Una nuova piazzetta dove una volta c’era una cappella votiva: il caso del vicolo di S. Maria alla Porta.
A volte mi viene da pensare che a Milano abbia fatto più danni la speculazione edilizia che i bombardamenti del ’43. Naturalmente è un iperbole. Ma se pensiamo ai tanti casi di sventramenti che la città ha subito per tutto il XX sec., soprattutto dal Fascismo in poi, ben poca cosa è rimasto dell’antico tessuto urbanistico. I bombardamenti della II Guerra Mondiale, seppur con la loro forza devastante non poterono del tutto cancellare i segni del passato. La storia che vi raccontiamo oggi ha del miracoloso e racconta di come i detriti hanno in qualche maniera protetto e conservato una testimonianza storica, addirittura un pavimento policromo antico dove oggi si è ricavata una bella piazzetta.

La facciata barocca della chiesa di S. Maria alla Porta sulla via omonima
Siamo dietro la Chiesa di S. Maria alla Porta, in un vicolo laterale omonimo e oscuro ai più, dove per decenni hanno convissuto rovine, tracce del passato sul fianco laterale dell’edificio sacro e il disordine di un parcheggio ricavato in uno di quei vuoti urbani, terra di nessuno. L’unica volontà progettuale fu dell’arch. Luigi Caccia Dominioni , nel 1958, che per ridare forma al lotto sulla strada principale, naturalmente anch’esso vittima dei bombardamenti, costruisce un edificio moderno. Questo intervento chiude, suo malgrado, lo slargo dagli sguardi del traffico veicolare e pedonale, che sfuggente percorre la Via S. Maria alla Porta, quasi sull’angolo della più conosciuta Via Meravigli. E questo palazzo è la causa della strana storia e della quasi “inaspettata” scoperta che ora sto per raccontarvi. Con il sopraggiungere degli anni, anche l’edificio più moderno del contesto, comincia ad aver bisogno di una manutenzione più pesante e il progettista incaricato dalla proprietà, l’arch. Aldo Maiocchi, anche per spirito di decoro, decide di occuparsi della pavimentazione retrostante.

Ecco come si presentavano i resti della cappella e la piazzetta prima dei lavori di bonifica.
Si misura coll’abbandonata area di pertinenza (privata ma asservita ad uso pubblico, anche per via dei vincoli di rispetto che salvaguardano l’antico sito), infestata di erbacce, di un arredo urbano un po’ arrangiato, giusto per incanalare quelle quattro macchine che qui si spingono per trovare un parcheggio un po’ selvaggio. D’accordo col Comune quindi si rimuove il consistente manto di copertura fatto di erbacce, asfalto e detriti e… meraviglia delle meraviglie si trova ciò che dovrebbe essere già noto a qualsiasi esperto di urbanistica, cioè la pavimentazione degli annessi del complesso ecclesiastico che fa da quinta all’infelice piazza. Ma la straordinarietà non sta, quindi, nel fatto che parte della la piazza stessa rappresentasse il catino di una cappella votiva annessa alla vecchia chiesa ma che il suo pavimento sotterrato per circa un settantennio era il frutto di un prezioso lavoro di maestranze che nel Settecento avevano realizzato un tappeto di marmi policromi.

Una fotografia di inizio ‘900 che testimonia, alla dx della chiesa, della cappella “scomparsa”
Tale cappella, esistente in alcune fotografie dell’inizio del secolo XX (cosa che fa sorridere quando si parla di scoperta sensazionale!), era stata progettata per proteggere un affresco murario, rappresentante una Madonna col Bambino, nello stesso periodo in cui S. Maria alla Porta assunse l’aspetto barocco, che ancora oggi tradisce.
Siamo in realtà in presenza di un luogo sacro molto antico nella compagine ubanistica di Milano: è già chiaro dalla dedicazione della chiesa che qui doveva sorgere uno dei varchi d’ingresso creato nelle mura dell’imperatore Massimiano, di cui abbiamo già trattato in occasione del nostro intervento riguardante il vicino Monastero Maggiore. Quella Porta “inglobata” nel nome dell’edificio sacro rimase per millenni a ricordare che lì c’era la più antica Porta Vercellina, e che non era un semplice ingresso a Mediolanum, ma era l’ingresso privilegiato per chi volesse arrivare direttamente al Foro (il centro cittadino per intenderci), percorrendo il Decumano (la più importante strada romana all’interno di un abitato insieme al Cardo).

La Milano romana con l’antica Porta Vercellina a sinistra, punto da cui partiva il Decumano (la strada principale che attrvarsava Milano da N-O a S-E).
Naturalmente dell’importanza del luogo, con la caduta dell’Impero, se ne avvantaggiarono le istituzioni religiose proto-cristiane, tanto da costruirvi intorno al tradizionale corpo santo (cimitero fuori le mura) una cappella devozionale per il martire di turno, cosa per cui la chiesa di S. Maria alla Porta fu famosa per tutto il Medioevo. E infatti le cronache raccontano che qui nel 1105 si ha il ritrovamento di preziose reliquie: una parte del sudario di Gesù e della sua sindone, un pezzo della pietra su cui era stato seduto l’angelo annunciante la resurrezione, una scheggia della croce, un frammento della veste della Madonna. Per ricordare l’evento venne indetta addirittura una festa, che divenne appuntamento annuale sotto il titolo di S. Salvatore. La processione veniva fatta dalla chiesa, al canto di agios, agios (in gr. santo, santo). Il tipo di reliquie e il nome della festa rimanda ad un origine orientale, forse riportata da qualche crociato milanese di ritorno dalla Terra Santa.

L’affresco della Madonna col Bambino posto originariamente, prima degli interventi barocchi, sul fianco della chiesa, all’aperto.
Con la Controriforma, nel Seicento, anche per dare ordine a queste forme devozionali poco ortodosse e fuori dal rito “ambrosiano”, si decide di rimettere mano alle strutture e agli apparati decorativi della chiesa, che contemplavano peraltro affreschi del Luini e del Bramante. Viene chiamato così l’architetto che in quel momento va per la maggiore, Richini. Ed è durante i suoi interventi che, nel 1631, in piena dominazione spagnola, un operaio togliendo dei mattoni scopre il volto impolverato di una Madonna di bottega quattrocentesca, forse addirittura degli Zavattari. Ci raccontano le testimonianze del tempo che l’uomo dopo aver pulito con il suo grembiule l’affresco, subito guarì dalla zoppia che l’affliggeva. Si gridò al miracolo e il luogo divenne di nuovo oggetto di venerazione per tutti i milanesi. Ed è qui che si innesta la storia con cui siamo partiti, poiché la Madonna del “grembiule” (così da allora fu soprannominata), per essere protetta e per ospitare i pellegrini che vi accorrevano fu inglobata all’inizio del Settecento in una nuova cappella proprio accanto alla più importante e antica chiesa.

La Madonna del grembiule all’interno della cappella barocca così come ci è immortalata in una foto dell’inizio del ‘900.
E ora, tornando ai giorni nostri, vi raccontiamo il lieto fine. Fino a ieri la Madonna del grembiule (parecchio rimaneggiata) era protetta sotto una teca di legno, risparmiata dalle tre bombe cadute nella notte tra il 12 e il 13 agosto del 1943 che distrussero cappella e case limitrofe. Del prezioso pavimento invece s’erano perse le tracce da tempo. Venuto fuori come per incanto, sono riemersi gli intarsi di marmi policromo. Naturalmente il Comune e la proprietà hanno ritenuto che i fondi necessari al restauro del manufatto e alla relativa protezione non valessero la pena di essere spesi (soprattutto dopo i “buchi” di Expo).

Il pavimento intarsiato, così come si presentava subito dopo il ritrovamento (foto giornale dell’arte)
Perciò, d’accordo con la Soprintendenza, si è deciso di proteggerlo con un apposito tessuto e di coprirlo con una copia in materiale cementizio colorato, così come oggi è visibile a chiunque sia interessato a visitare il risultato. Nella pavimentazione sono presenti i segni dei bombardamenti che hanno colpito la piazza durante l’ultima guerra: nel centro della zona è stato collocato un tondo in pietra che riporta la data 1943, per simboleggiare il punto di impatto tra l’ordigno e l’edificio preesistente.

La sistemazione e la pavimentazione oggi, dopo l’intervento ricostruttivo (foto Robert Ribaudo)
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