Migranti: le braccia aperte di Milano
E’ il 19 settembre 2016. Su Repubblica appare un intervento del Sindaco di Milano, Giuseppe Sala, indirizzato al Governo, col quale si chiede la strutturazione di un piano nazionale per la gestione dell’emergenza migranti. La città – afferma il Sindaco – che “vive nell’accoglienza uno dei tratti distintivi della sua identità”, chiede di non essere lasciata sola.
Oltre 106.000: questi sono i numeri dei migranti transitati per Milano, da ottobre 2013. Inutile dire che la zona della Stazione Centrale è stata, ed è, una delle zone maggiormente impattate dal gran numero di disperati in fuga dalla guerra e dalla fame, molti dei quali proprio da quel mattatoio a cielo aperto che è la Siria.

La Stazione Centrale di Milano
Sarà capitato poi a molti di passare per Porta Venezia e per i suoi bastioni, che stavolta non sono testimoni di glamour o di movida, ma dell’arrivo di disperati per lo più provenienti dall’Africa – Somalia, Etiopia e d Eritrea – che cercano un appoggio presso i loro connazionali da decenni oramai insediati in zona, nella speranza di poter poi ripartire verso il nord Europa.
Ho voluto incontrare un amico, Filippo Andrea Rossi, Vice Presidente d’Aula del Municipio Zona 3 di Milano, che conosce perciò molto bene la situazione di Porta Venezia e che nel contempo è volontario dell’associazione SOSERM (SOS Emergenza Rifugiati Milano) che, insieme ad altre, opera presso l’Hub della Stazione Centrale, in primis con l’Associazione Progetto Arca , che gestisce il centro di Prima Accoglienza stesso
Sono curioso di avere qualche informazione in più su questa Milano dell’accoglienza, e chiedo a Filippo di raccontarmi della sia esperienza.

Il Sindaco Giuseppe Sala in visita all Hub della Stazione Centrale – alle spalle del Sindaco, Filippo Andrea Rossi
SOSEM nasce nel 2013, in concomitanza con i primi arrivi di rifugiati dalla Siria: in origine si tratta di un gruppo ridotto di volontari, il cui numero e la cui attività è andata man mano crescendo in di pari passo con l’aumentare dell’emergenza, potendo però sempre contare sul fondamentale sostegno del Comune di Milano che, grazie all’attenzione e alla valorizzazione verso il terzo settore, ha reso attiva, per mezzo delle mani dei volontari, la naturale spinta alla generosità di tante e tanti milanesi. L’enorme lavoro quotidiano, ossia l’attività di prima accoglienza rivolto a uomini e donne per lo più intenzionati a migrare verso il Nord (Germania e Paesi Scandinavi), si è poi complicato, a motivo del Trattato di Dublino, che ha fatto ricadere la responsabilità dell’asilo a carico dei paesi di arrivo.

Un’immagine dell’Hub dalla pagina fb di SOSERM
A seguito di ciò, l’Italia e Milano si sono trovate ad essere sempre meno zone di transito, per trasformarsi in luoghi dove i migranti sono di fatto bloccati, senza poter più continuare il loro viaggio verso altri paesi, come la maggior parte di loro avrebbe voluto. Pensiamo a pensare, solo per un momento, alla drammatica situazione di moltissime persone che si trovano da un lato in fuga dalla loro terra, e dall’altro vedono sgretolarsi il desiderio di raggiungere i loro parenti e conoscenti già insediati in altri paesi d’Europa.

Una foto tratta dalla pagina fb della Fondazione Progetto Arca
I centri di accoglienza si sono presto saturati e molti migranti hanno dormito all’aperto, attorno alla stazione e nei parchi, anche nei Giardini Indro Montanelli di Porta Venezia, non distanti dallo scalo ferroviario. Con Filippo abbiamo discusso delle preoccupazioni dei residenti delle vicine via Palazzi, San Gregorio e limitrofe, preoccupazioni che hanno avuto la loro eco anche nella Sala del Comune di Zona 3. In una situazione emergenziale, laddove ancora non esiste un vero e proprio progetto nazionale strutturato, ben poco può fare una città da sola (figuriamoci un municipio!). Vi sono stati episodi di tensione, quali la comparsa – non molto tempo fa – di un cartello all’esterno di un locale che recitava: “Via Palazzi non è un centro di accoglienza, è una via italiana. No camping. Africa walk.” Tuttavia, la maggior parte degli abitanti del quartiere di Porta Venezia – da sempre luogo di accoglienza e di integrazione – al di là dei disagi, sa che la problematica dei migranti è innanzi tutto un problema per i migranti in prima persona. Queste sono le parole che sono risuonate nell’aula del municipio.
Il Comune di Milano sta reagendo come può, cercando di riaccompagnare le persone all’Hub, non tanto per ammassarle in un’unica area ghetto – mi spiega Filippo – ma perché possano essere seguite e sottratte ai passeur che portano via a pagamento i migranti, spesso non si sa nemmeno dove, che sono veri e propri “scafisti di terra”. Dramma nel dramma, quello dei minori, spesso non accompagnati, in numero sempre maggiore.
Sempre il Comune sta cercando soluzioni alternative di ospitalità: a partire da novembre la ex caserma Montello, in via Caracciolo, dovrebbe ospitare circa 300 migranti fino al 2017.

La ex Caserma Montello di via Caracciolo
L’urgenza è perciò quello di strutturare un sistema di seconda accoglienza, per persone che si fermano in città (l’80% dei migranti chiede attualmente asilo a Milano) e il Comune – per riprendere di nuovo le parole del comunicato di Sala – ha intenzione di avviare un programma di inserimento di persone richiedenti asilo nelle attività di cura del territorio, con alla base un patto che prevede l’educazione alle leggi e alla lingua del nostro paese.
Pane, acqua, latte. Tutto necessario. Ora però servono anche libri, educazione, cultura, conoscenza. Solo in questo modo si potranno cominciare a creare veri ponti tra “noi” e “loro”, così da poter cominciare almeno ad immaginare un “noi” per il futuro.
Molto interessante è stata l’iniziativa “Se fossi un libro” organizzata a fine settembre da Alleanza delle Cooperative Italiane della Lombardia in collaborazione con Radio Popolare, in cui i cittadini sono stati invitati a donare libri che andranno a costituire biblioteche destinate ai centri rifugiati di seconda accoglienza con l’obiettivo di facilitare e sostenere l’ alfabetizzazione e conoscenza dell’italiano da parte dei rifugiati e di promuovere, attraverso la cultura, l’integrazione, la solidarietà e la libertà, valori fondamentali alla base della cooperazione.
Saluto e ringrazio Filippo per la nostra chiacchierata e passo proprio per Porta Venezia: cinquant’anni fa questo quartiere ha accolto tanti immigrati africani che ora ne sono l’anima; è da qualche tempo il vero e proprio quartiere lgbt di Milano; ora, di nuovo, è una delle zone della nostra città le cui strade vedono arrivare di nuovo altre donne, uomini, bambini, in fuga dalla fame, dalla guerra, alla ricerca di una vita migliore e più dignitosa.
Ancora una volta Milano reagisce, accoglie, si rimbocca le maniche.
Chiunque avesse voglia di dare una mano, contatti pure SOSEM o ARCA, così da mostrare, anche con il suo aiuto, il cuore grande di questa nostra meravigliosa città!