Basquiat al Mudec: il nero che piaceva ai bianchi
Ho avuto l’onore di essere invitato all’inaugurazione di una bella mostra, ora in cartellone al MUDEC, lo spazio espositivo ricavato nei dismessi fabbricati dell’Ansaldo lungo la via Tortona, arricchito di un interessante corpo architettonico di Chiepperfield, poi disconosciuto per difformità costruttive rispetto al suo progetto originario.

Il gruppo Sound 4 Quartet durante l’esibizione al Mudec
Sono stato invitato da uno dei membri della band musicale Sound 4 Quartet, il saxofonista Fabio Chesini, che mi ha permesso di rafforzare una certa idea della cultura che ormai va per la maggiore: non esiste cultura senza costruirci intorno uno sfarzoso evento. Devo dire che l’arrivo delle opere di Basquiat meritavano una festa, ma purtroppo il pubblico che ho visto affollare il foyer mi faceva sentire più alla prima della Scala che ad una semplicissima e normalissima inaugurazione di una mostra. Che il mondo dell’arte a Milano fosse da tempo cambiato, questo lo si sapeva già: in mano a ciò che fa tendenza, a pr imbarazzanti, e soprattutto a chi ha tanto denaro e poca dimestichezza con l’arte: ma ciò era in linea col personaggio che in quella serata di giovedì 27, si omaggiava in maniera coerente. E’ risaputo infatti che Jean Michel Basquiat era al culmine del suo successo durante glia anni ’80, cioè quando i traiders della borsa di New York, sull’onda delle politiche reaganiane, cominciavano a fare talmente tanti soldi, da cercare tra le nuove forme di investimento anche le opere d’arte della Factory di Warhol e quindi anche di quelle di qualche artista emergente, come il nostro giovane artista nero.

Il foyer del Mudec affollato durante l’inaugurazione
Torniamo a quella serata inaugurale, dove tanto è stato il pubblico accorso, che ha affollato preferibilemente il grande salone d’ingresso al museo, per fare più che altro le immancabili public relations, attorno al tavolo dei drinks, cullati dalle dotte noti di Porter, di Duke Ellinghton o di Baker suonati magistralmente dal quartetto jazz. Invero, davvero poche sono stati i visitatori nelle sale espositive, nonostante le valenti guide. presenti e accorsi per osservare il nostro artista geniale, scomparso prematuramente.
Basquiat fu casualmente attratto dalla pittura durante una convalescenza, da bambino, grazie alla madre che gli piazza sul letto d’ospedale, Gray’s Anatomy, che non è il telefilm registrato sull’IPad, ma uno dei più importanti trattati di anatomia dell’epoca, come dire il Codice Atlantico di Leonardo, per un attento studioso della natura nel Cinquecento. E’ inutile dire che stiamo parlando di un bambino particolarmente sensibile, a cui la vita non ha regalato solo gioie, ma anche tante amarezze: dalla fuga da casa al vagabondaggio per le vie di New York, divenendo amico di parecchi homeless, dall’accattonaggio per riuscire a sopravvivere, mangiando solo patatine fritte, all’atterraggio nella sfera del mondo artistico attraverso la modalità più dissacrante e sgradita, quello del writing. Ma c’era qualcosa che gli risultava insoddisfacente: mancava sempre una cornice che inquadrasse le sue opere, che avevano sempre un che di “primitivo”, un segno gestaltico , rapido e sintetico. In mancanza dei mezzi x acquistare le tele, si mette alla ricerca di porte e finestre degli edifici in dismissione, dipingendo con l’acrilico sulle parti vetrate o lignee e usando i telai come cornici!

L’opera pork sans realizzata su una porta (foto di Erin Weinschenk)
Ma il ragazzo, ormai diciottenne, grazie a qualche incontro fortunato, spesso di mecenati italiani particolarmente illuminati come Emilio Mazzoli e Annina Nosei, che lo portano anche nel nostro paese, comincia ad affacciarsi al mondo delle gallerie d’arte con la G maiuscola, che in un primo momento rifiuatano il linguaggio dei writers, ma che poi ne fanno un’icona pop: aiuta nell’immaginario collettivo il carattere schivo dell’artista disarmante ma maledetto, che fa uso spesso di sostanze stupefacenti, che si fa osservare all’opera, come in una performance, che si accompagna a star del calibro di Madonna, di keith Haring o di Wharol. E proprio con l’ideatore della Factory dipinge anche opere a 4 mani, in cui Wharol iniziava con un segno che integrava sovrapponendo idee, segni e schemi provenienti da mondi oscuri e reconditi ai più, soprattutto agli acquirenti.
L’artista muore di overdose a soli 27 anni , producendo in un arco temporale di soli 10 anni, migliaia di opere, in un fervore artistico, spesso anche in preda agli stupefacenti, che lasciano spazio ad un nuovo modo di fare arte e che si incasellano perfettamente nello spaccato della società newyorkese degli anni ’80 e del fermento della Pop Art.

Autoritratto presentato al Mudec
La collezione presentata al Mudec, con opere che vanno dagli schizzi alle tele di grandi dimensioni, provengono da una collezione privata di Honolulu, dove Basquiat aveva vissuto per qualche tempo alla ricerca di quel mondo primitivo che spesso dipingeva, o forse in cerca di una tranquilla “redenzione” dalla droga.
Perché la mostra di Basquiat a Milano merita una visita?
Lo stile peculiare dell’arte di Basquiat divenne un caso mondiale, in cui le figure, spesso appena abbozzate, ma convincenti, si intersecano con le parole, seguendo un percorso simile a quello del suo amico Keith Haring, e che con l’aiuto di Warhol, portò l’arte del graffito allo stato di dignità artistica. Da non perdere!
DOVE: MUDEC Milano, Via Tortona 56:
Lunedì: 14.30 – 19.30
Da martedì a domenica: 9.30 – 19.30
Giovedì: 9.30 – 22.30