Il silenzio è un assassino
In occasione della prossima giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre 2017), pubblichiamo con piacere un articolo di Isabella Clotilde, curatrice del blog: Famiglia a Modo Mio.
Abbiamo scelto di collaborare su questo tema perché anche noi riteniamo che sia necessario fare fronte comune per sconfiggere un silenzio inaccettabile, che possiamo e dobbiamo contrastare in ogni modo!
“Io mi uccido, la mia vita senza di te non ha più senso – diceva – e continuava a mandarmi le foto dei suoi polsi tagliati. Ero preoccupata e mi sentivo sempre più in colpa. Cercavo di aiutarlo, senza sapere come, ma nonostante tutti i miei sforzi, la situazione era altalenante, instabile, difficile.
Avevo tanta paura. Quando decisi di cambiare atteggiamento dicendogli che avevo un altro uomo, tutta la sua rabbia si è riversata sulla vera colpevole: io. Minacce, pedinamenti, insulti sempre più feroci, e un’unica, costante promessa: io ti ammazzo”.
Queste sono alcune delle parole che una donna forte e coraggiosa ha scelto di condividere durante un incontro organizzato dal centro antiviolenza Telefono Donna tenutosi a Magenta, una cittadina alle porte di Milano, il 3 novembre scorso. Una testimonianza importante, una storia uguale e al contempo diversa da migliaia di altre storie di violenza che si consumano ogni giorno accanto a noi. Sì, perché queste donne e questi uomini sono nostri parenti, amici, colleghi, vicini di casa, anche se non lo sappiamo, non lo vediamo, o non vogliamo vederlo, perché non sapremmo cosa fare, perché il male, anche quello altrui, ci spaventa, ci paralizza, nel tentativo di evitare di esserne travolti, o anche solo contagiati.
Ecco il motivo che mi spinge ad ampliare la voce di questa donna e di tutte le donne: “la situazione è cambiata quando ho iniziato a parlarne, quando ho capito che non ero sola”.
No, non siamo sole, la rete di persone, associazioni, istituzioni, forze dell’ordine preposte alla prevenzione e alla difesa da un crimine come la violenza di genere è vasta, competente, attiva. In modo particolare a Milano e nelle altre grandi città italiane, ma non solo.
Ritengo sia un diritto e un dovere di ogni cittadino farsi promotore della diffusione di informazioni, educazione al rispetto e cultura della tutela della dignità umana, di ogni persona, di tutte le persone. Altrimenti, è e resterà nostra la responsabilità di queste violenze: di chi ha agito, certo, ma anche di chi ha taciuto, di chi non ha visto, di chi non ha teso la mano, di chi non ha indicato una via, di chi non è riuscito ad educare gli uomini e le donne di oggi e di domani, mettendo al centro la persona e i suoi diritti fondamentali. Primo fra tutti quello di vivere, e di vivere senza paura. Compito che appare più difficile in questo contesto storico, nel quale le strutture e i ruoli sociali si stanno e ci stanno stravolgendo, lasciando nell’oscurità chi non riesce a trovare nuovi equilibri, nuove risorse, nuove modalità di stare al mondo e di confrontarsi con le differenze.
Sono ancora poche le donne che denunciano. Perché hanno paura, perché si vergognano, perché non sanno, perché si sentono in un angolo buio dal quale appare impossibile uscire, perché, nonostante tutto, vogliono proteggere la relazione. Per questo il racconto di Mirella e di tante altre è così importante. Basta un primo, fondamentale passo per iniziare ad uscire dal tunnel del terrore e dell’immobilità: rivolgersi ad uno dei tanti centri antiviolenza presenti sul territorio, per raccontare, per confrontarsi, per sapere cosa è possibile fare. Il primo, cruciale passaggio è la valutazione dei fattori di rischio, effettuata da operatori esperti, e dalla quale possono essere prese in considerazione le azioni concrete e più tutelanti nel caso specifico.
Il messaggio fondamentale, però, è sempre lo stesso: “non sei sola! Fatti tenere per mano, abbi fiducia in te stessa, come noi ne abbiamo in te. Hai tutte le risorse per poterne uscire. Sei una donna forte e la dimostrazione di questo è che sei arrivata qui”.
Se siete vicini a persone o famiglie che stanno affrontando lo spettro della violenza, o se temete che possa essere così, fatevi portavoce di questo messaggio, nel rispetto dei tempi delle persone coinvolte.
Concludo con il mio grazie più forte. Grazie a chi ogni giorno accompagna le vittime – e i carnefici – a riprendersi le loro vite, a costruirne di nuove e floride, a curare le ferite dei minori, con delicatezza e sensibilità, per far sì che possano crescere guardando avanti e lasciandosi alle spalle un vissuto che non potranno mai dimenticare, ma dal quale, se aiutati, potranno imparare anche cose belle sull’amore. L’amore per se stessi e gli altri. Perché ricominciare si può. Sempre.