Riqualificare le aree dismesse a Milano: quale futuro?

Leggo in questi giorni di un piano della giunta comunale che promuove un Fondo per lo sviluppo, misto pubblico-privato, per rilanciare le aree dismesse della città. Mi viene da dire meglio tardi che mai, soprattutto dopo aver perso una serie di occasioni importanti per rendere questa città più vivibile.

Per tutti! Non so se questo sia il frutto di una seria presa di coscienza o di una boutade pre-elettorale, ma l’idea sembra buona, specialmente sapendo che Londra l’ha adottata per rilanciare alcuni suoi quartieri storici, piuttosto malandati.

Ecco la pianta della città con le aree dismesse da rilanciare e i punti considerati prioritari dalla giunta Pisapia.

Ecco la pianta della città con le aree dismesse da rilanciare e i punti considerati prioritari dalla giunta Pisapia (da corriere.it)

A tal proposito allora mi sono messo alla ricerca, di quali potrebbero essere queste aree dismesse della città che potrebbero essere recuperate per scopi sociali o semplicemente per fare di Milano una città veramente “moderna”. Abbiamo appreso, dall’esperienza di questi giorni, che non basta l’Expo!

Ecco il risultato che potete voi stessi trovare sul sito del Comune di Milano: nella sezione “Territorio”, esiste una pagina che si chiama proprio Monitoraggio edifici e aree in stato di degrado. Si tratta di un censimento, spesso compilato attraverso la segnalazione dei cittadini e dei Consigli di Zona, che restituisce una fotografia attuale della città esistente, riportando quindi tutte quelle situazioni che vengono percepite come stato di degrado e inutilizzo, soprattutto dopo la recente crisi economica che ha accresciuto i fallimenti dei privati detentori delle aree e degli edifici in questione. E’ chiaro che il fenomeno ha chiari e preoccupanti risvolti sociali e di ordine pubblico, poichè i punti urbani mappati possono divenire insediamenti della malavita o sacche di emarginazione. La pagina on-line sul sito del Comune non solo sostiene che l’Amministrazione ha già avviato una procedura che prevede di contattare direttamente le proprietà per sollecitarne interventi manutentivi o di messa in sicurezza, ma esorta ulteriormente i cittadini a segnalare i casi eclatanti all’interno dei quartieri residenziali (prendete nota!).

Ora è chiaro che l’epoca dell’urbanistica partecipata degli anni ’70 è ben lontana dal ritornare, proprio per il sopravvento in questi ultimi 40 anni di una centralizzazione degli interventi, soprattutto orientati dai grandi gruppi di interesse, ma è un segnale sul fatto che il controllo del territorio si garantisce solo con l’aiuto di chi lo abita tutti i giorni! Ora bisogna trovare i soldi, in tempi di “vacche magre”, per trasformare una deficienza in una opportunità per i cittadini.

La Conca di S. Marco con le chiuse come si presenta oggi (foto di Robert Ribaudo)

La Conca di S. Marco con le chiuse come si presenta oggi (foto di Robert Ribaudo)

Guardando la mappa degli interventi considerati prioritari da questa giunta, al di là del progetto utopico della riapertura dei Navigli (che ben facili appetiti riaprirebbe da parte dei comitati d’affari delle grandi opere), a me sta a cuore segnalarvi quello individuato col n. 3, cioè il recupero dell’Istituto Marchiondi, a Baggio, periferia ovest di Milano.

E’ per questo che vi ripropongo l’accorato appello per salvare uno dei nostri capolavori del Modernismo architettonico, progettato come avamposto della solidarietà verso gli ultimi di questa città, che di posti così ne ha bisogno oggi più che mai! L’edificio di Baggio, allora nella più lontana periferia di Milano, sostituì il vecchio e malandato complesso  di Via Quadronno, solo a seguito di un concorso ad inviti degli inizi degli anni’50 per la costruzione di una nuova e più moderna sede, con una declaratoria tra le più all’avangurdia per la rieducazione dell’infanzia “perduta”. La vecchia sede, all’ingresso di Porta Vigentina, era considerata ormai una fatiscente costruzione concepita come istituzione repressiva del secolo XIX. Il concorso, bandito dall’Istituto tra il 1952/53, fu seguito da una prestigiosa giuria composta dall’arch. Giovanni Muzio (presidente), dall’architetto Luigi Moretti, dall’architetto Renzo Gerla del Comune di Milano e dall’ingegnere Franco della Porta, sotto la supervisione degli stessi educatori dell’Istituto Marchiondi. Il risultato fu un capolavoro dell’architettura modernista, progettato non come una scatola anonima, ma molto attento alla funzione e alla “libertà” dell’individuo. Ispirata al principio sia visivo che compositivo di uno schema aperto, la struttura fu considerata anche successivamente un esempio paradigmatico per l’architettura contempornea, tanto che il modellino plastico del progetto è esposto al MOMA di New York. Gli edifici trasparenti sono ritmati sulle facciate da interessanti elementi verticali prefabbricati usati come brise-soleil.

Una foto di com'era il marchiondi di Via noale a Baggio prima dell'abbandono all'incuria e al vandalismo.

Una foto di com’era il Marchiondi di Via Noale, a Baggio, prima dell’abbandono all’incuria e al vandalismo.

Luce e verde sono valori caratterizzanti dell’intero complesso creato per ospitare ragazzi preadolescenti e adolescenti (con un’ammissione tra gli 8 e i 14 anni). Fu concepito quindi non come un riformatorio con un impianto distributivo da collettività uniforme in camerate, bensì con spazi interni organizzati in stanze-letto da 12 unità, senza una necessaria coabitazione notturna tra ragazzi ed educatori, nel preciso scopo di infondere nei singoli individui uno spirito di autonomia. Per gli educatori fu realizzata una vera e propria casa-albergo in porzione tangente al convitto. Allo stesso tempo furono pensati anche un fabbricato di soggiorno collettivo, detto dei “centri di interesse” e di riunione “per gruppi”, edifici scolastici per la formazione e un centro medico. Persino l’arredo interno fu concepito nel rispetto della persona, non con un grande locale guardaroba, ma in un sistema organico di armadi-guardaroba, a doppia fronte, tangenti ad ogni stanza-letto. Ogni letto fu completato su un fianco da un cassoncino in legno privato, per riporre i propri effetti personali. Allo stesso tempo, durante il giorno, nei locali scolastici, ogni ospite aveva in dotazione un proprio banco singolo e un proprio armadietto.

 

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