Una nuova città: Milano a macchia di leopardo.
Non è una nuova moda e nemmeno il frutto di una nuova tendenza artistica ma la conseguenza di una certa politica “urbanistica contrattata” che dall’inizio del nuovo millennio ha cambiato il volto della nostra città.
Infatti le ultime giunte comunali liberiste della nostra città hanno progressivamente traghettato un sistema di regole valide per tutti, finalizzate alla realizzazione di un assetto di Milano con un preciso equilibrio tra gli ingredienti del vivere moderno (tot mq di verde, servizi, abitazioni per cittadino) e con un insieme di obiettivi d’interesse generale, verso la contrattazione diretta delle operazioni di trasformazione urbana tra i soggetti, soprattutto con quelli aventi un interesse economico diretto. Da questo cambiamento di mentalità, con un salto di scala degli interventi sul territorio della nostra città, sono nati interi quartieri privati come il Portello, City Life, Porta Nuova, per citare i più famosi, ma anche quelli edificati sulle aree del demanio ferroviario o sui vecchi scali delle vie ferrate che circondano la Milano del primo Novecento. E prossimamente, probabilmente anche su qualche area militare dismessa.

Piazza Gae Aulenti
Forse durante la lettura veloce dell’ultimo periodo vi è sfuggita una parolina chiave, che è però fondamentale per raccontarvi un nuovo capitolo della storia più recente della nostra città: la parola da carpire era “privati”. Si! Perché in quei quartieri non vigono le regole della municipalità: sono stati costruiti con parametri diversi, ad personam, in deroga ai coefficienti di edificabilità (cosa che ha permesso l’avanzata verso l’alto di svettanti torri, come facevano i signorotti nel Medioevo!), senza il controllo della governance pubblica nelle operazioni costruttive. E’ indiscutibile che il panorama della nostra città sia cambiato senza tenere conto di alcuni principi base della Valutazione d’Impatto Ambientale. Soprattutto i processi sono stati innescati da nuove forme di investimento finanziario attraverso i Fondi Immobiliari che si sono fatti carico dell’acquisto delle aree, dei costi di progetto e della costruzione dei grattacieli. Tralasciando il risultato estetico dei vari episodi, che abbiamo destinato a passati interventi del nostro blog, la notizia vera è che gli stessi nuovi quartieri di cui va oggi tanto orgogliosa la nostra città, non sono più Comune di Milano, ma come delle enclave private all’interno del territorio riconosciuto da tutti come parte della nostra collettività. Non lo sono i palazzi, non sono le strade, né le piazze, e nemmeno il verde.

L’area delle ex Varesina, com’era durante lo scavo per la posa delle fondamenta della nuova Porta Nuova (foto di Gabriele Basilico) da “Milano Porta Nuova, l’Italia si alza” il volume dedicato a Porta Nuova curato da Luca Molinari e Kelly Russell Catella (edito da Skira)
Ma vediamoli da vicino questi nuovi quartieri: il caso più eclatante è sicuramente quello di Porta Nuova, anche perché è il più centrale. Questa nuova realtà è nata grazie ad un’intuizione di Manfredi Catella e del fondo italo-texano Hines. Il piano di riqualificazione è partito da un nucleo di aree dismesse che dall’area delle ex Varesine si spinge oggi fino all’Isola. Con il progredire e il realizzarsi dei vari lotti e quindi anche degli investimenti, peraltro avvenuti nell’acme della crisi economica, Hines sgr ha ceduto prima una quota pari al 40% al fondo sovrano del Qatar, che oggi è salita all’intero pacchetto del 100%. Insomma, quello che era stata venduta agli inizi del secolo come una grande possibilità per Milano è oggi parte integrante del patrimonio a disposizione dello stato degli Emirati Arabi. Intervistato da poco Catella, naturalmente soddisfatto della riuscita dell’operazione anche in termini architettonici, ha dichiarato che il piano è esportabile, dimostrando a tutti che, con amministrazioni compiacenti, si può fare ancora per n volte. Anche perché, come nei paesi arabi, la progettazione non tiene più conto dell’intorno, come una volta ci insegnavano nei corsi di Composizione Architettonica.
Passiamo al secondo più amaro capitolo, quello della Fiera di Milano, oggi noto come progetto City Life: vero che l’area non è centrale, a ridosso dell’abitato più antico, come quella precedentemente descritta, ma la sua valenza storica-relazionale con la città imponeva vincoli ferrei da parte degli enti di tutela. Ma gli appetiti delle passate giunte erano talmente smisurati da dover cedere l’intera area a una cordata di assicurazioni. Il progetto era già lì, tre alte torri che svettavano con un aspetto alla Sergio Leone, il buono, il brutto e il cattivo. Lascio a voi la possibilità di assegnare l’epiteto giusto ai vari manufatti. Soprattutto a quelli che verranno, visto che ne è stato realizzato solo uno (la torre Isozaki, dal nome del progettista). Quest’ultimo, a cantiere già aperto, è stato acquisito, come “buonuscita”, dalla società assicurativa tedesca Allianz. Ma per giorni sulla cima del grattacielo più alto di Milano, ha sventolato, per ironia della sorte, la bandiera italiana. Qualcuno di questa contraddizione si è scandalizzato. Ma Severgnini, ultimamente a domanda diretta, si è compiaciuto di rispondere che la città è ancora capace di attrarre interessi e capitali. Forse, come negli altri casi, si è scordato di dire che tutto ciò non ha reso Milano più ricca (e forse nemmeno più bella!) perché di queste speculazioni se ne avvantaggiano sin dagli anni’80 soltanto i soliti noti, e i profitti adesso volano all’estero.

Le tre torri di City Life in un rendering che ne illustra il contesto urbano (da il Piccolo). A sinistra il grattacielo di Zaha Hadid, prossima sede delle Generali a Milano.
Ora , al di là delle emergenze che fanno sensazionalismo, ci sono anche alcuni edifici, dallo stile originale che qualcuno ha definito da “nave da crociera”, sta per sorgere il grattacielo tortile di Zaha Hadid, una serie di piazze e una vasta area a verde pubblico. Ma anche in questo caso siamo “fuori Milano”, perché di pubblico non c’è nulla, nemmeno i giardini (che una volta venivano realizzati a scomputo di oneri di urbanizzazione)!
Pertanto mentre Milano si espande attraverso la “città infinita”(che va oltre i confini amministrativi) e la “città metropolitana”, le maglie interne, anche quelle delle relazioni, si sfilacciano per dar vita a un nuovo sistema di regole e con una Milano a macchia di leopardo.
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[…] di un’impressionante edificazione (in termini qualitativi nemmeno fra le più terribili nel panorama delle politiche urbanistiche delle ultime giunte comunali) e che poi vede, una volta abitata e umanizzata, una certa nobilitazione. E’ per questo che oggi […]
[…] soprattutto vorrei ricordare come non è stato limitato il consumo del suolo sulle aree dismesse ( con il via libera a nuovi progetti speculativi), vera risorsa e forma di compensazione per […]
[…] c’è ancora un altro punto da considerare, che è il CONSUMO DEL SUOLO delle aree dismesse (con il via libera a nuovi progetti speculativi), che sarebbero, se ben valorizzate, vera risorsa e […]
[…] soprattutto vorrei ricordare come non è stato limitato il consumo del suolo sulle aree dismesse ( con il via libera a nuovi progetti speculativi), vera risorsa e forma di compensazione per […]
[…] le vicine torri del quartiere Porta Nuova, con i suoi invadenti volumi, ben visibili dal tessuto storico che da Corso Garibaldi si sfrangia verso il Parco Sempione, ora […]
[…] fa consegna di fatto alla società Arexpo il mandato per avviare la realizzazione del masterplan. Insomma tutto è pronto per scatenare gli appettiti degli immbiliaristi che avranno un altro pezzo d…. Mentre tanto da dire avrebbe su quella che un tempo veniva chiamata la zona Città Studi: vorrebbe […]