Dio odia le donne…o forse no

Una sera di maggio a Milano: le nuvole sono gonfie di pioggia e faccio slalom tra la gente diretto verso via Marsala in un posto dove non ero ancora mai stato: la “Casa delle Donne di Milano“, dove la giornalista Giuliana Sgrena presenterà il suo nuovo libro: “Dio odia le donne”.

Un titolo forte, che turba, che mescola temi ed argomenti che non consentono una trattazione a mezze tinte, ma che scuotono nell’animo, perché si tratta delle vite di tante e tante donne, ovunque nel mondo, della violenza contro i loro corpi, contro le loro anime e il loro stesso essere donna. Troppo spesso tale violenza è stata portata avanti nel nome di una divinità, modellata per lo più da uomini, in modo tale da annichilire la parte femminile del mondo. L’intreccio, anche mortale, che a volte religione e violenza hanno stretto tra loro, mi ha sempre turbato in modo profondo,  come essere umano prima, come credente poi, e non da ultimo come omosessuale, facente parte cioè di una di quelle categorie di persone che – proprio come le donne – subiscono spesso l’oppressione nel nome di una qualche religione.

Eccomi finalmente alla Casa delle Donne di Milano, inaugurata, nella sua forma attuale, nel 2014. L’Associazione ha lo scopo di creare una rete femminile che vada oltre le differenze culturali, religiose, etniche e di orientamento sessuale di ciascuna. Vuole essere un luogo di dibattito, di confronto, di proposte, su temi che riguardano la vita, la singola persona e la società. Un luogo dove il femminile, per riprendere le parole dello Statuto: “possa incontrarsi con agio”. Una casa per informarsi e per praticare la cittadinanza attiva delle donne.

Prima di arrivare temevo che mi sarei sentito a disagio e come uomo, nell’oltrepassare l’ingresso della Casa, mi sono sentito come se stessi entrando in un santuario non mio. Questo timore è però subito svanito e il clima accogliente, familiare, creato da quelle donne provenienti da tutta Milano, mi ha fatto subito sentire a casa.

La pastora Daniela Di Carlo e la giornalista Giuliana Sgrena

Daniela Di Carlo (pastora valdese) e Giuliana Sgrena (giornalista)

Ed ecco Giuliana, occhi profondi su un viso espressivo, segnato da tutto quello che come donna e giornalista ha visto e vissuto. Mi perdo in quegli occhi: in essi mi sembra di vedere l’Afghanistan, l’Algeria, il Libano, il Medio Oriente e l’Iraq. Come non ricordare la drammatica vicenda del suo sequestro! Al suo fianco un’altra donna, chiamata a discutere con lei del libro: Daniela di Carlo, la pastora della Chiesa Valdese di Milano. Esatto! Daniela è un ministro di culto, che può vivere pienamente il suo essere donna e la sua fede, senza che vi sia alcuna contraddizione tra il suo essere femminile e il suo credo. Predica liberamente dal pulpito della sua Chiesa in via Francesco Sforza e vive la dimensione religiosa non come un ceppo, ma come una parte di sé che la valorizza, anziché schiacciarla.

Come mi aspettavo il dibattito tra le due donne si fa subito molto interessante. Il libro – come viene detto fin dall’inizio – non è un libro contro la religione in sé. Non ha l’obiettivo di condannare aprioristicamente alcuna fede. Ciò che si vuole mettere in luce è invece la strumentalizzazione della religione – qualunque essa sia – di cui spesso gli uomini si sono avvalsi per tenere in stato di sudditanza la donna, per opprimerla, schiacciarla. L’analisi parte volutamente dalle fonti scritturali delle tre grandi religioni monoteistiche (cristianesimo, islam, ebraismo).  Non si tratta però di un semplice saggio, bensì di un libro in cui la vita vissuta da Giuliana e delle donne da lei incontrate si fonde con un’analisi non banale dei testi sacri, in primo luogo, per l’appunto, delle tre grandi religioni monoteiste (ma non solo). A questo si lega la narrazione di pratiche di violenza purtroppo ancora attuate contro la donna in molte realtà. Penso, per fare solo un esempio, all’intervista  fatta da Giuliana ad una mammana del Somaliland sotto un soffitto coperto da lunghe spine di acacia, quali quelle utilizzate sulla carne delle donne al termine della terribile mutilazione dell’infibulazione.  Ripensare alla scena mi fa ancora tremare, proprio come Giuliana, che scrive: “Ho la sensazione che quelle spine si conficchino nel mio corpo, è una sensazione terribile, mi sembra persino di vedere le mio gambe sangunare”(Pag. 84). 

Le sue parole si alternano a quelle della pastora Daniela Di Carlo che afferma, appoggiandosi alle parole di illustri teologhe, che alle donne è stato a lungo reso impossibile avere uno “specchio trascendente” in cui vedere riflessa la propria immagine. E’ come se gli uomini avessero impedito alle donne di avere un Dio. La pastora ci parla – quasi a bilanciare il rosso carminio della violenza – di pennellate di fede stavolta luminose, dove finalmente le donne sono protagoniste. Le sue parole sono una vera scoperta per me. Vengono presentate figure quali l’attivista statunitense Elizabeth Cady Stanton, e la scrittura della Women’s Bible. Esatto! Proprio una Bibbia delle donne! Quanti di voi sapevano dell’esistenza di quest’opera? Si tratta di una riscrittura del testo biblico che ha proprio lo scopo di contestare la visione arcaica, tradizionale, patriarcale, che voleva la donna come mero “oggetto” subordinato.

Bibbia_delle_donne

La Bibbia delle Donne

La presentazione del libro giunge al termine e guardo il viso di queste due donne, così diverse ma nel contempo così uguali: in loro vedo finalmente unite le donne e il divino (in qualsiasi modo lo si voglia intendere). Uscito da quel luogo di conoscenza e di consapevolezza femminile che è la Casa delle Donne di Milano, mi sento di consigliare la lettura del libro di Giuliana e perché no…della Bibbia delle Donne!

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2 comments, add yours.

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