Un borgo nel borgo a S. Benedetto Po, dove la Lombardia sfuma nell’Emilia: il Polirone

Giù per la bassa mantovana, laddove il territorio lombardo sfuma verso le atmosfere emiliane, vi è un luogo ricco di storie, di suggestioni lontane, che arrivano dal Medioevo, quando queste terre appartenevano ai Canossa.

Non per niente la più importante esponente di questa casa, Matilde, ne fece posto di elezione. Stiamo parlando di S. Benedetto Po e del suo monastero del Polirone.

Una foto d'epoca mostra l'ingresso al Polirone dall'antica Piazza delle Erbe a S. Bendetto

Una foto d’epoca mostra l’ingresso al Polirone dall’antica Piazza delle Erbe a S. Bendetto Po

Infatti qui ai confini dei suoi immensi possedimenti volle essere sepolta. Ma la sua fama e la sua aura la vollero santa, tanto che le sue spoglie mortali, vera unicità per il genere femminile, vennero acquistate e portate a Roma, in S. Pietro e tumulate in un sepolcro realizzato ad hoc dal Bernini.

La tomba di Matilde di Canossa in S. Pietro di G.L. Bernini

La tomba di Matilde di Canossa in S. Pietro di G.L. Bernini

Oggi, S. Benedetto Po, è un piccolo borgo a poche centinaia di metri dall’argine maestro del Po, che col tempo si è andato alzando sempre di più per evitare che le spaventose piene si riversassero e reinpaludassero indiscriminatamente l’intera pianura, che con tanta fatica, i monaci benedettini avevano prosciugato e reso fertile con una enorme e fitta rete di canali. E da qui viene l’enorme ricchezza di queste terre, dalle estese coltivazioni e dalle numerosissime cascine e stalle che producono il latte per il parmigiano.

Vista su uno dei chiostri del Polirone (foto di Robert Ribaudo)

Vista su uno dei chiostri del Polirone (foto di Robert Ribaudo)

Ma la forza e il cuore di questi luoghi pulsa nel Polirone, il cui nome già indica la sua origine: una piccola isola alla confluenza tra il Po e il Lirone.

La planimetria dell'immenso complesso del Polirone,con indicato l'antico ingresso principale (foto di Robert Ribaudo)

La planimetria dell’immenso complesso del Polirone,con indicato l’antico ingresso principale dalla Piazza delle Erbe (foto di Robert Ribaudo)

Si tratta di un immenso monastero, diverso da quelli lombardi, molto più simile ad una certosa, ma con una chiesa dalle fattezze tardo rinascimentali, che nasconde all’interno e sul retro ancora l’impianto tardo gotico: una pianta basilicale, con una navata centrale e con le due laterali a capanna, un coro e un ambulacro che vi gira intorno.

Il tiburio e le parti retrostanti della chiesa dove si legge chiaramente l'impianto tardogotico (foto di Robert Ribaudo)

Il tiburio e le parti retrostanti della chiesa dove si legge chiaramente l’impianto tardogotico (foto di Robert Ribaudo)

Ma l’aspetto odierno, anche quello esterno, è quello lasciato in eredità da Giulio Romano , che allora faceva la spola dalla vicina Mantova, che vi aggiunse la facciata, le cappelle, e le decorazioni interne, su commissione dei Gonzaga, i signori della stagione del Rinascimento in queste terre.

L'interno della chiesa abazziale con i rifacimenti di Giulio Romano (foto di Robert Ribaudo)

L’interno della chiesa abazziale con i rifacimenti di Giulio Romano (foto di Robert Ribaudo)

Al di là della chiesa, vera emergenza sull’ampia piazza (vedi foto principale in alto), che dà peraltro respiro all’intero complesso, vi sono una serie di edifici e spazi che ne fanno un borgo nel borgo, un avamposto particolare, oggi dedicato a strutture museali dal carattere etnografico e contadino , che conservano e proteggono, come uno scrigno, gli usi e i costumi della gente che vive sul Po e di Po e che vi consiglio vivamente di visitare, come uno di quei mondi perduti di cui si sono perse le tracce già qualche chilometro più a nord.

Una delle installazioni del museo etnografico dedicate alla pesca sul Po (foto di Robert Ribaudo)

Una delle installazioni del museo etnografico dedicate alla pesca sul Po (foto di Robert Ribaudo)

E’ inutile dire che le radici di tutto questo affondano nell’anno Mille, anzi più precisamente nel 1007, quando certo Tedaldo di Canossa, nonno della più famosa contessa, ne fondò un primo nucleo. Ma già ai tempi di Matilde, era un vero e proprio avamposto religioso ben organizzato e articolato su 4 grandi chiostri, grazie all’operosità e alla volontà della gente che si avvantaggiava di questo grande centro a due passi dal grande fiume.

Il complesso del Polirone dalla piazza (foto di Robert Ribaudo)

Il complesso del Polirone dalla piazza (foto di Robert Ribaudo)

Per costruirlo sorse da subito una grande fornace sull’odierna piazza, oggi scomparsa, che sfornava i famosi cotti del Polirone e i mattoni che dovevano pezzo dopo pezzo rendere grande il monastero e la sua piccola chiesa e la cui fama si estendeva oltre il fiume, giù giù, fino a Roma. Lo stesso papa Gregorio VII, era pronto a ricevere i consigli che partivano dal Polirone, in un periodo in cui i rapporti tra l’impero e il papato erano tutt’altro che distesi. Questa terra di mezzo fu spesso la cerniera di congiunzione tra il mondo ultramontano e le vaste pianure delle terre italiche.

Ricostruzione dell'abito talare dell'abadessa Matilde di Canossa (foto di Robert Ribaudo)

Ricostruzione dell’abito talare dell’abadessa Matilde di Canossa (foto di Robert Ribaudo)

I consigli e la saggezza, oltre alle buone entrature di Matilde presso la corte pontificia, erano peraltro tutt’altro che inascoltati, e non erano pochi i potenti che si recavano qui in visita per ricevere favori, non ultimo lo stesso imperatore Enrico IV. Non si spiegherebbero altrimenti gli ampi spazi dedicati alle foresterie. Quasi una tappa obbligata, nel Medioevo per chi dal Brennero voleva scendere, per la strada romea, alla volta della città eterna.

Lo scalone d'onore, accesso alle foresterie (foto di Robert Ribaudo)

Lo scalone d’onore, accesso alle foresterie (foto di Robert Ribaudo)

Le ricchezze e la potenza del casato dei Canossa fecero il resto: questo luogo divenne un accumulatore di avvenimenti, in mezzo ad una campagna dove il tempo passava lento e pressocchè sempre identico a se stesso e alle stagioni della natura. Dopo quasi 800 anni di storia i più grandi stravolgimenti furono portati dalle truppe francesi di Napoleone che procedettero con la soppressione nel 1797, depredandone le ricchezze e trasferendo la gran parte dei documenti e l’intera biblioteca presso la Biblioteca Teresiana di Mantova, dove ancora oggi è custodito il fondo archivistico e librario del monastero.

La biblioteca del Monastero, ormai vuota ma dove sono ancora presenti i fregi sulla volta con le arti e le scienze (foto di Robert Ribaudo)

La biblioteca del Monastero, ormai vuota ma dove sono ancora presenti i fregi sulla volta con le arti e le scienze (foto di Robert Ribaudo)

Il complesso oggi, dopo mille anni di storia, è ottimamente conservato, nonostante i danni subiti durante il sisma che ha colpito l’Emilia e il mantovano nel 2014:

I puntellamenti sulle volte di uno dei chiostri per effetto del sima del 2014 (foto di Robert Ribaudo)

I puntellamenti sulle volte di uno dei chiostri per effetto del sisma del 2014 (foto di Robert Ribaudo)

nelle cantine sotto l’enorme Refettorio (oggi utilizzato come spazio eventi) sono conservati i reperti raccolti o asportati dall’immensa fabbrica, che oltre ai fregi in cotto conserva parecchi elementi lapidei e consistenti parti in pietra, portati dal Veneto e dall’Appennino, fin dove arrivavano i possedimenti matildici.

Le cantine sotto il Refettorio dove si conservano i più antichi reperti del monastero (foto di Robert Ribaudo)

Le cantine sotto il Refettorio dove si conservano i più antichi reperti del monastero (foto di Robert Ribaudo)

Ma oltre agli ambienti finora descritti esistevano anche uno Spitale, per la cura dei pellegrini, un’infermeria, gli ambienti monastici del priore e dei frati e la sala del Capitolo. A valorizzare tutti questi meravigliosi spazi la fanno da padrone le raccolte di marionette, la collezione dei carri contadini, e tutte quelle testimonianze della vita sul Po e del mondo bucolico di cui parlavamo prima.

Una teca con una raccolta di burattini (foto di Robert Ribaudo)

Una teca con una raccolta di burattini (foto di Robert Ribaudo)

Insomma tanti motivi per cui fare una deviazione, risalendo da Modena verso il Brennero ed uscire a S. Bendetto Po, dove vi aspettano anche delle deliziose specialità enogastronomiche, ad iniziare dall’anatra muta. Buona gita!

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