Il nostro viaggio, da Bangkok a Okinawa (parte 3)
Salutata Bangkok, lasciato in Indonesia un pezzetto di cuore, saliamo sul volo Air Asia con destinazione Tokyo. Le prossime tre settimane saranno tutte dedicate al Giappone. Che, in me, non occupa ora alcun posto speciale. Non sono tra le persone (la quasi totalità, a dire il vero) che, dal Sal Levante, sono tornate estasiate. No. Io non l’ho amato molto. Mi ha incuriosita, mi ha sorpresa, a tratti affascinata, ma non mi ha lasciato quella malinconia dolce che un viaggio dovrebbe regalare. Solo una volta, sono riuscita ad emozionarmi. Ero a Hiroshima, davanti al triciclo di un bambino volato via insieme alle migliaia di vite che la bomba atomica ha strappato. Ma questa è un’altra storia.

L’incrocio di Shibuya.
Il Giappone, nel suo primo impatto, ha per me il volto di Tokyo. O, meglio, gli infiniti suoi volti. Tokyo è una sorpresa, nel senso che non sai mai cosa troverai una volta girato l’angolo. Basta attraversare l’incrocio pedonale di Shibuya – il più trafficato al mondo, all’interno dell’omonimo quartiere – per capire quanto, questa città e il suo Paese, siano meravigliosamente variegati. Giovanissimi uomini d’affari accanto a colorati Cosplayer, ragazze dai capelli arcobaleno vicino a donne in kimono. E poi bambini di 5 o 6 anni che, da soli, si avviano verso casa o verso la loro scuola, anziani di cent’anni e ragazzine vestite secondo la moda ganguro (pelle abbronzata e abiti kitsch): tutti, qui, si incastrano alla perfezione. Camminano in centinaia senza scontrarsi mai. Senza guardarsi, persino. Ed è questa una delle cose che meno ho amato del Giappone. La freddezza gentile delle persone. Le guardi, ne rimani affascinata, ma è come se davanti avessero una barriera sottile. Che ti impedisce di chiacchierarci di insieme, di farsi raccontare. E quindi rimani lì, a osservarle con un sacco di domande che non troveranno mai risposta.

A Shibuya vi è una collina dedicata ai Love Hotel, dove le coppiette vanno per trascorrere qualche ora in totale privacy (non sono necessari i documenti e non si vede mai in faccia chi sta alla reception).

Persone aspettano di attraversare la strada a Shibuya.

Una famiglia in abito tipico impegnata a fermare un taxi.
Più di ogni altra città del Giappone, Tokyo è una ed è centomila. Ogni quartiere pare una città a sé, con la sua anima e la sua gente. Capita che, passeggiando tra palazzi moderni e negozi iper-colorati, senza sapere come né perché, finisci in un bosco che è verde ed è fitto, custode di un tempio e della sua pace. Il parco Yoyogi, ad esempio, è proprio nel cuore della città, anch’esso a Shibuya, ed è casa del Meiji-jingu, santuario shintoista dedicato all’imperatore Meiji e alla moglie Shoken. Un immenso torii accoglie all’ingresso fedeli e visitatori, mentre tavolette di legno (le cosiddette ema) raccolgono desideri da ogni parte del mondo. Non importa quale sia il tuo credo, qui. La pace, e una serenità sottile, sono a disposizione di tutti.

Chi visita il santuario, scrive i suoi desideri sulle tavolette di legno.

Coloratissime bottiglie di saké all’ingresso del Meiji-jingu.
C’è poi il caos, perché il Giappone è anche quello. Un caos colorato, rumoroso. Che di notte ha le sembianze di mille luci accecanti, di ristoranti in cui a servirti sono robot dalle sembianze umane. Succede a Shinjuku, che è un quartiere senza etichette. É centro commerciale e amministrativo, sede del Palazzo del Governo Metropolitano di Tokyo, ma è anche casa della più grande comunità gay del Giappone, del quartiere a luci rosse Kabukicho, di squadre di baseball e università. Di stranezze che solo qui, in Giappone, trovano un senso. É il caso del Golden Gai, oltre 2oo bar da piccoli a piccolissimi, dove in 5 persone si sta stretti e in 10 non respiri.

Ristorante tipico a Shinjuku, con i suoi spazi piccolissimi.

L’Okonomiyaki, piatto giapponese che ricorda un po’ una pizza e un po’ un pancake, con impasto a base di patate e foglie di verza.

L’insegna del Robot Restaurant a Shinjuku.

Uno dei locali del Golden Gai (fotografarli è vietatissimo!).
Di giorno, invece, il caos è quello di Akihabara. Ecco, se la follia (quella buona) avesse una suo quartier generale, sorgerebbe proprio qui, nell’Akihabara Electric Town (affettuosamente detta “Akiba”). Visitarla è stata una delle esperienze più surreali di tutta la mia vita. Ci sono palazzi altissimi pieni di videogiochi, vintage o di ultima generazione. Ci sono persone di ogni età vestite da manga e da anime. Ci sono cameriere un po’ lolita e un po’ carnevalasche che ti invitano ad entrare nei Maid Cafè, dove il cibo è terribile ma non te ne curi, perché sei troppo impegnato a non ridere dinnanzi a quello che ti succede (e succedono cose stranissime, dagli spettacolini che non sai se dovrebbero essere sexy o ironici alle formule da ripetere cantando se vuoi almeno tentare di mangiare). E poi ci sono centinaia di “negozi” grandi come una cabina del telefono, che ti chiedi come sia possibile entrarci, per chi ti serve. Bar in cui accarezzare ricci, gatti e volatili, e decine di Pachinko, sale per il gioco d’azzardo che sono alienanti e assordanti. Qualsiasi cosa ti serve, qui la puoi trovare. E se pensi a qualcosa di assurdo sappi che, ad Akiba, molto probabilmente è la normalità.

Akihabara in un tranquillo giorno feriale.

Anime, manga e videogiochi colorano il quartiere.

Gadget e componenti elettroniche nei mini store di Akihabara.

Videogiochi vintage.

Cameriera invita ad entrare in uno dei tanti Maid Café.

La “pasta alla carbonara” servita all’interno di un Maid Café.
Al di là dei lussi di Ginza, dei colori di Shinjuku, della pazzia di Akiba e dalla folla di Shibuya, Tokyo e il Giappone sono anche, e soprattutto, terra di tradizioni. Ci sono parchi antichissimi, e quartieri ancor di più. C’è il Parco di Ueno, che è datato 1873 e che, coi ciliegi in fiore, deve essere uno spettacolo. C’è il Mercato dei Pesci, che alle 4 del mattino si anima con l’asta dei tonni. C’è Asakusa, coi suoi onsen, i suoi templi, e con la via più antica della città, Nakamise Dori (imperdibile per acquistare autentici manufatti giapponesi). E poi c’è il Giappone di una volta, che rivive in piccole botteghe, in ristoranti di sushi senza insegna, in pasticcerie in cui passeresti ore, a guardare quegli stampi incandescenti da cui nascono meraviglie. Sono luoghi in cui, da turista, non entreresti mai. Perché da fuori nemmeno lo capisci, cosa nascondono. Per scoprirli, noi ci siamo affidati a Tokyo Urban Adventures, ed è stata l’esperienza più bella, più autentica e più sentita di tutti i nostri giorni giapponesi. Ecco, lì sì che mi sono sentita un po’ a casa. Lì sì, che ho respirato la Vita Vera. Quella che, di ogni viaggio, ti porti un po’ dentro.

Un albero dalla forma particolare al Parco di Ueno.

Parco di Ueno, lago di ninfee.

Il mercato del pesce.

Un antico laboratorio di dolci nel cuore di Tokyo.

Uno dei primi ristoranti di sushi della città.

Un artigiano lavora a mano e dipinge elegantissime scatole per i kimono. Un tempo professione diffusissima, è oggi praticata da due sole persone in tutta Tokyo.
Foto by Stefano Barbiero.
(Continua…)
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[…] di un mondo in piena trasformazione, frutto dell’urbanizazzione di città come Edo (oggi Tokio), Osaka e Kyoto e che quindi ha immortalato scorci cittadini, ritratti di personaggi noti e anche […]