Yuri Guaiana racconta l’emergenza in Cecenia
Il New York Times ha espressamente parlato di pogrom.
Così è stata definita la situazione vissuta dalle persone LGBT in Cecenia, che non ha eguali nella storia recente d’Europa.
Ne ha parlato di recente Yuri Guaiana, attivista membro del board di ILGA-Europe, ex segretario di Certi Diritti e campains manager dell’associazione ALL OUT, per conto della quale l’11 maggio si trovava a Mosca per consegnare proprio una petizione contro le torture degli omosessuali in Cecenia.
Per questo è stato arrestato e – per fortuna – poco dopo rilasciato.
Cerchiamo di capire, grazie alla testimonianza diretta di Yuri nell’ambito di un incontro organizzato da 02PD presso Leccomilano in Porta Venezia, qual è la verità del dramma ceceno e perché questa situazione riguarda tutti.
Anche noi!
IL LAGER CECENO

L’Attivista Yuri Guaiana
In Cecenia – racconta Yuri – una Repubblica parte della Federazione Russa, dominata dal brutale Ramzan Achmadovič Kadyrov , le autorità hanno organizzato e continuano ad organizzare arresti di persone omosessuali che vengono poi rinchiuse in centri di detenzione illegale: il primo è stato scoperto nella zona di Argun; in seguito ne sono stati individuati altri tre.
Dopo i primi arresti di omosessuali, è stata ricostruita la loro rete di conoscenze, in primo luogo attraverso la tortura, anche con l’utilizzo di scariche elettriche; quindi lasciando accesi i cellulari degli stessi arrestati, imprigionando tutti gli amici che li hanno contattati, semplicemente presumendo che anche costoro dovessero per forza essere omosessuali.
Ad oggi le persone arrestate sono state 100; 4 i morti a causa delle torture e – secondo il periodico indipendente Novaya Gazeta – a questi vanno aggiunti altri 26 morti per ciò che è avvenuto a molte delle persone rilasciate: sono state infatti ricondotte alle famiglie in un contesto dove vige il diritto d’onore e, una volta fatto l’outing di queste persone, le autorità hanno chiesto ai parenti di “risolvere il problema”. La soluzione è stata spesso l’uccisione dei ragazzi da parte delle loro stesse famiglie.

Yuri Guaiana nella serata organizzata presso il Leccomilano di Porta Venezia.
Di fronte a queste aberrazioni va sottolineato il coraggio mostrato dai giornalisti, in particolare soprattutto i corrispondenti della già citata Novaya Gazeta, un giornale che ha pagato, per il coraggio dimostrato anche in passato, un tributo in termini di vite umane:
pensiamo solo ad Anna Politkovskaya, giornalista dello stesso periodico, assassinata proprio a causa dei suoi scottanti reportage sulla Cecenia.
Le associazioni russe per la difesa dei diritti umani – da parte loro – hanno subito organizzato una linea amica per permettere a tutti coloro che si sentivano in pericolo di contattare il Russian LGBT Network, così da tentare di lasciare il territorio ceceno.

Anna Politkovskaya , giornalista e attivista per i diritti umani, uccisa nel 2006
L’associazione “All OUT” si è messa immediatamente in contatto con il Network, di cui poi ha sostenuto l’attività, da una parte attraverso una petizione perché si avviasse un’inchiesta (ragione per cui Yuri è stato arrestato); dall’altra per mezzo di una raccolta fondi al fine di sostenere l’evacuazione dalla Cecenia delle persone in pericolo. Il sostegno – va detto – deve proseguire anche oltre l’espatrio dalla regione caucasica, in quanto, se i fuggiaschi rimangono entro i confini della Federazione Russa, non possono cercare lavoro: consegnare i propri documenti al possibile datore di lavoro equivale infatti a poter essere intercettati dai parenti o dalle milizie cecene e quindi, ancora una volta, rischiare la vita.
COSA SI PUO’ FARE? LA QUESTIONE POLITICA
Cosa può fare l’Europa? Priorità assoluta è la concessione di visti agevolati alle persone evacuate dal territorio ceceno (ad oggi 42) . La Lituania ha concesso due visti. La Francia – è stato annunciato in occasione dell’incontro tra Macron e Putin a Versailles – ne ha recentemente concesso un altro (ne seguiranno altri).
Questo a testimonianza di come, se c’è volontà politica, qualcosa può si può fare.
L’Italia è tenuta ad agire, anche per ragioni di interesse: non si può pensare infatti che tutto questo non ci riguardi. Si tratta di un disegno politico preciso, non solo di Kadirov, ma anche dello stesso Putin, che sta facendo tutto il possibile per attaccare l’Unione Europea e minare il concetto stesso di diritti umani in tutti i contesti internazionali.
All’ONU il presidente russo è il punto di riferimento di una coalizione di stati che propongono di sottoporre il concetto di “diritto umano” a quello di “tradizione nazionale” (hanno già fatto passare una mozione). Si sostiene cioè che i diritti umani devono essere interpretati a seconda della tradizione nazionale del paese nel quale tali diritti dovrebbero essere applicati.
Si tratta dell’affossamento totale del concetto di universalità e inalienabilità dei diritti umani.
E’ assolutamente necessario tenere alta la pressione internazionale sulla Russia.
Angela Merkel e il ministro degli esteri inglese Alan Duncan hanno sollevato la questione; così il dipartimento di stato americano. Macron ha espresso con fermezza a Putin le attese della Francia: “riguardo alle notizie circa repressione di omosessuali in Cecenia, e quanto al trattamento delle organizzazioni non governative”.
Silenzio da parte del Ministero degli Esteri Italiano.

Putin e Macron durante l’incontro a Versailles (Reuters)
La pressione mediatica ha fatto sì che l’inchiesta sia partita. Il rischio ora è però l’insabbiamento delle prove.
Human Rights Watch ha già dimostrato come nella prigione di Argun abbiano prontamente riempito di pietre le celle dei detenuti così da impedire agli investigatori della federazione russa di trovare tracce. Le celle – sottolineiamolo – corrispondono esattamente alla descrizione fatta dai testimoni sopravvissuti.
L’ inchiesta Russa è partita. Occorre però che arrivino osservatori internazionali.
La Russia è parte – almeno formalmente – del Consiglio d’Europa e come tale dovrebbe rispettare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sappiamo però che si tratta di un paese “particolare” e che le persone LGBT non godono di vita facile.
LA SITUAZIONE LGBT IN RUSSIA.
Putin è stato eletto per la terza volta presidente della Russia nel marzo 2012, sostenuto in particolare da forze conservatrici e nazionaliste, avviando di conseguenza una forte e costante polemica verso l’Europa, infarcita di tanta retorica, con la denuncia della “corruzione e decadenza occidentale”.
In questo quadro rientra anche la politica anti-gay, che si è concretizzata in una legge del 2013, definita anti propaganda di valori e relazioni sessuali non tradizionali, che non comporta una perseguibilità penale diretta, ma che punta all’eliminazione totale della visibilità pubblica e delle libertà LGBT. Sull’onda di questa politica repressiva, vi sono casi frequenti di ronde, pestaggi, violenze, sostenuti da un clima di odio fomentato anche dalla stessa chiesa russa ortodossa. A tal proposito, molto interessante è il film documentario: “They hate me in vain” (Invano mi odiano) della film director Yulia Matsiy, patrocinato da Amnesty International, in cui si parla della situazione drammatica delle persone LGBT cristiane in Russia, minoranza nella minoranza.
Tornando a Kadirov, va detto che è andato ben al di là anche delle linee repressive della politica moscovita, tanto da mettere in imbarazzo una parte dello stesso entourage di Putin, il quale, da parte sua, non ha certamente interesse a intervenire su un alleato che gli garantisce uno stato di pace in casa, tenendo ferma la polveriera cecena. Un alleato che, se “infastidito”, potrebbe tra l’altro smuovere tutte quelle forze islamiste che in Cecenia sono ben presenti.
MANTENERE ALTA L’ALLERTA
Per questo è necessario che tutti contribuiamo a mantenere sempre alta l’attenzione e la pressione internazionale, perché la violazione del diritto, riguarda tutti, nessuno escluso!
Non diamo mai per scontato che diritti che sembrano per noi acquisiti, siano tali per tutti, oppure che non vi possa essere il rischio, di fronte al riemergere di derive autoritarie sempre più dilaganti ovunque, che questi possano essere messi in discussione e spazzati via.
La battaglia per il diritto e la libertà è e deve essere quotidiana.
Non dimentichiamoci, anche in questo periodo in cui l’Italia si colora dell’Onda Pride, delle sofferenze che colpiscono in modo atroce uomini e donne in Russia, Cecenia, e in molte altre parti del mondo.
La libertà è la più importante, ma anche la più fragile delle conquiste.