La nascita dei coriandoli, una tradizione antica adattata al carnevale ambrosiano.
Tra le varie manifestazione di giubilo del carnevale, nelle feste dei bambini, non possono mai mancare né stelle filanti, né tantomeno coriandoli. Tutti sappiamo che questi ultimi sono piccoli ritagli di carta colorata che vengono lanciati in aria o sulle persone.
L’origine di questa usanza ha radici lontane: bisogna andare nel periodo Rinascimentale quando, durante le sfilate delle carrozze, tipiche di molte città, venivano gettati, sulla folla mascherata, granoturco ed arance, fiori, gusci d’uovo ripieni di essenze profumate, monete. Ancora oggi esistono alcuni Carnevali in cui si lancia qualcosa di simile, come quello di Ivrea: qui “le munizioni” sono le arance. Con queste alcuni tiratori su carri si scambiano colpi “succosi” con l’intera popolazione che si riversa per le vie della cittadina!
Il nome dei più tradizionali coriandoli deriva dal fatto che, a partire dal XVI secolo, proprio con i frutti del coriandolo, rivestiti di zucchero, si iniziarono a produrre dei confettini profumati, fatti apposta per essere lanciati dall’alto dei carri mascherati o da balconi e finestre. Non a caso ancora oggi il nome di “confetti” rimane in voga in tutto il resto del mondo per indicare i più comuni coriandoli. Questa usanza, piuttosto costosa, cadde presto quindi in disuso, per essere sostituita dal lancio di piccole palline, di identico aspetto, ma fatte di carta colorata o di gesso. Successivamente i confetti o le sferette vennero rimpiazzate, in alcune occasioni, anche da piccole monete, che venivano però arroventate prima del lancio, giocando così brutti scherzi a chi le avesse raccolte per strada.
Ma pare che a Milano, nella seconda metà del XIX secolo, si cominciò a tirare qualcosa di diverso e soprattutto di più innocuo: minuscoli dischetti di carta bianca che si sollevavano in aria, come se una nevicata ricoprisse i carri che sfilavano. Narra la leggenda che la geniale trovata fosse dell’ingegner Enrico Mangili di Crescenzago, che aveva pensato di usare i dischetti di scarto dei fogli bucherellati che si usavano come lettiere per i bachi da seta. Questi infatti possedeva una filanda a Crescenzago ma soprattutto un’azienda tessile che usava la forza motrice generata da una ruota da mulino posizionata nel Naviglio della Martesana. Lo stabilimento fu impiantato nella storica dimora dei nobili Lecchi, situata in fondo a Viale Padova, oggi più famosa come villa Pallavicini, dove ancora oggi è possibile vedere, lungo il muro di cinta i resti di quella macchina posizionata dal Mangili.
A lui peraltro si deve, forse ispirato dai nastrini di carta usati per trasmettere i messaggi telegrafici, anche l’invenzione delle stelle filanti. Comunque sia, i coriandoli cominciarono da quel momento ad essere prodotti a livello industriale, e non più come materiale di scarto, utilizzando anche carta colorata. Nei carnevali dell’ultimo quarto del secolo XIX, si ricordano alcuni ambulanti che stazionavano in Galleria per venderli al prezzo di 5 centesimi al misurino, confezionati in cartocci come se fossero caldarroste. Ma oltre al carnevale, cominciarono a contrassegnare anche altre occasioni festive e avvenimenti importanti, come l’annesione al Regno d’Italia della città di Milano, quando il nostro Mangili, divenuto cavaliere, ne distribuì gratis milioni per salutare la visita del re Vittorio Emanuele II. Oggi, non c’è parata o festa carnascialesca, soprattutto nei paesi anglo-sassoni, che non veda salutare trionfatori, eroi o presidenti con una nevicata di coriandoli.
Diventarono insomma talmente popolari che persino il poeta Gianni Rodari dedicò loro una delle sue brillanti filastrocche. La intitolò, ricordandone l’origine, I guerrieri dell’allegria. E così la confezionò, insegnando ai bambini che la guerra, in tutte le sue manifestazioni, non è mai cosa bella.
Viva i coriandoli di carnevale,
bombe di carta che non fanno male!
Van per le strade in gaia compagnia
i guerrieri dell’allegria
si sparano in faccia
risate scacciapensieri,
si fanno prigionieri
con le stelle filanti colorate.
non servono infermieri
perché i feriti guariscono
con una caramella.
Guida l’assalto, a passo di tarantella,
il generale in capo Pulcinella.
Cessata la battaglia:
tutti a nanna. Sul guanciale
spicca come una medaglia
un coriandolo di Carnevale.