Quell’idea di Lombardia nei secoli, attraverso le attività degli artisti italiani e ticinesi
Ci fu un tempo, dopo la caduta dell’Impero romano, e dopo l’arrivo dei barbari da Nord, che per Lombardia venisse inteso un territorio ben più esteso dei moderni confini politico-amministrativi.
In genere, in un periodo che va dall’alto Medioevo, già prima dell’arrivo dei Franchi di Carlo Magno, col termine Lombardia si intese indicare un territorio che dal Ticino arrivava fino alle pianure del picentino, spesso fino alle prime colline del parmense, dal lago Maggiore e giù passando per il novarese si estendeva fino ai primi valichi appenninici, così come dal Garda sconfinava giù giù fino alle terre ben oltre il Po. Nella stessa area, che più che un che una vera e propria contea del Sacro Romano Impero era più che altro un’idea geografica, era nato un particolare stile artistico, con un’ascendenza antica quanto il bel costruire della romanità, ma con un gergo e una cifra tutta sua, che i più chiamarono poi romanico lombardo.

Chiesa di S. Michele arcangelo a Pavia, ricco di fregi zoomorfi anche in facciata
Tale linguaggio che non disdegnava gli stilemi che i popoli barbari avevano portato con sé, influenzò anche una larga parte dell’Italia centro-meridionale, fino all’Umbria alle Marche, al nord del Lazio, ed in parte anche la Puglia e la Sardegna. Ora, non voglio dilungarmi su quali furono le novità introdotte da questo nuovo stile, ma mi preme affermare che più di ogni altra particolare declinazione furono esportate tecniche costruttive , seppur già ampiamente conosciute dai romani, ormai desuete. Esempio furono le volte in pietra o alcune rielaborazioni stilistiche come gli archetti pensili e le lesene (non a caso chiamate in Francia bandes lombardes). Il tutto seppur confezionato con una certa semplicità e un vigoroso senso di solidità, spesso comunicato dalle stesse murature in mattoni (materiale di cui ci si poteva approvvigionare facilmente in pianura padana) non era scevro da certi interessanti inserti in pietra con vere o proprie sculture, soprattutto nei capitelli o nei portali d’ingresso.

Fregio di uno dei portali di Sant’Abbondio a Como
Si svilupparono in tal modo maestranze capaci non solo di replicare tali manufatti ma di esportare tali modelli oltre i naturali confini prima citati. Questi lavoranti – non si può ancora parlare di artisti in senso stretto per una mancanza di coscienza della propria professionalità – si organizzarono ben presto, in un arco temporale tra il VII e l’VIII sec., in una forte corporazione da tutti conosciuta come magistri comacini. Seppur il nome richiamasse la zona del comasco, la loro origine e anche la loro azione travalicava il Lago di Como, per vederli all’opera anche nel Canton Ticino, nelle Prealpi e nella Val Padana. Tra le migliori opere di questa scuola ci sono le decorazioni esterne della basilica di Sant’Abbondio a Como, oppure il coro della chiesa di San Fedele, sempre a Como, con figure zoomorfe, mostri, grifoni ecc. Per queste forme la loro cifra è data dal ricorso ad uno strumento antico (già usato dai romani per elaborare i fregi delle colonne coclidi): il trapano. Questo creava un netto distacco dal fondo lapideo e concedeva la libertà creativa di effetti chiaroscurali.

Bassorilievo del duomo di Modena (foto da autostrade.it)
Queste maestranze non scompaiono con il regno franco e poi ottoniano, ma si evolvono in un altro genere di professionalità edlizia ed anch’essi girovagano non più solo per l’Italia ma anche per l’Europa, veicolando idee nuove come nello stesso tempo facevano i mercanti lombardi. Infatti già col XII sec. e ancor più col XIII, si fanno strada i maestri campionesi, anche’essi costruttori e scultori riuniti in corporazioni, provenienti da Campione d’Italia (attualmente enclave italiana in Svizzera sul lago di Lugano) o da altre località dei laghi ma attivi in quella “Lombardia” dai confini ampi e liquidi di cui abbiamo parlato nel nostro incipit.

La pusterla di S. Ambrogio, con l’edicola in pietra di un anonimo maestro comacino con i santi Ambrogio, Gervasio e Protasio (foto G. DallOrto)
Tali maestranze, che si abbeveravano alle stessi fonti artistiche e che usavano spesso gli stessi modelli, non essendoci ancora l’idea di plagio, coprivano ambiti di ricerca che travalicava la lavorazione della pietra, fino all’esercizio della loro arte nella carpenteria, in costruzioni molto elaborate (ricordiamo che ci muoviamo già nell’ambito di un romanico tardo se non di proto-gotico), e addirittura in un uso avanzato del metallo. Si distinsero oltre che per le loro abilità e propensioni anche per la loro provenienza, che come abbiamo visto poteva essere il Canton Ticino, ma non di rado anche l’alto Lario per la corrente Antelamica (il termine Antelamus corrisponde ad una corruzione medioevale del nome della Val d’intelvi). Questi ultimi furono molto attivi nei cantieri genovesi e modenesi.

Il Duomo di Modena, teatro delle opere dei maesti campionesi
Per vedere stabilizzati questi confini lombardi, abbiamo già visto, in un nostro passato intervento riguardante la situazione del XIV e XV sec. nel Nord Italia, dobbiamo aspettare l’avvento del visconteo Ducato di Milano, le cui conquiste vanno esattamente a concretizzare le aspirazioni di quell’idea di “Lombardia”.
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[…] accennato nello scorso intervento come per vedere stabilizzati i confini lombardi, nel Medioevo, si debba attendere l’avvento del […]
[…] aggiunto, in tempi recenti, allo stemma del monastero ambrosiano, la chiocciola, che alluderebbe ai maestri campionesi che lasciarono per secoli il segno ovunque andassero, chiamati per la loro perizia come scalpellini […]