Ma che città è questa qua: un ventennio di occasioni per Milano.
Dopo il commento sulla nuova esposizione della Pietà al Castello, allargo l’argomento all’intera città e non posso provare un certo disagio sul come è cambiato lo skyline di Milano. Non voglio farne un discorso da passatista legato ai paesaggi e agli scorci della “vecchia Milano”, ma vorrei riflettere con voi sul senso di certe operazioni immobiliari, soprattutto quelle ”verticali”, e sul fatto che queste abbiano effettivamente arricchito il panorama urbano.
Non posso esimermi dal partire con Expo: martedì 12 maggio il quotidiano inglese Guardian ha pubblicato un lungo articolo piuttosto severo del giornalista Oliver Wainwright, critico di architettura e design, dedicato all’Expo di Milano. Riporto alcuni stralci tratti dal Post.it: “Wainwright comincia descrivendo alcuni dei padiglioni, definendoli “un folle collage di tende ondulate, di pareti verdi e di ammassi contorti”. Wainwright ha intervistato Matteo Gatto, direttore del design dell’Esposizione, che ha detto: “Abbiamo cercato di costruire un palco su cui tutti gli attori potessero far sentire la loro voce”, anche se per il giornalista questa voce è decisamente troppo alta. Riassume poi le parole di un attivista No-Expo:“Dovrebbe essere una celebrazione dello slow food, dell’agricoltura locale e del mangiare sano. Lo slogan ufficiale è Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, ma è sponsorizzato da grandi corporazioni come Coca-Cola e McDonald’s. È tutta una truffa”. L’articolo definisce l’Expo di Milano come “la più controversa mai organizzata in Europa”, a causa delle spese sempre più elevate per l’organizzazione, dei ritardi sulla costruzione che avrebbero portato a spendere un milione di euro soltanto per le strutture che coprono i padiglioni non ancora finiti, e per la corruzione che è ancora presente anche nell’Italia “post-Berlusconi”. Molte delle esibizioni dei paesi sembrerebbero più appropriate in una fiera per agenti di viaggio, con immagini di scenari bellissimi mischiate insieme a giochi multimediali e assaggi di cibo tipico. Molti padiglioni vengono definiti kitsch, mentre il Palazzo Italia viene paragonato a un centro commerciale cinese. L’articolo poi passa ad analizzare la programmazione su quello che verrà costruito sul sito di Expo, dopo la fine della manifestazione: prima della costruzione della struttura attuale, che verrà poi smontata, c’erano campi coltivati e campagna, e l’idea iniziale era quella di creare un parco vivibile una volta finita l’Expo, ma il sito è stato coperto da una lastra di calcestruzzo. C’era poi il progetto di riaprire le vie d’acqua di Milano: i lavori sono stati iniziati, prima di scoprire che c’erano problemi tecnici alla base . Wainwright conclude dicendo che a suo parere questa formula di Esposizione Universale è ormai da considerarsi sorpassata e dannosa, poiché lascia una scia di debiti e distruzione dovunque passi”.
Lasciamo ora il sito Expo, che non sta certo a Milano (contrariamente a quanto dicono, se non per un piccolo lembo), ma a Rho, e passiamo adesso a esaminare le grandi operazioni immobiliari che si sono affacciate in città, negli ultimi decenni: non si può non partire dal progetto Porta Nuova, fino a ieri in mano ad un fondo immobiliare della società italo-americana Hines, con a capo l’arch. Manfredi Catella. Le passate giunte la spacciarono come la più portentosa opportunità che la città aveva in serbo, su una sorta di area dismessa, nota ai più come Repubbica-Garibaldi-Varesine. Era in realtà una vasta zona di risulta che il Piano Regolatore Generale degli anni ’60 aveva classificato come “Centro Direzionale”. Doveva diventare, per capirci, la City di Milano, con banche, uffici finanziari, residenze di prestigio, parchi, aree commerciali, comprese aree espositive. Una battaglia legale tra il Comune e un’ impresa costruttrice, spazzata via dagli scandali post tangentopoli, lasciò tutto cristallizzato per circa un trentennio. I progetti ci furono, si susseguirono, ma il piatto della bilancia ad ogni passaggio pesava sempre più dal lato dei privati e sempre meno sugli interessi civici. Fino ad arrivare alle giunte “liberiste” al potere tra la fine del vecchio millennio e quello nuovo che derogarono a tutti gli indici di fabbricabilità e altezza vigente e con un ruolo pubblico sempre più marginale. La fine la sapete e la potete vedere voi stessi, fin da fuori Milano! Una distesa di volumi e grattacieli senza nessun spirito compositivo unitario, oggi per il 60% di un fondo sovrano arabo.
Potremo fare lo stesso discordo per l’altra grande area della città completamente rinnovata: la vecchia Fiera. Rappresentava il sedime di un quadrilatero militare, dove tra l’inizio del sec. XX e il dopoguerra si erano misurati una serie di architetti, di primaria importanza e statura, in padiglioni tra i più avveniristici del periodo, sia dal punto di vista strutturale che stilistico (a questo ci aggiungo anche il limitrofo velodromo Vigorelli!). L’area, di proprietà pubblica, negli stessi anni ’90 viene abbandonata, la Fiera viene spostata in un sito industriale dismesso ben fuori i confini Nord-Ovest della città, noto oggi come Rho-Fiera : le esigenze di bilancio ne impongono la cessione ai privati. Un’asta pubblica la cede a un cartello di assicurazioni che anche qui hanno carta bianca; gli unici padiglioni salvati sono quelli all’ingresso di L.go Domodossola, perché i più vetusti, vincolati dalla Soprintendenza più per ricordarne la destinazione che per vero spirito di tutela. Il resto lo sapete: nasce CityLife, una serie di grattacieli (tra cui il più alto della città noto come Torre Allianz), un quartiere residenziale per nuovi ricchi, il padiglione di Libeskind, e forse un domani lo stadio del Milan al vicino Portello, un’altra area industriale interessata dall’ennesima speculazione targata anni ’90 su un’area dismessa.
L’ultima occasione persa? Le aree ferroviarie e i relativi scali, che potevano fornire un green belt, un ring verde per una città che di natura ormai ne conserva ben poco e che anche l’ultimo Piano di Governo del Territorio ha consegnato all’edificazione “fuori misura”. Per parafrasare il tema di Expo concluderei così: Alimentare Milano di energia per ripartire!
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