Riaprire i navigli: sogni, opportunità o….
Mentre in aula comunale si discute ancora come e se rendere trasparenti i veri bilanci di Expo (che pare non siano così edificanti come la grancassa del comitato organizzatore aveva sbandierato sin dall’inizio), il candidato in pectore del centro-sinistra milanese, Sala, già direttore generale del comune dell’allora giunta di destra di morattiana memoria, ha sposato l’idea di riscoprire i Navigli. L’idea in sé non ha un’appartenenza politica, poiché da anni c’è chi, anche in altri schieramenti, si batte e si fregia di avere questa brillante e originale trovata.
Tanto è vero che esiste già un progetto di fattibilità, confezionato dal Politecnico, per capire come le dissestate casse del comune possano reggerne l’aggravio economico e quali vantaggi verrebbero restituiti alla cittadinanza.
Ora, in linea di principio, l’articolo che vi riproponiamo, ci illustra una Milano più affascinante che ha voglia di tornare alle proprie origini e propensioni naturali. Ma allo stesso tempo appartiene ad atmosfere e assetti non più esistenti, e direi, improponibili, poiché anche la situazione attuale è ormai storicizzata, e lo stesso milanese è ormai “geneticamente” modificato. In primis porrei l’attenzione sui suoi comportamenti e sulle sue relazioni con l’uso dell’auto. Per citarne solo alcuni, il traffico automobilistico, sarebbe, gioco forza, deviato tutto sulla seconda cerchia e nella prima cerchia l’accesso ai carrai delle case prospicienti, dovrebbero riguadagnare il piano o il mezzo piano perduto in occasione della copertura.
Ma quello che sconcerta di più è come da 40 anni a questa parte si prefigura l’intero sviluppo di una città (per non dire di un intero paese) sull’edilizia e sui lavori pubblici, con le mastodontiche opere che andrebbero messe in campo in questa specifica occasione: i tagli dei cementi armati, la rimozioni dei piani stradali e la messa in sicurezza di argini e balaustre. Ho il timore insomma che finito l’Expo, il solito comitato d’affari si stia riorganizzando per coagularsi intorno ad uno nuovo interesse forte e di lunga durata, fatto apparire come una vera necessità per il milanese nostalgico. Ricordiamo peraltro che sarebbe forse più urgente in tema di investimenti agire sulle misure per limitare le inondazione del Seveso e sulla gran parte dell’idrografia milanese strozzata da tombinature ormai fuori portata.
Questo per dire che non si è contrari tout court, perché le zone a basso traffico veicolare, come la zona di Via Conca del Naviglio (che pare essere tra le prime ad essere interessate dal cambio di carattere), andrebbero effettivamente valorizzate e rilanciate come tra gli angoli più caratteristici della città. Ma se il risultato sarà simile a quello della nuova Darsena, con la relativa movida di cattivo gusto, forse è meglio soprassedere!!
Ma vediamo com’era questa Milano e vi renderete voi stessi conto di quale effetto di straniamento e di quale salto di scala e di realtà stiamo parlando. L’idrografia della città moderna è completamente diversa da quella storica, poiché oggi riconosciamo come vie d’acqua esistenti solo quelle che scorrono a cielo aperto, in superficie, o in qualche modo ciò di cui si ha memoria. Stiamo naturalmente parlando dell’orditura primaria di questo sistema. C’è poi una rete capillare di canali, fiumiciattoli, rogge e canali che oggi sono stati fatti confluire in fogna o canalizzati in sotterraneo, perché non più utili.
Iniziamo allora col comprendere, nella rete primaria, i corsi d’acqua di Milano: in primis i fiumi Olona, Seveso, Lambro, poi il Naviglio Martesana e i due Navigli, a sud, Grande e Pavese. In ultima analisi, lasciamo a parte la cerchia dei Navigli, oggi interrata, detta anche fossa interna, poiché anello di collegamento e confluenza di una serie di acque reflue minori della città. Abbiamo visto, nel corso di nostri altri interventi, come, fino all’inizio del Novecento, questo sistema venisse usato comunemente come mezzo per il trasporto merci da e per la città con il suo territorio limitrofo, come strumento per pulire le fognature e le strade dell’abitato. Ancor prima dell’era moderna l’acqua di questa stessa rete era utilizzata come elemento per riempire i fossati difensivi sotto le mura, per irrigare gli orti di cui la città era ricca e per dare forza motrice ai mulini, che si susseguivano su tutta la cerchia interna, in parte per fare girare le ruote dei magli per le fabbriche delle armi (come testimonia il nome del tratto della circonvallazione di via Molino delle Armi) e in parte per macinare cerali da farina (soprattutto sul tratto di Via Fatebenefratelli, oggi interrato).
Il Naviglio Grande lungo circa 50 chilometri, parte dal fiume Ticino, a nord-ovest di Milano, per finire nella Darsena di Porta Ticinese, un bacino artificiale di cui abbiamo parlato ampiamente e che è sottoposto in questo periodo a un progetto di riqualificazione in chiave EXPO.
Il Naviglio Pavese è più corto di quello Grande (circa 33 chilometri) e fa il percorso inverso: prende le acque dalla Darsena di Porta Ticinese, per poi portarle fino al Ticino, nei pressi di Pavia, dove i Visconti avevano fortissimi interessi, prima fondiari e poi commerciali verso il Po. Oggi è utilizzato principalmente per l’irrigazione.
Stampa ottocentesca della Cassina de’ Pomm, luogo dove oggi la Martesana si interra sotto Via Melchiorre Gioia.
Il Naviglio della Martesana, che scorre all’aperto per 38 chilometri, prima di essere tombinato alla fine di via Melchiorre Gioia, nei pressi della Cassina de Pomm, ha sempre rappresentato una delle principali vie d’acqua di Milano, che attraversava la città da sud a nord, dalla chiusa di San Marco fino ai navigli pavesi, utilizzando come anello di congiunzione proprio la fossa interna, antica circonvallazione della città.
Il fiume Seveso, oggi interamente tombinato, scorre sotto la città per molti chilometri: circa 9 da Niguarda, a nord, fino all’unione con il Naviglio della Martesana, all’inizio di Via Melchiorre Gioia, subito prima di giungere alla Conca di S. Marco. Questo fu il primo fiume deviato, già dagli antichi romani, che lo fecero girare intorno alle mura difensive della prima città imperiale. Dirottato sull’odierna via Larga, le sue acque si ricongiungevano al canale della Vetra, sottopassavano la Fossa Interna dei Navigli, per poi confluire, ancora oggi, nella Vettabbia. Quest’ultima, seguendo la direzione di Corso Italia riaffiora alla periferia sud di Milano, pressappoco in zona Ripamonti, per immettersi poi nel Lambro.
Così anche il torrente Nirone, oggi scomparso, al tempo dei romani faceva lo stesso lavoro del fiume suddetto (per questo detto piccolo Seveso), ma nel senso opposto, girando intorno alle mura sul lato ovest: scendendo da nord per l’attuale Via Canonica, e irrigando sin dal Medioevo il borgo degli Ortolani, costeggiava il Parco Sempione, lato Arena, per poi dirigersi dietro l’attuale Basilica di S. Ambrogio, lungo una via che porta il nome del torrente (Nirone). Alla fine si ricongiungeva al Grande Seveso, all’altezza della Vetra. Anche della Vetra, nei nostri passati interventi abbiamo parlato; basta qui dire che rappresentava una sorta di area depressionaria per chi usciva dal recinto cittadino antico, spesso impaludata. Qui un cavo omonimo convogliava tutta una serie di rivi d’acqua, compresi a quelli sopra citati alla fine del circuito delle mura, e alimentava oltre alla Vettabbia anche il Naviglio di Via Arena che portava, attraverso un salto, l’acqua della fossa interna alla Darsena.
Tra i grandi fiumi di Milano non si può non citare il Lambro, il maggiore dei fiumi milanesi, che però è anche l’unico a scorrere a cielo aperto nella maggior parte del suo percorso nella parte più orientale della città: attraversando da nord Cascina Gobba, Cimiano, e il parco Lambro, arriva a Lambrate (il borgo che ne trae il nome) e attraverso il quartiere dell’Ortica, arriva al parco Forlanini.
Punto di origine del Redefossi a porta Nuova, all’inizio dell’attuale Porta Nuova, in una mappa del 1884
In ultimo, una doverosa citazione si deve anche al Cavo Redefossi, che era il vero e proprio canale di scolo delle fognature di Milano, fin dai tempi dei Romani. Si originava a Porta Nuova, proprio di fronte alla stazione ferroviaria della linea Milano-Monza, alimentato dalle acque del Seveso e dal Naviglio Martesana. Ma Il “Re’ De Fossi” divenne già con la costruzione delle mura spagnole, il canale esterno all’abitato, che scorreva, come una falce di luna, nel lato destro della città. Arrivato in Piazza Medaglie d’Oro, ancora oggi percorre, in sotterranea, l’attuale Corso Lodi e riaffiora a San Donato, dove confluisce nella Vettabbia e nel Lambro all’altezza di Melegnano. Sperando di avervi restituito una panoramica di tutti i principali rivi che irroravano i quartieri della nostra città, allo stesso tempo abbiamo tentato di illustrare come Milano fosse un’autentica città d’acqua e come da questi tronchi principali si dipartissero migliaia di canali che in alcuni casi si spingevano fino a servire i cortili delle singole case della vecchia città.