Stress in the city: da Milano al Friuli la coda si fa al ristorante

La suocera – molto milanese – di un’amica di famiglia, accolse la futura nuora, cui desiderava far sentire tutto il suo livore, cucinandole riso e prezzemolo. Così, vi dirò la verità, quando ho scoperto che in un noto ristorante stellato della mia regione nativa (il Friuli), avrei mangiato riso burro e salvia, ho sorriso tra me e me, mentre la mente ritornava a quell’episodio.

È nata una discussione con gli organizzatori della cena. Mi sono permessa di osservare che era un piatto banale. Mi è stato detto che avrei dovuto prima vedere l’interpretazione dello chef. È vero, ho ammesso, però, per quanto io non sia un grande chef, col burro e salvia non è che ci fai i miracoli! (per quelli i requisiti minimi sono pani e pesci, se ben ricordo)

Comunque sia mi sono messa il mio miglior vestito e sono andata a provare il riso-burro-salvia. L’atmosfera era di grande fermento e lieve tensione. Tutti fremevano durante i 3 antipasti perché “dopo arriva il risotto burro e salvia”. Bene. Quando è arrivato nel piatto è stato un tripudio immediato. Ancora con la forchetta a mezz’aria ho udito commenti estasiati, e visto commozione nello sguardo dei convitati. Alla prima forchettata di quello che a me pareva un riso crudo con un lieve sentore di dentifricio, l’intera tavolata si è espressa in un applauso che nemmeno un atterraggio tranquillo a Punta Raisi avrebbe potuto scatenare.

Il risotto della suocera! (Fonte: identitagolose.it)

Io sono stata tacciata di milanesità. “Cosa vuoi capire tu, tu sei abituata a Milano, tu non ti intendi, tu non apprezzi i sapori semplici, tu sei modaiola.” Avrei incassato il colpo. La milanesità – coacervo di vaghe caratteristiche tutte negative che sembrano essere appannaggio dei soli milanesi – è altamente stigmatizzata in provincia. Poi però è successo che uno degli invitati abbia cercato di prenotare un tavolo nello stesso ristorante… dopo che il noto chef aveva fatto una comparsata a MasterChef Italia.

Ahimè, il primo tavolo era libero dopo due mesi.  Eccola qua, la nostra provincia improvvisamente milanesizzata. All’apparizione televisiva dello chef il pubblico friulano si era improvvisamente convinto che, stella o non stella, il ristorante “valeva la pena”.

Ero immersa nelle mie riflessioni quando ho letto dei chilometri di coda all’apertura del nuovo il Centro, centro commerciale di Arese. 10 chilometri per mangiare da KFC, catena americana nota per il mediocre pollo fritto. Non oso immaginare le code per Starbucks se già l’adorabile (almeno per me) Arnold Coffee vedeva la gente che, con sprezzo del pericolo, si allineava fin sui binari del tram di via Orefici a Milano.

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E’ di moda la coda. (Foto: dissapore.com)

Siamo davvero disposti a fare la coda per tutto? Per un uomo, per un telefono o per un piatto di riso al burro? Provincia o capitale che sia, sembra che siamo tutti disposti a capitolare di fronte alla pubblicità o ad una comparsata televisiva. Nell’epoca della qualità, della quantità e dell’abbondanza, cosa ci manca esattamente? Forse nulla, forse la personalità, forse solo il discernimento.                                                                                                   Mi pare di capire quindi che “Dimmi ciò che leggi e ti dirò chi sei” sia  diventato oggi “Dimmi per cosa fai la coda e ti dirò chi sei”.

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