Brexit: paure e speranze dei giovani europei (milanesi) a Londra
Come forse già sapete l’intero Regno Unito il 23 giugno si esprimerà per un ingresso totale nella UE (oggi è l’unico paese a battere la propria moneta: la sterlina) o per un’uscita definitiva (il famoso Brexit). Naturalmente, ogni giorno i sondaggi si ribaltano, essendo i fronti contrapposti molto eterogenei (ad oggi, i sondaggi danno un leggero vantaggio per la permanenza). Ma in generale, per semplicità, diciamo, che i conservatori si sono schierati per il SI (all’uscita) e il Labour per il No! In realtà, anche all’interno della bipolarità politica c’è chi nicchia (soprattutto fra i Labour), anche dopo l’omicidio della parlamentare Jo Cox. Il nuovo sindaco di Londra, Sadiq Khan (di origine pakistane!) ad esempio, che si è espresso apertamente per il Sì durante la campagna elettorale per le amministrative, oggi sembra più preso dalle affissioni pubblicitarie che non dovranno più esibire i corpi statuari dei modelli!

Il nuovo sindaco laburista di Londra, Sadiq Khan
Insomma, la verità è che la confusione regna sovrana (e sulla sovranità del regno eviteremo la facile battuta, trattandosi ancora di un paese monarchico, seppur costituzionale): il problema è più serio di quello che appare, anche per noi italiani!
Ma ecco perché invece dovrebbe interessarci e dovremmo guardare con più attenzione a ciò che accadrà oltremanica. Innanzitutto perché viviamo a Milano, la più importante piazza finanziaria italiana e questo avrà dei contraccolpi, volenti o nolenti, sulle economie di tutto il Vecchio continente, e quindi anche sui nostri mercati finanziari. Inoltre i nostri giovani concittadini sono tra quelli che affollano maggiormente l’isola inglese (che in tutto conta ben 500.000 italiani!) e sono anche fra quelli che guardano a Londra come la patria delle start up. E qui entriamo nel cuore del problema, perché demagogicamente, la questione è stata portata tutta sul fronte dell’immigrazione non solo extraeuropea (cosa che spaventa per altro tutta l’Europa!), ma anche su quella proveniente dai paese comunitari, con la solita ordalia di retropensieri occupazionali: gli stranieri portano via il lavoro agli inglesi, per i giovani europei altamente professionalizzati ci sono più possibilità che per gli anglosassoni, il paese perderà la propria sovranità dovendo far sempre più largo ai paesi emergenti della UE e tanto peggio al “nemico” di sempre, all’economia forte della Germania. In realtà queste domande che affollano la mente dei figli di Albione (per dirla alla latina) hanno radici storiche e retaggi culturali profondi.

La bandiera della Compagnia delle Indie, dal 1707, presidio economiche nelle colonie inglesi di tutto il mondo
Cerchiamo di capirci di più allora: cosa sarebbe il Regno Unito senza le sue ex-colonie e senza quindi la manodopera che giunge da tutti gli angoli del mondo? E ancora… cosa sarebbe Londra senza i “colletti bianchi” europei? Che fine farebbe il sistema sanitario inglese senza il personale medico e paramedico non inglese? Cosa succederebbe di tutti questi lavoratori (che perlatro non avendo la cittadinanza, non potranno esprimersi col referendum, pur essendo residenti da anni!) in caso di uscita dalla CEE? Dovranno pagare un permesso di soggiorno, che ricadrebbe sui datori di lavoro, i quali non avrebbero in alcuni casi più nessun vantaggio ad avvalersi di manodopera straniera? Ma che fine farebbe la stessa ricerca inglese senza i fondi FSE? Insomma, si aprirebbe un caos, un vuoto normativo, che oggi è coperto da leggi comunitarie (pur non vigendo la Convenzione di Schengen), che bloccherebbe il paese per ben due anni! Poi c’è il tema della supposta superiorità di stampo nazionalista, che anche per la loro posizione geografica, li ha sempre portati a tenere un atteggiamento di “sicuro” isolazionismo: ancora oggi se chiedi ad un vecchio inglese di indicare il proprio paese sul globo terracqueo, ti direbbe che si trova precisamente al centro del mondo, insomma come una volta (2000 anni fa!) Roma era caput mundi! Oppure provate ad intervistarlo se considera il tedesco un suo connazionale, dopo aver visto le bombe della Luftwaffe o i V2 piovere sulle proprie teste per quasi tre anni!

Fotografia aerea di Londra dopo i raid tedeschi del 1941
Insomma, un intero paese solo oggi si interroga, con decenni di ritardo (peraltro tra i primi ad aderire all’idea di Europa Unita, nel 1973), se vale la pena di entrare in un mercato continentale profondamente in crisi, in un’Europa che essa stessa si guarda allo specchio e non si piace per nulla: divenuta come la nostra stessa Italia, una vuota istituzione, piena di burocrati, un pachiderma inamovibile, sordo alle voci dei cittadini, o meglio alle Regioni d’Europa (tradendone la stessa vocazione), in mano agli speculatori finanziari (che si muovono più comodamente su una piazza ben più larga!) o ai diktat della Germania, che si siede su ogni tavolo al posto della più titolata Banca Europea (Grecia docet!).

Il logo del blog the Londog.com di Cristina Ulessi
Ora, al di là di queste considerazioni di ordine generale, noi di Milano al Quadrato, abbiamo intervistato sull’argomento un’italiana a Londra, Cristina Ulessi, ideatrice del blog the Londog , che qui dà la parola più che altro agli amici a quattro zampe in UK! Oltre alle legittime preoccupazioni come lavoratrice straniera (un’avvocatessa impegnata sulle policy e sulla relativa legislazione sulla privacy che le aziende devono tenere), ci ha raccontato di alcuni aneddoti divertenti per influenzare l’opinione pubblica: sono sorte pagine FB o account Twitter dal titolo salva il mio amico (straniero), fai rimanere il mio fidanzato/a (in Inghilterra), adotta un collega, o in modo politically correct, sono comparsi hastag riguardanti gli animali tipo CatsAgainstBrexit e Mutt4Remain! Inoltre, ci ha riportato della nuova esigenza di sentirsi inglesi fino in fondo (naturalmente per chi ne ha i requisiti) per acquisire la nazionalità e mettersi così al sicuro da un’eventuale uscita.
In altre parole, il rischio di vedere Londra svuotata come dopo lo shock da 11 settembre, esiste! Mi chiedo dove a questo punto si sposterebbero i nostri connazionali: molti ora sognano le spiagge dorate dell’Australia!
Vedremo come andrà a finire….