La saga: quella passione che vorresti non finisse mai
La saga dapprima attrae, poi incanta, e ancora accompagna fino a legare indissolubilmente a storie senza fine: ai tempi delle seguitissime serie televisive e dell’ormai noto “binge watching*” questa affermazione non stupisce più, ma personalmente mi sorprende che sia ancora di grande attualità anche per quanto riguarda la narrativa. In modo particolare mi riferisco a due saghe che di recente hanno letteralmente soggiogato innumerevoli lettori.
Non certo solo i milanesi, ma i cittadini di tutto lo stivale e persino i lettori di molti altri Paesi, soprattutto di lingua inglese e segnatamente degli Stati Uniti, hanno molto apprezzato la serie letteraria firmata da Elena Ferrante (inserita dal Time nel 2016 tra le 100 persone più influenti al mondo), che prende le mosse dal primo romanzo “L’Amica Geniale” seguito da altri tre volumi in cui l’autrice, un anno dopo l’altro, ha narrato le vicende di Lila e Lenù, e della loro amicizia dall’infanzia alla maturità.

Due dei 4 volumi della saga di successo di Elena Ferrante
Un affresco articolato e corale, che a partire dai più poveri quartieri di Napoli, oltre alla relazione tra le due protagoniste, attraversa la realtà italiana ritraendola dagli anni ’60 e relativa contestazione, ai movimenti operai, al femminismo, fino al terrorismo e a tangentopoli. Ma tutto questo sullo sfondo, perché a travolgere il lettore in realtà è proprio l’amicizia tra luci e ombre, invidie e solidarietà, tensioni e rivalse, delle due donne. Libri che in gergo tecnico si potrebbero definire “page turner”, cioè da leggere tutti d’un fiato, facendo il tifo ora per una protagonista ora per l’altra… ma attenzione, dietro questo progetto c’è Elena Ferrante, sulla cui identità ancora si dibatte molto. Uno pseudonimo e un mistero che hanno accresciuto la fascinazione per la produzione di questa autrice, già acclamata per il premiato romanzo “L’amore molesto” da cui Mario Martone ha tratto l’omonimo film e “I giorni dell’abbandono”, altro successo a cui si è ispirato Roberto Faenza per la sua celebrata pellicola.
LA FAMIGLIA CAZALET
L’affezione per una narrazione di questo tipo diventa una passione davvero seriale: l’immersione totale nella storia fa sì che non ce ne si voglia mai staccare, ancor più se si ha l’occasione di leggere i libri uno dietro l’altro, pure a qualche tempo di distanza dalla loro uscita. Così è capitato a me in questo caso ma ancor di più con un’altra serie letteraria, che oltretutto ha visto la pubblicazione di un quinto e ultimo volume proprio due mesi fa: la Saga dei Cazalet creata da Elizabeth Jane Howard (dalla vita alquanto complicata e articolata, a cui si ispirano molte vicende della serie di romanzi).

Elizabeth Jane Howard, l’autrice della saga dei Cazalet (photo: independent.co.uk)
E qui il nostro punto di vista fa un salto oltre Manica: l’autrice, con non poche pennellate autobiografiche, racconta la storia di un’agiata famiglia alto borghese britannica negli anni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale sino alla fine degli Anni Cinquanta. Anche in questo caso, come molti utenti, ho letto tutti i volumi di filato, immergendomi nelle vicende di questa prolifica famiglia. I riflettori sono in modo particolare ancora una volta puntati sulle donne e sul loro modo di vivere all’interno della famiglia e del contesto storico. Come per l’autrice, appare evidente una pur lenta evoluzione del loro ruolo sociale, della loro pur sfumata voglia di emancipazione, sempre al centro di una narrazione quotidiana, uniforme, mentre la Guerra rimane sul background, per diventare protagonista solo quando riguardi direttamente i personaggi dei romanzi.

Un’immagine da una delle copertine dell’edizione italiana della saga. La cover dell’articolo ritrae un particolare della copertina dell’ultimo capitolo, pubblicato da poco
Non mancano le vicende della servitù, anche se non in primissimo piano: e questo ci rievoca senza dubbio le vite all’ombra della sfarzosa tenuta di Downtown Abbey – nell’omonima serie televisiva di successo mondiale -, dove i destini dell’aristocratica famiglia si intrecciano con quelli dei loro servitori. E si torna ancora una volta, quindi, al concetto che “seriale piace di più”.
PIU’ PUNTATE, PIU’ DIVERTIMENTO
Gli esempi in tema di serie TV oggi sono innumerevoli e nei salotti (a Milano più che mai) si dibatte sempre su quelle preferite, peraltro oggi in grado di fare una concreta e spietata concorrenza al cinema in fatto di qualità, produzione, casting… In più, regalano tutto il gusto di seguire un qualsiasi tipo di storia molto più a lungo e con molti graditi approfondimenti. Io per prima sono una fan di moltissime serie che abbracciano i più svariati temi e narrazioni…
Ma che sia chiaro, il “piacere seriale” non è cosa nuova: non sono la sola a ricordarlo in rete, ma è ben famoso il fatto che molti romanzi d’appendice del XIX secolo, o del secolo successivo, siano stati pubblicati a puntate su quotidiani e su settimanali. O più recentemente, sono stati oggetto di riduzioni radiofoniche o televisive.

Nel 1967, esattamente 50 anni fa, andava in onda la riduzione televisiva de “I promessi sposi”, uno sceneggiato di 8 puntate realizzato dalla RAI
Sembra proprio che seguire passo a passo una storia e i suoi protagonisti, da sempre crei una sorta di dipendenza… vogliamo chiamarla “serial addiction”?
*binge-watching: è un neologismo che deriva dall’unione di binge, traducibile come gozzoviglia o abbuffata, e watching, ossia visione. Chi segue per esempio le serie TV facendone una scorpacciata, cioè vedendone una puntata via l’altra, è un binge-watcher. Nel caso delle saghe letterarie sarà un … binge-reader!