Tirano, terra di confine, religiosità e patrioti.

Tirano è una tranquilla cittadina situata a circa 2 km dal confine con la Svizzera, e luogo d’incontro di diverse vie di comunicazione: si trova in corrispondenza dell’intersezione tra la “Statale dello Stelvio” e della strada che porta al Passo del Bernina ed in Engadina.

Inoltre è capolinea delle linee ferroviaria del famosissimo trenino del Bernina, Tirano-Sankt Moritz (la Ferrovia Retica oggi inserita nella lista UNESCO).

E’ contornata da alte montagne: a sud le Alpi Orobie valtellinesi, a nord il massiccio del Bernina e a nord-est quello dello Stelvio. L’abitato è situato nei pressi della confluenza dei fiumi Adda e Poschiavino e delle valli in cui questi scorrono, rispettivamente la Valtellina e la Val Poschiavina.

Il fiume Adda, tra le arginature di Trano (foto di Robert Ribaudo)

Il fiume Adda, tra le arginature di Trano (foto di Robert Ribaudo)

Questa introduzione geografica è dovuta per spiegare il perché abbia rappresentato sin dall’antichità la vera “porta d’Italia”, poiché i tiranesi, seppur per secoli sotto il tallone dei cantoni svizzeri, si sono sentiti sempre profondante italiani. Fu infatti l’importanza della sua posizione geografica a determinarne i destini e a garantire un certo benessere.

Il fatto che Tirano sia stata per secoli crocevia di viandanti è testimoniato ancora oggi da una serie di xenodochi, ospizi per pellegrini, come quelli presenti in città più grandi come Milano. Uno di questi è quello di S. Romerio, a 1.800 metri di altitudine su una rupe a strapiombo sul lago di Poschiavo, rimasto come un exclave al di là del confine svizzero, e il più famoso xenodochio di Santa Perpetua, risalente all’XI secolo. Qui, in collegamento col precedente, venivano ospitati coloro che dal milanese e da Venezia si recavano in Germania, e ancora oggi domina Tirano col piccolo campanile della sua chiesetta che vanta affreschi alto medioevali.

Lo xenodochio di S. Perpetua (foto di Robert Ribaudo)

Lo xenodochio di S. Perpetua (foto di Robert Ribaudo)

Questo a riprova che chi possedeva il castello del Dosso ed il relativo borgo fortificato possedeva le chiavi d’accesso all’Engadina, al lago di Como, all’Impero germanico ed alla Serenissima Repubblica di Venezia, i cui confini includevano la vicina Valcamonica.

Tirano cadde nel XIV sec., come tutta la Valtellina sotto la dominazione dei Visconti che divennero nel contempo signori di Milano e della rivale Como, e poi degli Sforza. Fu proprio Lodovico il Moro che in maniera lungimirante, fece fortificare l’abitato. Infatti già col 1487 i Grigioni occuparono la vicina Bormio e, scendendo per la Valtellina, depredarono e saccheggiarono l’area abitata tiranese..

Lo stesso architetto ducale Giovanni Antonio Amadeo, eletto nei ranghi degli ingegneri militari, nel 1488 si era recato a nell’area per procedere al “restauro delle fortificazioni”, per arginare la nuova politica aggressiva degli Svizzeri. Alla sconfitta degli sforzeschi, però, assieme a tutto il Ducato di Milano, Tirano passò nelle mani dei francesi che dal 1512 dovettero cederla alla Repubblica delle Tre Leghe, attuale Cantone dei Grigioni.

Il Santuario della Beata Vergine di Tirano (foto di Robert Ribaudo)

Il Santuario della Beata Vergine di Tirano (foto di Robert Ribaudo)

Assieme a questo evento un altro avvenimento l’allontanò dall’Europa e la legò indissolubilmente ai tristi e secolari destini italici . Si tratta della dichiarazione da parte della comunità cattolica della miracolosa apparizione della Madonna il 29 settembre 1504, con la successiva edificazione del santuario dedicato alla Beata Vergine, che divenne ben presto il baluardo del cattolicesimo contro la diffusione della Riforma protestante promossa dalle Leghe grigionesi, questione non certo destinata a concludersi nel Cinquecento. Infatti, nel 1580 il paese accolse la visita pastorale dell’Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, che trascorse nella cittadina una notte intera in preghiera al Santuario, della cui Madonna era fervente devoto e che favorì con ogni suo mezzo.

Da qui in poi i rapporti con i Grigioni si fecero sempre più aspri soprattutto per i numerosi attriti di stampo religioso che ponevano come sempre i cattolici valtellinesi in contrasto con la maggioranza protestante della Repubblica delle Tre Leghe. Il nuovo credo aveva trovato una certa diffusione presso la classe dirigente di Tirano, mentre il popolo abbracciava per lo più il credo cattolico, il quale temeva di perdere i propri secolari privilegi e la propria influenza sul borgo.

Il chiostro del convento degli Agostiniani, baluardo cattolico a Tirano, oggi Municipio (foto di Robert Ribaudo)

Il chiostro del convento degli Agostiniani, baluardo cattolico a Tirano, oggi Municipio (foto di Robert Ribaudo)

Nel 1619, pertanto, venne convocato a Tirano un sinodo protestante e nel contempo se ne svolse uno cattolico a Como presso la sede della diocesi. Questo atto era volutamente provocatorio e come tale, il 19 luglio 1620, ebbe inizio a Tirano il cosiddetto “Sacro Macello di Valtellina, così come lo descrisse lo storico Cesare Cantù qualche secolo dopo. Si trattava di una vera e propria rivolta che i cattolici intransigenti valtellinesi guidarono contro i sostenitori del protestantesimo, fatto che costrinse anche i Grigioni ad abbandonare molti punti chiave in città ed a fare ritorno entro i confini svizzeri. Malgrado questo tentativo avesse portato ad una separazione temporanea della Valtellina dai dominatori retici, già dal 1639, con il “Capitolato di Milano”, la Valtellina fece ritorno sotto il dominio svizzero, che però fu costretta a riaffermare la tolleranza religiosa verso la maggioranza di fede cattolica.

Una vista del centro verso la Porta Poschiavina (foto di Robert Ribaudo)

Una vista del centro verso la Porta Poschiavina (foto di Robert Ribaudo)

Un altro scossone per la comunità tiranese avvenne con la discesa delle truppe napoleoniche. Queste oltre a portare le idee rivoluzionarie in una comunità ormai dedita ai commerci internazionali, requisirono nel 1798 il tesoro del Santuario della Madonna di Tirano, accumulato nei secoli precedenti e frutto di pellegrinaggi da tutta l’Europa cattolica.

L’oltraggio venne ripagato solo con la caduta di Napoleone, con la cessione da parte dei francesi degli abiti talari del cardinale Richelieu, ancora oggi conservati all’interno del luogo sacro.

Ma il vero primato di questo paese sta nel fatto che tra i primi si volse verso i valori risogimentali, affrettandosi, dopo la vittoria franco-piemontese alla Battaglia di Magenta, a votare nel giugno 1859 un documento con il quale l’area del tiranese veniva annessa spontaneamente al nuovo stato italiano.

Emilio Visconti Venosta

Emilio Visconti Venosta

Con la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, Tirano conobbe un ulteriore periodo di sviluppo, avendo dato i natali a figure di primo piano del patriottismo italiano come Luigi Torelli, eroe delle V Giornate di Milano, e a Emilio Visconti Venosta, discendente di un’antica famiglia tiranese, già Ministro degli Esteri nei primi governi post-unitari e mettendosi così di nuovo al centro della politica internazionale. Tra l’altro le case natali dei due illustri cittadini sono ancora oggi esistenti e in parte visitabili.

L’internazionalismo di questa piccola realtà è stato incentivato successivamente dal fenomeno dell’emigrazione diretto verso tutti gli angoli del mondo e dalla fierezza della sua gente, che ha forgiato i caratteri di esponenti importanti dell’arte e della cultura. Fra tutti voglio qui ricordare lo scultore Mario Negri che insieme all’arch. Belgioioso è stato ideatore di parecchi monumenti dedicati ai caduti e internati nei campi di sterminio nazisti e la prima suffragetta e creatrice di modelli sartoriali Rosa Genoni, che ha lanciato Milano come una delle capitali dell’alta moda internazionale.

Una foto di Rosa Genoni, affissa nell'aula comunale, a perenne ricordo della cittadina progressista (foto di Robert Ribaudo)

Una foto di Rosa Genoni, affissa nell’aula comunale, a perenne ricordo della cittadina progressista (foto di Robert Ribaudo)

Insomma, un modo alternativo per visitare con occhi diversi un tranquillo paese di confine, prima di correre a prendere il trenino del Bernina.

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