Castelli viscontei (e sforzeschi) tra il confine italiano e il Canton Ticino
Abbiamo già visto nel nostro scorso intervento come i Visconti e gli Sforza avessero costruito un vasta rete castellana che ancora oggi è ben visibile in una macro-regione che dal novarese si estende fino all’Adda e che dalla “bassa pianura” arriva su fino alle Alpi svizzere, dove i passi furono a lungo presidiati dall’invasione delle truppe svizzere.
Questa struttura difensiva aveva una sua organizzazione basata su una solida e comprovata rete comitale di fedeli nobili, a servizio. Fu questa classe consolidata di vassalli, più o meno fedele, che si era resa protagonista delle vicende politico-istituzionali dell’Italia del Nord e della Svizzera meridionale dal XIV sec. fino alla fine del XV, e in alcuni casi anche oltre.

L’espansione territoriale dei Visconti- Sforza alla metà del XV sec.
Naturalmente una serie di ingegneri militari e alcune maestranze artistiche, spesso di scuola solariana, giravano questa macroregione per puntellare il territorio di queste opere difensive, lasciando un’impronta stilistica comune anche a molte centinaia di chilometri di distanza. E’ per questo che i castelli di Bellinzona e Locarno non sono così diversi per stile e caratteri tipologici da quelli della bassa Lombardia, seppur alcune differenze sono legate alla diversa orografia o all’evolversi delle armi da fuoco o dai materiali più facilmente reperibili in loco.
La zona interessata da questo sistema organizzato di fortezze viscontee fuori dagli odierni confini italiani è quella che si trova alle spalle del Campo dei Fiori, inserita tra i laghi Maggiore e Ceresio (di Lugano), le valli alpine e prealpine a nord del Seprio. Quest’area mantiene da secoli la duplice vocazione di territorio di confine e di via di comunicazione per i commerci transalpini ed è stata pertanto, gioco-forza, dotata di difesa e controllo permanente. La sua peculiarità però, nel periodo in oggetto, stava nel fatto di essere di fatto spezzettata da una parte tra la giurisdizione spirituale della diocesi di Como e da quella dell’arcidiocesi di Milano, dall’altra, per quanto riguarda il dominio politico, tra il ducato visconteo-sforzesco e i Cantoni della Confederazione elvetica. Per questo l’amministrazione ducale risultava complicata non solo dalla lontananza fisica dal centro dello stato (Milano), ma anche da una pluralità di referenti presenti tra i borghi che si affacciavano sui laghi (Locarno, Luino, Laveno, Lugano): un notabilato locale spesso diviso in fazioni, come i Rusca e i Mandelli delle valli lariane, le comunità valligiane gelose delle proprie autonomie, un’aristocrazia spesso importata, con funzioni di controllo e di pacificazione, che acuiva le lotte invece di sedarle.

La rocca di Angera dei Borromeo a guardia del Lago Maggiore ( foto di Alessandro Vecchi)
Tra questi si annoveravano peraltro i Borromeo, incastrati ad Arona e nelle isole del lago Maggiore per spezzare la preoccupante egemonia sul Verbano di alcuni rami viscontei cadetti, o i Sanseverino (nobilissima casata napoletana di origine normanna assoldata da Filippo Maria Visconti per le condotte militari) impiantati nel Sottoceneri per ostacolare lo strapotere dei Rusca tra il Lario e il Ceresio, oppure i Cotta (antica famiglia capitaneale milanese) inseriti in Valcuvia per creare un feudo cuscinetto sull’importante strada di comunicazione tra il vecchio castello arcivescovile di Angera e i territori della diocesi comasca.
Tra il XIV e il XV secolo, ognuna di queste famiglie provvide quindi a costruire o a ristrutturare una serie di castelli e di torri di avvistamento che si snodavano per le valli a difesa dei passi e del transito o lungo le rive dei laghi. Svettano quindi fra tutti quelli di Orino, Induno Olona, Vico Morcote (CH), Cannero Riviera sul lago Maggiore e Locarno (CH), in procinto per altro di essere restaurato.

Morcote vista dalla sponda italiana del Ceresio
Il lembo più estremo a nord del Ducato era invece rappresentato dal versante che dalla Val d’Ossola giungeva fino a Giornico (CH). Qui spiccano i castelli di Vogogna, Domodossola e Giornico. Quest’ultimo è un paese della val Leventina, sito qualche chilometro a nord di Bellinzona, famoso per via della battaglia che qui si combattè nel dicembre del 1478. Protagonisti ne furono le schiere del duca di Milano da una parte e un numero assai inferiore di valligiani leventinesi e truppe regolari svizzere dall’altra. La vittoria fu dei secondi, e fu dunque vissuta come uno smacco, da subito celebrata o ridimensionata dai vincitori e soprattutto dagli sconfitti, poi dai loro eredi. Spesso divenuta in tempi a noi vicini, nel XIX e XX sec., terreno di scontro tra partiti “elvetisti” e filoitaliani, con corrispondenti, opposte, storiografie. In realtà la battaglia andrebbe obiettivamente ridimensionata poiché avvenuta in un momento davvero difficile per la tenuta dell’intero Ducato: il duca Galeazzo Maria era stato appena assassinato, il 26 dicembre 1476, lasciando il titolo ducale a un bambino, il figlio Gian Galeazzo(1476-1494).

Le truppe milanesi respinte dai Confederati; una scena della battaglia del 28 dicembre1478 immaginata dall’illustratore della Luzerner Chronik (1513) di Diebold Schilling (Zentral- und Hochschulbibliothek Luzern, Sondersammlung, Eigentum Korporation Luzern).
A reggere le sorti dello stato era quindi la duchessa Bona, sua vedova, affiancata da un consiglio di reggenza guidato dal segretario Cicco Simonetta. Ma nell’ombra, in opposizione al Simonetta e al suo strapotere si muovevano potenti famiglie milanesi, e gli stessi fratelli del defunto duca: primo tra tutti Ludovico il Moro (1480-1499), in effetti destinato di lì a breve tempo ad assumere la guida dello stato. E’ in questa cornice quindi che alcuni castelli strategici della zona si ritrovarono ad assorbire e respingere l’assalto delle indomite truppe valligiane tra le fortificazioni che si estendevano tra la Val d’Ossola e il Gottardo.
Un discorso a parte merita il sistema difensivo più a nord quello di Bellinzona, oggi in Canton Ticino (CH), in mano alla famiglia Visconti già dalla metà del XIII sec., e già famoso per la sua inespugnabilità e per l’asprezza dei luoghi.

Castelgrande a Bellinzona (foto Tilman)
Il complesso fortificato è formato da tre castelli, che dal 2000 sono stati dichiarati peraltro patrimonio dell’umanità dall’Unesco, insieme a tutto il sistema difensivo cittadino. Ad ovest, su di uno sperone roccioso sito nel mezzo della piana, sorge il presidio di Castelgrande, cui si collega la lunga Murata digradante verso il Ticino. Segue, procedendo verso oriente, le rocca di Montebello; quindi, in posizione più elevata, il castello di Sasso Corbaro. Tra Castelgrande e Montebello, si stende poi il borgo medievale di Bellinzona, serrato da mura raccordate ai due manieri, così da costituire un’unica linea fortificata in grado di sbarrare il passo a chi intendeva minacciare da nord il Ducato.
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