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Le Abbadesse di Milano: un borghetto rurale e una chiesa, a pochi passi dai grattacieli di Porta Nuova

In un tempo lontano, quando i Visconti dominavano saldamente il ducato tra il XIV sec. e la fine del XV, Milano era uno fiorente centro commerciale, denso di case all’interno della cerchia del naviglio, e al di fuori, come ogni mappa del periodo può testimoniare, si trovavano una serie di borghi agricoli, spesso in concomitanza delle stazioni di posta. Ma non solo, spesso vi erano dei grossi complessi con una serie di cascine che governavano le attività di un territorio agricolo spesso di grandi dimensioni, di proprietà di qualche nobile e potente famiglia vicina alla corta, o appartenente a qualche convento o monastero cittadino. Una di queste realtà era l’antico convento femminile delle agostiniane, dette abbadesse, ben fuori la più antica Porta Nuova (la porta medioevale che oggi possiamo vedere in Piazza Cavour).

abbadesse

Tale convento, luogo romito, si trovava all’interno di un insediamento rurale formato da qualche cascina e da un edificio padronale forse adibito in parte a foresteria delle monache. Tutto intorno era campagna e qualche segno di vita si trovava ben lontano. I vicini più prossimi consistevano nelle proprietà del cardinale Pozzobonelli, che pressappoco, terminavano lungo l’attuale Via Pola, all’altezza del distributore Agip, di fronte alla Regione, e di cui rimane ben poco del costruito (oggi inglobato dal cortile di un hotel) della sua famosa ed enorme residenza-cascina rinascimentale, in fronte alla Stazione Centrale (lato Piazza Luigi di Savoia/Andrea Doria), e dalla parte opposta, un piccolo cimitero fuori le mura che serviva l’abitato del sestiere Comasina, chiamato la Mojazza (sull’attuale Piazzale Lagosta). Tutto intorno campagna, frutteti e campi coltivati, resi fertili da qualche roggia che partiva dalla Martesana e da qualche risorgiva della zona a due passi dalle sicure mura cittadine e da quell’altra strana realtà rinascimentale, a metà tra un santuario e un luogo di pellegrinaggio, quale S. Maria alla Fontana (anche in questo caso il nome indica la presenza di un fontanile).

Mappa della zona con al centro le abbadesse (simbolo verde) e ai lati ciò che rimane della cascina Pozzobonelli (in rosso in basso a sx) eil cimitero della Mojazza (in alto a sx in rosso)

Mappa della zona con al centro le abbadesse (simbolo verde) e ai lati ciò che rimane della cascina Pozzobonelli (in rosso in basso a sx) e il cimitero della Mojazza (in alto a sx in rosso). E’ facile riconoscere la Stazione Centrale e la nuova sede della Regione Lombardia.

Oggi il panorama è di molto cambiato: il costruito ha fagocitato tutte le aree verdi; persino il “bosco di Gioia” non esiste più per fare spazio alla nuova sede della Regione Lombardia; l’antico convento è divenuto un condominio, tra Via Oldofredi e Via Abbadesse, con qualche ristorante che ha occupato le antiche strutture rurali, con spazi all’aperto e con un vago sapore da vecchia trattoria; e dulcis in fundo, una piccola chiesetta è rimasta a presidiare il crocicchio, ma che è spesso chiusa agli occhi indiscreti dei passanti allibiti, che si trovano catapultati in un angolo di campagna tra i grattacieli dell’area Repubblica-Garibaldi-Porta Nuova.

Ma allora cos’è (era) questo luogo? Era semplicemente un insediamento rurale sulla strada per Niguarda, di cui sopravvive, seppur rimaneggiata e riattata, la cascina omonima con tipica corte e pozzo e la chiesetta dei SS. Carlo e Vitale dalla parte opposta della strada. Durante la Controriforma sicuramente un piccolo oratorio precedentemente costruito, venne soppiantato dall’attuale chiesetta dalle forme barocche e al centro del crocicchio si installò una stele devozionale (oggi scomparsa per far passare le macchine), come se ne vedevano tante nelle piazze della città coeva.

Lo slargo con a dx la chiesetta e a sx l'edificio padronale del complesso rurale (foto di Robert Ribaudo)

Lo slargo con a dx la chiesetta e a sx l’edificio padronale del complesso rurale (foto di Robert Ribaudo)

Allora come oggi, il piccolo edificio sacro si presentava con una semplice fronte con portale dal ricco fregio superiore. L’interno, a navata unica, ospita ancora l’originario altare tardo-barocco. E’ divisa internamente in quattro campate ed è coperta con volte a botte e tetto a doppia falda, proprio come le tipiche chiesette di campagna. Sul cantonale a destra è impostato un campaniletto a pianta quadrata. Le pareti interne sono adornate ed affrescate (per lo più della scuola del Morazzone), con aggiunte di lesene e scorniciature a rilievo per le prime tre campate. L’ultima, demarcata da balaustra e gradini, non segue lo stesso ordini di pannelli, ma si sviluppa con un motivo prospettico di abside finto. Qui è ricavata la grande nicchia centrale col sontuoso altare barocco. In alto, nei pennacchi della volta sono aperte alcune finestre rettangolari semplici, su fondo a colore.

Interno della chiesa (foto urbanfile.it)

Interno della chiesa (foto urbanfile.it)

Tutto intorno il verde pubblico ha isolato l’edificio fatto ristrutturare grazie ad un lascito della contessa Lavinia Marliani e poi finito tra le proprietà dell’Ospedale Maggiore. Come molte delle proprietà dell’ospedale, l’ oratorio, fu abbandonato fino a quando nel 1911 la Soprintendenza non scopre  gli affreschi di Pietro Maggi, realizzati su ordine della contessa, e pone il vincolo di tutela, che ha difeso l’edificio e forse il complesso rurale antistante da qualche famelica speculazione selvaggia. In realtà persino i giardinetti restrostanti la chiesa sono il frutto di un atto pianificato, poichè sono una gradevole copertura di un sottopasso ferroviario, prima che i treni raggiungano la vicina stazione Garibaldi.

Non mi resta che invitarvi a visitare il settore urbano fin qui descritto, magari cogliere l’occasione per un aperitivo in uno dei localini caratteristici su strada.