La Cina è vicina, a Milano
Vi ricordate il film “L’anno del Dragone” con Mikey Rourke con le sue immagini di una Chinatown misteriosa e separata dal resto della città o le atmosfere torbide e cupe di un ipotetico futuro in Blade Runner?

Foto di Bertolanto
Quello è l’immaginario, la Chinatown milanese è più nel presente, che è più futuro del futuro
di Blade Runner, con la piramide della Microsoft in lontananza senza piogge acide, ma c’è ancora spazio per l’affascinante Oriente.
Magari non vedrete guerrieri Ninja combattere volando sulle facciate delle case, come nei film La tigre e il dragone o La foresta dei pugnali volanti, ma le insegne con gli ideogrammi cinesi illuminati o le lanterne rosse ci risuonano come codici dai significati sconosciuti, che oltre a stimolare il senso della vista contribuiscono anche ad aprire quello del gusto e dell’olfatto con le molte possibilità di assaggiare cibo orientale, dai ramen, ai sushi, ai fritti, alle molteplici trasformazioni del riso…
con il riso i cinesi sanno fare più piatti di quelli che Bubba sapeva fare coi gamberi (cit. film Forrest Gump) e chi più ne ha più ne mangi.

C’è comunque un’atmosfera che evoca ancora dentro di noi simboli e archetipi che ci attraggono e ci affascinano.
E’ l’Oriente lontano che riconosciamo lo stesso dentro di noi.
E’ stranamente un venerdì sera un po’ spopolato, ma la Cina mantiene lo stesso la sua identità, e non ci fa mancare quel pizzico di arcano che ci può rimandare all’immagine di un drago rosso terrificante che si avvicina minaccioso verso di noi.

Abbiamo diverse possibilità di affrontarlo: combatterlo, scappare o abbracciarlo.
In quest’ultimo caso caso avremo vinto: lo vedremo sorridere e dileguarsi e il premio per noi sarà “Anothter brick in the wall” della consapevolezza.

Foto di Bertolanto
Tornando sulla Terra, o meglio in via Paolo Sarpi ci troviamo in una piccola Cina integrata, ma che allo stesso tempo mantiene le distanze con l’Occidente milanese.

E’ difficile vedere un gruppo di persone miste tra occidentali e cinesi.
Non è ancora tardi, ma in questa strana serata d’estate si incontrano sempre meno persone e molti locali sono chiusi fino a che l’ultimo cinese della via col suo trolley entra in un portone e mi ricorda il cinesino Ten di Nick Carter in Supergulp, il programma di fumetti in TV di quarant’anni fa che finiva con la frase: “E l’ultimo chiuda la porta!”, in questo caso il portone e io rimango fuori, allora capisco che è l’ora di andare.
In ricordo porto via qualche immagine di ideogrammi, molto belli, ma di cui non conosco il significato.

Foto di Bertolanto
Comunque è certo che ogni città che si rispetti deve avere la sua misteriosa, diversa, enigmatica Chinatown.