Un altro giardino incantato nel cuore di Milano: luogo del ricordo e di memoria.

Se ci troviamo dalle parti di Corso Magenta e volete meravigliarvi ancora una volta di essere al cospetto di una Milano che non si sa, magari dopo aver fatto una visita al Monastero Maggiore, vi propongo di porre le spalle a Palazzo Litta…

Per raggiungere il giardino nascosto dovete porre le spalle a Palazzo litta in Corso Magenta foto Robert Ribaudo)

Per raggiungere il giardino nascosto dovete porre le spalle a Palazzo litta in Corso Magenta foto Robert Ribaudo)

Imboccate la via S. Agnese, e percorrete quei 50 m. verso l’Università Cattolica, quanto basta per trovare sulla sinistra un posto che ha dell’incredibile. Una di quelle oasi di pace, che già la scorsa settimana vi avevamo segnalato come un giardino segreto. Ma stavolta c’è di più: un giardino incantevole sorge sulle rovine di un palazzo rinascimentale distrutto durante i bombardamenti della II Guerra Mondiale. Della casa bramantesca della famiglia Corio, imparentati coi Visconti e al loro servizio durante l’età d’oro del loro ducato, rimase nel dopoguerra il solo portico d’ingresso.

Ciò che resta del portico di Casa corio (foto Robert Ribaudo)

Ciò che resta del portico di Casa corio (foto Robert Ribaudo)

Le storie di Milano ne ricordano anche il ricco portale d’ingresso, anch’esso distrutto dalla furia delle bombe cadute sulla città, per la sua liberazione dall’oppressione nazi-fascista, tra il ’43 3 il’44. Ma al contrario di altri malaugurati “recuperi”, che approfittarono della necessaria e celere ricostruzione per costruire ex novo e per poter mettere a frutto la ricca rendita fondiaria nel tessuto storico, qui a perenne memoria si conservò il salvabile. Anche perchè questo non era un palazzo qualunque, perché qui nacque anche il più illustre rampollo della nobile schiatta, quel Bernardino Corio, storico e cantore dei fatti che videro il passaggio nel XV sec., dai Visconti agli Sforza nonché gli ultimi giorni e la resistenza di Lodovico il Moro prima che la città cadesse per sempre in mano straniera. Di lui non solo si ricorda la sua lucida ricostruzione, ma l’obbiettività e la strenua difesa di valori ormai perduti in una Milano svendutasi prima ai francesi e poi agli spagnoli.

Il gusto delle rovine reinterpretate per il giardino (foto di Robert Ribaudo)

Il gusto delle rovine reinterpretate per il giardino (foto di Robert Ribaudo)

Ora se questo può considerarsi un luogo di memoria non è solo per il culto delle rovine e nemmeno per il passaggio di chi dei fasti cittadini ne scrisse con grande orgoglio, ma anche per il nome per cui oggi tale giardino è “poco” ricordato dai milanesi. Infatti finita la spinta propulsiva della ricostruzione e bonificata l’area dalle macerie, la superficie del cortile, abbellita da alcune statue, fu intitolata ad un altro storico, archeologo e professore dell’Università Cattolica scomparso nel 1968, Aristide Calderini.

Ora, più recentemente, alle spalle delle rovine, sul pratone che ha preso il posto dell’enorme sedime dell’edificio storico ormai scomparso, sul lato verso Via Nirone (omaggio al torrente che qui scorreva lambendo le mura romane), dal 1996, sorge un altro monumento alla memoria, una stele realizzata dallo scultore Arnaldo Pomodoro, intitolata alle vittime della strada.

Il monumento alle vittime della strada di Arnaldo Pomodoro (foto di Robert Ribaudo)

Il monumento alle vittime della strada di Arnaldo Pomodoro (foto di Robert Ribaudo)

Questo fu voluto dalla famiglia di un ragazzo che in questi giardinetti aveva passato gran parte della sua infanzia e della sua vita spezzata prematuramente da un incidente, tal Francesco Castellini, ricordato qui proprio da un’insegna. Ho trovato in rete le parole della madre che con disperazione, così come altri familiari delle vittime, oggi dopo l’adozione della legge dell’omicidio stradale, hanno finalmente giustizia e vorrei condividerle con voi, perché si sappia che la Milano dal cuore grande ha pensato anche a loro, dedicando un giardino d’incanti e di profumi.

La targa in memoria di Francesco Castellini (foto di Robert Ribaudo)

La targa in memoria di Francesco Castellini (foto di Robert Ribaudo)

Così racconta Maria Castellini del figlio perduto: “Più passa il tempo e più mi è difficile affrontare i ricordi senza essere presa dal dolore più profondo, dalla rabbia, dall’incredulità, dalla disperazione. Forse perché finalmente si avvicina la data del processo. Finalmente dopo tre anni e tre rinvii sapremo se qualcuno ci dirà quello che è successo la notte del 24 agosto 1996. Mio figlio Francesco, 17 anni appena compiuti, era in Sardegna. Sarebbe partito la mattina dopo. Ma era l’ultima sera con gli amici e qualcuno ha proposto di andare in discoteca. Non sono arrivati. Non è imputabile allo “sballo” la sua morte che, almeno per quanto ne sappiamo, è dovuta solo alla stupidità di chi guidava al doppio della velocità permessa da una strada tutta curve, di notte.

L’ho ritrovato il giorno dopo all’obitorio, buttato per terra in un lenzuolo pieno di sangue. Ringrazio il cielo di aver passato con lui tutto un pomeriggio e una notte, di averlo abbracciato, accarezzato, toccato. Soprattutto l’ho guardato per cercare di ricordare per sempre… E poi avrei voluto dirgli ti voglio bene per sempre, e se era scritto che dovesse andarsene, che fosse successo mentre me lo tenevo stretto. Avrei cercato con l’amore di riscaldarlo mentre si addormentava, avrei respirato il suo respiro, gli avrei fatto sentire che una parte di me, la più profonda, l’avrebbe accompagnato dovunque andasse, all’infinito”.

la distesa erbosa del giardino alla memoria (foto Robert Ribaudo)

la distesa erbosa del giardino alla memoria (foto Robert Ribaudo)

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