Kultur no-selfie: l’essenza su una tela
Il mistero di una presenza, la sua unicità, imprigionata nell’impasto dei colori di un dipinto. Questo al centro di Kultur no-selfie, la nuova mostra di Luca (Vernizzi) che Mondadori Megastore di piazza Duomo a Milano ospita fino al prossimo 23 settembre 2018, nell’ambito della nuova serie dedicata al pop di “st art. L’arte per tutti“.

Luca (Vernizzi), Selfportrait
L’ARTISTA
Luca è un figlio d’arte; il padre Renato Vernizzi (1904-1972), solido pittore del Novecento (a Parma c’è un bel museo a lui dedicato), fece parte della schiatta dei chiaristi lombardi. Luca, nel solco familiare, e poi affrancandosi da esso fino a omettere il cognome, ha attraversato tutta l’arte italiana dagli anni Sessanta in poi, da figurativo, coraggiosamente in antitesi rispetto alle derive minimaliste, poveriste e concettuali, fino all’ultima importante mostra nel 2016 alla Triennale di Milano.
Luca ha dipinto persone, cose, luoghi, paesaggi e nature morte, in formati giganti o in dimensioni discrete, concentrandosi però assai spesso sul ritratto, tanto che questo genere è diventato una sorta di linea carsica, che ha caratterizzato, apparendo e scomparendo, la sua intera produzione: ritratti di semplici amici o di intellettuali, di artisti o di personaggi pubblici, sempre con la stessa capacità di cogliere al volo l’intima essenza del soggetto. Ora, all’età di settantasette anni, portanti con baldanza, capelli e baffi bianchi, occhi azzurri, lo sguardo increspato di chi ha osservato il mondo con acutezza tutta la vita, Luca ha trovato una nuova levità che si esprime, guarda caso, soprattutto e ancora nel ritratto; c’è in lui una curiosità innata che diventa stile quando si trova nel suo studio vis–à-vis con la persona che deve raffigurare, un confronto breve, talvolta solo di poche ore, che gli servono per completare l’opera, che è quanto di più lontano possibile dal realismo di uno scatto fotografico, o di un selfie, quanto più vicino al testo di una poesia.
E’ SCONTRO? NO, QUESTIONE DI ESSENZA
E’ proprio questo punto, il conclamato volersi contrapporre alla fotografia, che mi ha portato a chiedere a Luca, la sera dell’inaugurazione della mostra, del perché di uno “scontro” con un’arte, quella fotografica, che può raggiungere indiscussi livelli di poesia. Luca mi ha risposto che dal suo punto di vista la fotografia è qualcosa di “funereo”, e all’inizio non posso negare che questa affermazione mi ha lasciato alquanto perplesso. Poi però, mi ha spiegato. In base alla sua percezione, il fotografo immortala un instante ben preciso, congelando proprio quel momento, che subito dopo non esiste più. Nell’ istante immediatamente successivo allo scatto, quella persona, così come immortalata dall’obiettivo, non esiste più.
Al contrario, il suo intento è quello non è quello volto a rappresentare in modo accademico quello che vede – “guardare tanto per guardare” potremmo dire – ma è imprimere sulla tela il mistero dell’essere nella sua presenza, l’identità tutta intera di una persona, che rimarrà tale anche col passare del tempo, anche se il corpo che la contiene e che appare sulla tela cambierà. L’attitudine, la smorfia, lo sguardo, provati dal tempo di posa, si mostrano nella propria verità. Non si può fingere, impostandosi nel modo in cui pensiamo di restituire la nostra immagine migliore, come durante uno scatto. Il tempo allenta il controllo, ed ecco che compare la persona. Si può essere o meno d’accordo con il pensiero di Luca: personalmente ritengo che anche nella fotografia, si possa catturare l’essenza di una persona, e non soltanto la posa di un istante. Ciononostante, che le opere di Luca colpiscano è indubbio. Non solo perché sono “belle”, ma perché questa bellezza trasuda di umanità, e del mistero che essa racchiude, centrando così, pienamente, il suo obiettivo.
Da non perdere!
Orari: 9 – 23 | Ingresso mostra: libero
www.mondadoristore.it | #StartInStore