Milano che crea e distrugge: ascendenze e DNA del Palazzo di Giustizia

Andando in giro per la città ci capita spesso di pensare che certi edifici, palazzi, condomini, luoghi delle istituzioni, specie se collocati nel centro storico, siano da sempre parte del contesto urbano, dei panorami cittadini, anche in caso di manufatti moderni.

In realtà, è inutile dirlo, soprattutto Milano, è una città in continuo divenire, che crea e distrugge, ricca di progressivi strati che si accavallano nel tempo fino a cambiare l’aspetto stesso di alcuni quartieri. Sono partito da lontano, per dire semplicemente che nella modernità, come mi è capitato di dire già in alcuni miei interventi, il ventennio fascista prima e i bombardamenti dopo hanno rappresentato uno spartiacque tra il tessuto di antica formazione e la città contemporanea, anche in pieno centro storico.

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Oggi vorrei declinare tale assunto con un esempio eclatante, frutto della visionaria volontà del regime fascista. E’ un luogo simbolo, come ve ne sono molti in quasi tutte le grandi città d’Italia, il Palazzo di Giustizia. Il nostro però ha una storia a sé, sia per la particolarità del manufatto realizzato e per le opere di cui è abbellito, sia per quello che abbiamo perso per fare spazio a questò immenso blocco bianco.

E allora cominciamo a chiederci cosa c’era in quel luogo, all’inizio del Corso di Porta Vittoria, già Porta Tosa, prima che vi venisse calato, come un astronave, tale “palazzaccio”?

Non ci crederete, ma l’area di cui abbisognò era talmente estesa da inghiottire e distruggere in un solo colpo tre conventi, uno adiacente all’altro. Se pensate poi al fatto che sia davanti che dietro ne abbiamo altri due ( S. Pietro in Gessate e i chiostri di S. Maria della Pace oggi dell’Umanitaria), completati dalla chiesa di S. Barnaba, si veniva a delineare un quartiere votato alle istituzioni ecclesistiche, con luci e ombre.

Dalla Carta del Brenna del 1860 si possono vedere i tre conventi incastrati tra la Strada di S. Prassede (poi Porta Vittoria) e la Strada del Foppone (poi Via S. Barnaba), in basso al centro

Dalla Carta del Brenna del 1860 si possono vedere i tre conventi incastrati tra la Strada di S. Prassede (poi Porta Vittoria) e la Strada del Foppone (poi Via S. Barnaba), in basso al centro, già adibiti a caserma di S. Prassede, fra orti e giardini.

Ma torniamo ai nostri tre conventi, abbattuti uno dopo l’altro dalle ruspe di mussoliniana memoria. Il più importante era il Monastero delle schiave di Maria o delle Vergini con la sua chiesa della Presentazione o di San Filippo Neri . La dedicazione delle chiese indicava anche il nome di un collegio femminile che qui aveva la sua sede. Sorgeva sull’angolo San Barnaba/Freguglia, di fronte a S. Maria della Pace. Fu edificato nel 1621 ed annesso al monastero delle Vergini, già fondato nel febbraio 1618. Fu approvato nel 1622 con tale dedicazione dall’arcivescovo Federico Borromeo; nel 1680 le componenti della comunità ottennero di poter introdurre la clausura e pronunciare i voti monastici, osservando la regola agostiniana. Fu ricostruito nello stesso secolo da Gerolamo Quadrio, forse per le norme più stringenti dettate dalla Controriforma. Durante l’età napoleonica, dopo la soppressione dell’ordine, ospitò il Collegio Reale delle Fanciulle, fondato nel 1808, col precipuo scopo di raccogliere ed educare le figlie dei cortigiani e della nobiltà vecchia e nuova. Con l’Unità d’Italia divenne una caserma d’artiglieria, Principe Eugenio di Savoia, con costruzione anche di nuovi corpi. Il Collegio, dopo alcune sedi provvisorie, verrà invece trasferito a Palazzo Archinto. Prima dell’abbattimento del 1931, si era ventilata la possibilità di farne l’ Archivio Notarile, svuotando in tal modo l’ultimo piano del Palazzo della Ragione, ma il progetto dell’architetto del regime, Marcello Piacentini, calato da Roma per la faraonica impresa, prese il sopravvento.

L’altro complesso monastico era quello delle Agostiniane con l’annessa Chiesa di Santa Monica. Si trovava sul lato di Via Freguglia. L’ordine e il relativo complesso se resistette alle soppressioni di fine XVIII sec. e di inizio XIX, nulla potè ai disegni voluti dal regime che in quel luogo voleva veder sorgere la cittadella della giustizia. Le monache, sfrattate, fecero costruire in Via Ponzio, in Città Studi, una nuova chiesa, con l’attiguo complesso, dall’ing. Invitti nel 1934.

L'incisore Laurentino Cesare a metà del XVII sec. così immortalava il convento di S. Prassede dalla strada

L’incisore Laurentino Cesare a metà del XVII sec. così immortalava il convento di S. Prassede dalla strada

L’ultimo pezzo del mosaico era il Monastero di S. Prassede. Questo sorgeva lungo il Corso di Porta Vittoria/Via Fontana. Fu Carlo Borromeo in persona nel 1579 a porre la prima pietra della chiesa. Aveva fondato l’anno prima la Congregazione delle monache Cappuccine di S. Prassede, conferendo in questo modo una forma regolare ad un gruppo di donne che si erano riunite attorno ad una certa Maria Piantanida, per seguire una vita ascetica. La consacrazione della chiesa avviene solo nel 1586 per volere del nuovo arcivescovo Gaspare Visconti. La costruzione del monastero annesso procede molto a rilento e si protrae fino agli inizi del 1600. Nel 1799 si ha la soppressione dell’ordine, già presso S. Radegonda. Ma la chiesa continua la propria attività: le monache continuano ad occupare parte del monastero, mentre alcuni locali sono affittati ad abitazione. Una di queste all’inizio dell’Ottocento viene affittata anche al padre di Alessandro Manzoni, che ci vive col figlio. Dal 1803 viene riconvertita dai francesi in una tessitura. Nel 1809 parte del monastero è venduto all’industria tessile di Giacomo Gianella. Nel 1853 il Comune acquista dagli eredi dell’industriale i locali dell’ex monastero, per allocarvi parte degli acquartieramenti della caserma intitolata al Principe Eugenio di Savoia. Già nel 1857 se ne fa carico direttamente il Demanio statale.

Una foto del modello del Palazzo di Giustizia da realizzarsi

Una foto del modello del Palazzo di Giustizia da realizzarsi

Nel 1927, grazie ad una convenzione tra Stato e Comune, veniva ceduto alla municipalità l’area della caserma Principe Eugenio di Savoia (circa 43.000 mq.). Sulla stessa area ci si impegnava ad erigere entro 5 anni un nuovo palazzo della giustizia., su un’area complessiva di 30.000 mq. Il restante sedime doveva essere dedicata alla viabilità: la nuova Via Freguglia, si prolunga Via Andreani e si allarga la Via San Barnaba e la Via Manara.

Uno dei mosaici di Mario Sironi che abbelliscono una delle aule del Tribunale

Uno dei mosaici di Mario Sironi che abbelliscono una delle aule del Tribunale

L’enorme opera verrà compiuta solo nel 1940. Le sale d’attesa e i disimpegni furono corredati di sculture, mosaici e svariati marmi rispetto a quello ossolano che rivestì l’intera superficie liscia esterna. Se nel dopoguerra l’opera fu percepita come una mostruosità frutto del regime, oggi se ne apprezza l’intento artistico, tanto che il nostro Palazzo di Giustizia è metà anche di tour guidati.

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