisalpina per essere adibito ad ospedale, magazzino e ancora orfanotrofio. Ma poi abbattuto col periodo napoleonico per far posto alla Caserma dei Veliti nel 1806, ora Garibaldi. Di tutti i suoi splendidi tesori non sono rimasti che pochi cimeli: qualche scultura, qualche reliquia conservata in Sant’Ambrogio, i monumenti sepolcrali dei Borromeo finiti all’Isola Bella insieme ai frammenti del monumento Biraghi del Bambaja (già dal 1793), il sarcofago, di età romanica, detto dei Santi Nabore e Felice, ora in Sant’Ambrogio, e soprattutto la leonardesca Vergine delle Rocce traslata al Louvre per volere di Napoleone.
Ma cosa aveva di tanto speciale questa tela da aver tanto stregato il generale corso?
L’incontro tra i piccoli cugini Gesù e Giovanni Battista, alla presenza della Madonna e di un angelo ripropone un episodio della vita di Cristo poco ordinario, all’interno di un vangelo apocrifo. Avviene peraltro, in un luogo insolito, in una grotta nel massiccio della Grigna, quindi in un paesaggio tipicamente lombardo.
Il dipinto è stato definito un “tour de force geologico” per l’incredibilmente accurata rappresentazione da parte dell’artista delle complesse formazioni geologiche. Ma potrebbe essere chiamato a ragione anche un “tour de force botanico”, per le innumerevoli specie vegetali che vi compaiono. Qualcuno ne ha contate più di 500, dando il senso della precisione anche simbologica che Leonardo voleva restituire attraverso molte di queste piante. Tanto è vero che la copia di Londra compiuta dal suo allievo de Predis non mostra la stessa maniacale precisione nella restituzione naturalistica.

Le due versioni della Vergine delle Rocce: quella prettamente leonardesca del Louvre e la copia del suo allievo de Predis di Londra
Ora se si vuole vedere una copia fedele del capolavoro leonardesco senza dovere fare un viaggio fino a Parigi, per tutto l’anno 2019 ci si può recare a pochi passi da dove sorgeva la Chiesa di S. Francesco Grande e dove era originariamente custodita . Infatti presso la Chiesa di S. Michele al Dosso, in Via Lanzone, della Congregazione delle Orsoline si può ammirare La vergine delle rocce del borghetto (1517-1520, tempera e olio su tela, 198 x 122 cm), opera di Francesco Melzi, allievo prediletto di Leonardo da Vinci. Per saperne di più trovate qui maggiori informazioni.
Ma le innumerevoli copie dell’opera, la dicono lunga sul fascino che deve avere restituito la scena anche dopo la morte del grande maestro di Vinci.