Milano che crea e distrugge: il caso Sarpi. Reloaded
Dopo l’attenzione suscitata dal nostro articolo sui cambiamenti in atto in zona Sarpi, intervengo ancora una volta sul tema per rispondere pubblicamente ad una nostra lettrice, Alessia, che così commenta:
“Abito in Paolo Sarpi da 10 anni e mai il quartieri è stato così bello, vivo e interessante come oggi.
La zona pedonale, che tu chiami brutta, in realtà brutta non lo è per niente ed è una delle poche zone pedonali di MIlano al di fuori di Vittorio Emanuele e teniamocela stretta. Con la speculazione edilizia (che indubbiamente c’è stata, ma ha trasformato il quartiere migliorandolo), sono tornati anche gli Italiani. Sei mai stato, per esempio, da oTTo? Hai mai preso un pasticcino nella pasticceria che c’è in fondo a Sarpi, quasi in Gramsci? Sei mai andato a mangiare un hamburger da MU?
Conosci il progetto PRESTO? Hai assaggiato la cucina di Soul Kitchen? Hai mai fatto un aperitivo alle Cantine Isola (questa, tra l’altro, enoteca storica che ha contribuito, grazie alla zona pedonale, a rendere viva la strada nelle sere estive).
Hai notato che anche molti grossisti stanno lasciando il posto a piccolo negozi e locali che per quanto cinesi non hanno proprio lo stampo dei grossisti (Bubble Tea, il fast food cinese che sa tanto di NY…).
Parlando di speculazione edilizia, la zona di Porta Nuova è una delle più belle di Milano.
Il palazzo della Feltrinelli, per quanto abbia stravolto la prospettiva di Pasubio, è meraviglioso architettonicamente e se riescono a gestire il traffico che porterà, renderà ancora più vivo il quartiere dando vita, oltre agli uffici Microsoft, a uno spazio di coworking, una libreria, diverse caffetterie….
Le città cambiano. E’ il loro destino. Ed è bello che sia così. Le speculazioni edilizie, se danno vita a questi risultati, ben vengano.
Il “si stava meglio quando si stava peggio” è una mentalità che per anni ha bloccato la trasformazione di Milano.
Tutti noi visitiamo Londra, NY, Parigi…. Città dove ti piazzano un suppostone gigante accanto a Palazzo Reale, una piramide in cristallo di fronte a palazzi del Settecento, dove piazzano grattacieli dove prima non c’era nulla…..
Visitiamo queste città e non pensiamo alla speculazione edilizia, a come era prima il quartiere, all’azzardo architettonico. Ne siamo affascinati.
Ora che a Milano hanno capito che si può fare, vi prego lasciate che lo facciano.
In Paolo Sarpi ci vivo. E non è mai stata così bella“.
Mi trovo a ribadire che il mio contributo era teso a stigmatizzare proprio l’effervescenza del quartiere Sarpi, dopo anni di sonnacchioso immobilismo delle giunte comunali e di “libera imprenditoria” cinese. Tanto da aver parlato di questo angolo di città in tali termini: ”sempre più esotico e tanto variopinto si è fatto sempre più interessante per i fenomeni socio-economici che si vanno manifestando, attraendo il turismo straniero e lo shopping low-cost. Ciò pertanto, non lo lascia indenne dagli appetiti degli speculatori edilizi”.
Detto questo ho fatto seguire esempi circostanziati di spazi urbani e citato esempi puntuali di mala-gestione del territorio e della cosa pubblica non di attività o esempi di libera imprenditoria. La nostra città non ha bisogno di questo, o meglio non solo di questo, ma di servizi. Dopotutto non siamo più la Milano da bere (spero!).
Ora all’entusiasmo della nostra lettrice per i grandi progetti, su cui a questo punto lascio il dibattito aperto quanto alla qualità estetica (ad eccezione della riuscitissima Piazza Gae Aulenti, anche come magistrale esempio di spazio di aggregazione e set filmico di una Milano che “cresce”!), il punto su cui volevo mettere l’accento non sta nel “come” ma nel “chi”: come per altri miei contributi, volevo sottolineare come la contrattazione per la costruzione di ampi spicchi di città si concentri, sempre più, nella volontà di grandi gruppi di potere, spesso animati dalla possibilità di grandi profitti a bassa qualità costruttiva, piuttosto che dal miglioramento dei modelli di sviluppo e di vita. Non siamo pertanto contrari tout court al “moderno”, ma chiediamo spazi di confronto e di azione aperti a tutti, soprattutto alla creatività dei giovani progettisti, che non hanno canali preferenziali, da archi-star blasonati, e che devono fare i conti giorno dopo giorno con un quadro di regole piuttosto anguste, dove i vincoli o gli indici di edificabilità sono inderogabilmente quelli prescritti dal Piano vigente.

Un rendering che mostra come doveva presentarsi il progetto Feltrinelli, alla sua conclusione.
Quindi a certo facile entusiasmo per il “nuovo”, vorrei porre l’attenzione su un piano delle regole più democratico, attento agli interessi del cittadino e di chi Milano la vive quotidianamente, e non solo per venirci a fare affari. Il nuovo che scaturisce dal “libero” e dal “vero” risulta in tal modo talmente genuino da mettere d’accordo tutti anche sull’idea di “bello”.
Passando poi dal macro al micro, persino un noto artista e intellettuale come Ugo La Pietra, che il quartiere come lei lo vive, ha definito il modo di concepire e manutenere l’isola pedonale, a dir poco dissennata (convegno al Palazzo Pirelli, come Padiglione Architettura in occasione di Expo 2015).
Ricordo inoltre che questo blog è uno spazio aperto a tutti e al confronto. Per questo, qualsiasi commento, se è posto con educazione, come ha fatto la nostra lettrice Alessia che ringrazio davvero, sarà preso come un serio stimolo a continuare ad osservare i fenomeni che si susseguono nella nostra variopinta città.