L’altro lato del carcere, tra piatti stellati, fiori e laboratori creativi
Ho sempre pensato che, le storie più belle, fossero quelle delle seconde possibilità. Storie di rivincite, di errori corretti. Storie di scuse, ma sincere. Storie di riscossioni, di un sorriso ritrovato. Storie che, magari, le prime pagine di un giornale non le riempiono. Ma un pezzettino di mondo lo cambiano. E queste storie, talvolta, nascono laddove non te lo aspetti. In un carcere, ad esempio.
Come nel carcere di Bollate, dove c’è un ristorante che – in Italia – è un caso unico. Si chiama InGalera, è aperto a tutti sia per pranzo che per cena e, ad affiancare lo Chef e il maître professionisti, ci sono i detenuti della casa circondariale. É, la sua, una vera storia di seconde possibilità. Perché insegna ai carcerati la cultura del lavoro, permette loro di rapportarsi col mercato e con la società civile. Qui, i detenuti studenti, grazie alla collaborazione con l’Istituto Alberghiero Paolo Frisi, possono svolgere lo stage obbligatorio per conseguire il diploma. Qui, tutti, si ricordano di essere uomini. Perché un carcere può – e deve – fare anche quello. Educare, riabilitare. Aiutare a ritrovarla, la dignità. Un’operazione che, da Bollate, passa attraverso la cucina. Una cucina raffinata, che ha in menù piatti come il Soufflè al gelato di pomodoro con polpa di granchio, le Seppie ripiene su vellutata di fave con polvere di limone al caffè, i Profiteroles al pistacchio e cioccolato fumé. O come il Don Raffaé, che rende omaggio a Fabrizio De André.

L’ingresso del ristorante InGaleria (ph. Andrea Guermani).

Finger food al ristorante InGalera (ph. Andrea Guermani).
Che poi, InGalera, è solo l’ultima delle iniziative che il carcere di Bollate ha lanciato. In principio fu – e ancora adesso è – il Catering ABC. Fin dal 2004, qui, i detenuti – regolarmente assunti – preparano piatti per matrimoni, feste private, meeting aziendali e convegni. Li servono in livrea bianca, con bottoni dorati e guanti candidi. Li preparano con materie prime naturali, li presentano con cristalli e porcellane. Il risultato? Ad oggi, già 50 dei dipendenti si sono reinseriti nel mondo reale. Il cosiddetto “mondo fuori”. In linea con la percentuale bassissima di recidive che il carcere di Bollate può contare (20%, contro il 70% della media nazionale).

Impiattamento realizzato da ABC Catering.
Nel 2007-2008, fu invece la volta di Cascina Bollate. Un vivaio in cui, i detenuti del carcere, coltivano piante annuali insolite e rose antiche. Diventano giardinieri professionisti, i carcerati. Imparano a prendersi cura dell’altro, anche se l’altro – talvolta – ha l’aspetto di un fiore. Qui, il mondo, entra dentro. Lo fa attraverso i corsi di giardinaggio, attraverso le visite guidate alle serre e a un terreno che è grande 10.000 mq. Le sue piante si possono acquistare, tutte, anche online. E sono belle in modo straordinario. Ci sono poi, nel carcere di Bollate, anche i cavalli. Sono quelli dell’Associazione Salto Oltre il Muro che, con il progetto “Cavalli in carcere”, insegna ai detenuti la professione dell’artiere. Con un cavallo, meccanismi di difesa e aggressività lasciano il posto al rispetto reciproco. L’uomo si prende cura di lui, che spesso è frutto di un sequestro alla criminalità organizzata, che è stato abusato, che doveva essere destinato al macello o che è arrivato a fine carriera. E impara ad amarlo. Per amare anche se stesso.

Una delle serre di Cascina Bollate.
Ma non è solo il carcere di Bollate a promuovere iniziative di questo tipo. Dal nord al sud Italia, le storie di riabilitazione, di insegnamento e di rinascita sono tante. Tantissime. Restando a Milano, la sartoria sanvitTore realizza – nei suoi 3 laboratori sartoriali, di cui uno all’interno di Bollate e uno del carcere di San Vittore – costumi di scena per il Teatro alla Scala e il Regio di Parma; abiti per spot pubblicitari, film e serie tv; toghe per i magistrati; vestiti da sposa e, soprattutto, collezioni da acquistare online o nel punto vendita di Milano. La proprietaria del brand è la cooperativa Alice. Ed è sua l’idea della collezione “Gatti Galeotti”. Una collezione ironica, che affianca capi più eleganti fatti di stile e di colore.

Gonna Malika e top Mirna della sartoriasanvitTore.

La t-shirt “Gatti di notte” della linea Gatti Galeotti.
Invece, a Venezia, dal 1994 la cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri lavora all’interno della Casa Circondariale Maschile di Santa Maria Maggiore e della Casa di Reclusione per Donne della Giudecca. Lo fa gestendo un laboratorio di cosmetica, un laboratorio di accessori in PVC riciclato e un laboratorio di serigrafia, oltre all’orto biologico e alle attività esterne al carcere. E così, qui, nascono le “Malefatte” – borse e accessori creati con PVC recuperato da vecchi cartelloni pubblicitari –, i prodotti beauty Rio Terà dei Pensieri (compresi prodotti bio certificati Eco Bio Cosmesi e una linea di prodotti di cortesia per gli hotel), e stampe su tessuto per la personalizzazione di capi d’abbigliamento, gadget e accessori.

Lo Zaino Uba di Malefatte, acquistabile su www.malefattevenezia.it al costo di 53.50 euro.
A Roma, l’associazione culturale Artwo produce – all’interno del carcere di Rebibbia – opere ideate da designer e artisti contemporanei. Oggetti d’uso comune, decontestualizzati e riciclati, diventano qui creazioni in tiratura limitata. Con una convinzione: è inestimabile il valore della bellezza artistica in un luogo in cui la libertà non appartiene al gioco del quotidiano. E, ancora, nel carcere di Forlì, il Laboratorio Carta Manolibera realizza manufatti preziosi, utilizzando un’antica tecnica di lavorazione arabo-cinese. I suoi prodotti, nati da scarti di legatoria, sono romantici e delicati: biglietti d’auguri, partecipazioni, carte da lettera, album e quaderni, quadri e scatoline per le bomboniere. Tutto realizzato a mano, con amore e con pazienza. Ci sono poi i prodotti alimentari, che sono tantissimi e sono golosi. C’è la pasticceria tipica siciliana Dolci Evasioni, con la sua mandorla di Avola e il limone di Siracusa. Un’idea della cooperativa sociale L’Arcolaio, che vede impegnati i detenuti del carcere di Siracusa. C’è il Caffè Lazzarelle dell’omonima cooperativa che, nel carcere di Pozzuoli (NA), insegna alle detenute a produrre e a lavorare il caffè.

Biglietto e busta della Linea Pioppo del Laboratorio Carta Manolibera, acquistabili online su www.cartamanolibera.it.

Detenute al lavoro per la produzione del Caffè Lazzarelle.
E si potrebbe continuare all’infinito. Perché il carcere non è solo un “buco nero”. E non è fatto solo di cronaca, nera pure quella. Tante volte, è lo scenario di una seconda possibilità. Che profuma di successo.