Dopo i fatti di Parigi, simboli di pace e simboli di lotta che parlano anche ai più giovani

Dopo i fatti di Parigi e il conseguente bombardamento mediatico mi sono chiesto cosa hanno capito i bambini e come ci si dovrebbe comportare con loro. Come si fa a spiegare tanto odio o parole come “guerra”?

In un primo tempo è facile farsi prendere dall’atteggiamento più semplice quello del rilassamento mentale che ci porta a dire: tanto non capiscono… non li riguarda, sono ancora piccoli… o cose simili. Poi ho fatto leva sulla razionalità e sull’esperienza di adulto e genitore e mi sono chiesto come potrei/saprei spiegarlo a un bimbo milanese. Mi sono risposto: nel modo più naturale, almeno per me, così come ho sempre cercato di fare in questi anni, e cioè raccontando storie o meglio parlando della Storia. Poiché l’odio che si sta scatenando tra due opposte civiltà, quella occidentale e quella dell’integralismo arabo o ancora quella fra il neo-colonialismo europeo e la grande nazione araba l’abbiamo già visto e viene da lontano.

I bimbi francesi a casa ne hanno parlato con i genitori, in classe hanno affrontato l'argomento con i maestri, producendo dei disegni come questo che vi mostriamo.

I bimbi francesi a casa ne hanno parlato con i genitori, in classe hanno affrontato l’argomento con i maestri, producendo dei disegni come questo che vi mostriamo.

Più volte su Ciabattine abbiamo parlato di Crociate, di Medioevo (poiché alla fine di questo si tratta!!) e di come Milano si è resa protagonista anche in un luogo tanto lontano, in Terra Santa e in Medio Oriente. Vi ho già raccontato su Ciabattine Piccine di eventi legati a queste vicende, spesso realmente accaduti nel passato e qui riportati in forma di fiaba come la ballata del prode Anselmo, o spiegando l’origine dello stemma visconteo. Ma spesso alcuni simboli di resistenza sopravvivono al tempo fino a divenir, nelle accezioni più negative, sinonimo di fanatismo. Questo è il caso del Carroccio della Lega lombarda che, oggi è strumentalizzato politicamente, ma che per secoli è stato il baluardo entro il quale Milano e i liberi comuni lombardi si barricarono per tramandare valori positivi poi fatti propri dalla Rivoluzione francesce come Libertà, Uguaglianza e Fraternità. Tanto è vero che il carro si conservò per secoli dentro la chiesa più importante della città (S. Tecla), ancor prima della costruzione del Duomo e lo si esponeva una volta all’anno per una cerimonia propiziatoria.

Il carroccio secondo un'antica miniatura.jpg

Il carroccio secondo un’antica miniatura.jpg

Ma cos’era questo carro? Forse i milanesi l’avevano visto per la prima volta proprio in Terra Santa al seguito di Ottone Visconti, durante la Prima Crociata (alla fine del XI sec.), usato per portare il “sacro legno” – la presunta vera croce di Cristo, poi rivestita di una lamina d’oro – , come vessillo di protezione contro gli “infedeli” (perchè le guerre condotte in nome di un dio si sono sprecate!). L’uso risulta già consolidato con le crociate successive dalla meta del sec. XII, come ben documentato nel film Le Crociate di Ridley Scott.

E’ certo che Milano, ne costruisce già uno nel 1037, grazie al vescovo Ariberto d’Intimiano, che lo usò per cementare la città contro un imperatore tedesco, Corrado II, il quale aveva tentato di assediare inutilmente la città. L’uso del carro era diffuso soprattutto in pianura, dato che le dimensioni della sua struttura erano tali da renderne particolarmente difficile l’impiego sui pendii. Per tirare il carro da guerra occorrevano da tre a quattro paia di buoi, perché il pianale era tanto alto da permettere al capitano d’armi di controllare lo svolgimento della battaglia e al tempo stesso tanto robusto da resistere agli attacchi dei nemici e alle insidie dei campi. Le descrizioni concordano pure nel menzionare una campana ( la “martinella”) che serviva a scandire i tempi del trasferimento e a chiamare a raccolta gli armati durante la battaglia; in tutti i casi il pennone, alto 15 m., serviva a reggere il vessillo crociato dell’esercito raccolto attorno al Carroccio (diventerà non per niente lo stemma di Milano – croce rossa in campo bianco). Un altare con un crocifisso inoltre era posto solitamente alla base del pennone: sul carro infatti si celebrava la messa, e la croce svettante sull’albero rendeva tangibile la presenza di Dio a fianco dei combattenti.

La battaglia di Legnano di Amos Cassoli.jpg

La battaglia di Legnano di Amos Cassoli.jpg

Con tali simboli, le città lombarde si rimisero in marcia, per andare incontro al Barbarossa, che aveva mostrato di nuovo propositi belligeranti. Tra le truppe alleate militava un condottiero, noto dalle cronache come Alberto da Giussano, ma la cui esistenza non è del tutto chiara. La sua figura sul campo di battaglia appare infatti per la prima volta solo in una cronaca della prima metà del XIV sec., scritta per compiacere Galeazzo Visconti, signore di Milano. Alberto venne descritto come il cavaliere che si distinse nella battaglia di Legnano del 29 maggio 1176 per aver guidato la Compagnia della Morte, un’associazione militare di 900 giovani cavalieri scelti con il compito di difendere fino alla morte il carroccio, simbolo della Lega Lombarda, contro l’esercito di Federico I Barbarossa. All’imperatore toccò una disastrosa sconfitta, della quale massimi artefici furono, non a caso, i milanesi. I Comuni lombardi e Milano riacquistarono le libertà, necessarie per garantirsi un futuro di prosperità. Il Carroccio verrà portato nella cattedrale, come segno della concordia cittadina.

Lo stendardo di Milano con S. Ambrogio che tiene in mano la frusta che allontana gli infedeli.

Lo stendardo di Milano con S. Ambrogio che tiene in mano la frusta che allontana gli infedeli

Tale simbolo verrà sostituito solo secoli dopo dallo stendardo con l’effige di Sant’Ambrogio, che allontana ancora una volta gli “infedeli” e gli eretici con una frusta. …. E la storia, che dovrebbe insegnarci importanti valori sociali e civili, continua a ripetersi… anche oggi!

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One Trackback

  1. […] E pensare che il toponimo per i vecchi milanesi rappresentava uno dei più importanti luoghi di lavoro della città che aveva attirato migliaia di migranti dal Sud con una valigia di cartone in cerca di riscatto e la possibilità di trasformarsi da contadini in operai metalmeccanici, gangli supremi dello sviluppo tecnologico del boom economico degli anni’60. Alla luce di questo, persino Luchino Visconti nei viali tra le fabbriche vi aveva girato Rocco e i suoi fratelli. Ma le fabbriche del Portello esisteva già da prima della guerra, ma non della Seconda. Additittura la Prima, quella Grande, come la chiamano i più. E si! Perché su quell’area sorgeva la grande e blasonata fabbrica automobilistica milanese dell’Alfa Romeo, che per ironia della sorte fu fondata nel 1910 da un napoletano, l’ing. Nicola Romeo con alcuni soci lombardi che la nominarono Anonima Lombarda Fabbrica Automobili (ALFA). E sin dagli esordi il marchio dell’azienda ha voluto ricordare i suoi legami con la città di origine: da un lato il serpente dei Visconti, che furono anticamente i proprietari degli immensi terreni, destinati alla caccia, che dal Castello arrivavano fin qui, dove una cascina con un gran “portello”, appunto, ne rappresentava il limite invalicabile, dall’altro la croce rossa in campo bianco, simbolo di Milano. […]

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