Milano che in-canta: nel nome della città la leggenda di una scrofa
Da mesi ormai, come sapete, cerchiamo di spiegare ai ragazzi perchè Milàn l’è un gran Milàn (anche con le sue incongruenze e contraddizioni, per carità!), ma oggi ci avventureremo più in là: scopriremo insieme perchè Milano è così, o meglio perchè la nostra città porta questo nome.
Naturalmente lo faremo alla nostra maniera, e in modo che possa essere divertente anche per i più piccoli, con un finale a sorpresa! Ma andiamo con ordine: vi abbiamo più volte detto come con uno dei simboli della nostra città, o meglio il più antico sia la Scrofa mezzo-lanuta, detta anche di Belloveso (dal nome di uno dei capi delle tribù celtiche che abitavano queste terre prima della romanizzazione). Ne avevamo già parlato tempo fa, nella nostra altra rubrica “la Milano che non si sa”, parlando dei loghi più popolari di Milano, ma oggi vogliamo approfondire il tema entrando nel merito dell’immaginario. E quale strumento migliore che il canto della tradizione per capirne sub-strati, significati e interpretazioni.
La traccia materiale, il reperto archeologico per la precisione, che testimonia dell’importanza di questo leggendario animale risale quindi alle prime genti celtiche abitanti la pianura padana, già qualche secolo prima della comparsa di Cristo. Si tratta di un bassorilievo in pietra del I sec. A.C. , ritrovato nel sito dell’attuale Via dei Mercanti, durante gli scavi per la posa delle fondamenta del medioevale Palazzo della Ragione, nel lontano 1233. Bisognosi di pietrame da costruzione, i mastri non si curarono molto del valore della traccia del passato e usarono il masso, con su inciso un suino selvatico, come imposta di uno degli arconi del nuovo palazzo simbolo del nascente comune. Portateci i vostri ragazzi se non l’aveste mai fatto, e scoprirete anche voi una curiosità nascosta, da sempre a disposizione di tutti!

La leggendaria scrofa riprodotta sul Palazzo della Ragione, lato Via dei Mercanti (foto Robert Ribaudo)
Oggi sappiamo che la scrofa semi-lanuta, era l’animale totemico dei celti insubri. Qualcosa di più di un cinghiale, di cui erano ricche le boscaglie intorno all’antico abitato pre-romano, che i galli amavano cacciare e che nobilitava anche la loro dieta. Era talmente venerata che venne addirittura conservata come arme dei cavalieri celtici, anche dopo l’arrivo dei romani che militavano nel loro esercito. Si tramandò da qui all’insegna del Comune, prima che si adottasse il serpente visconteo che inghiotte il bambino.
Già con lo storiografo romano Tito Livio, nel I sec. A.C., le fonti scritte riportano la tradizione della scrofa come legata alla fondazione della città, che ne porterebbe anche il nome (secondo la dizione che vuole la voce MEDIO-LANUM essere discendente proprio da quel mezzo-lanuta che ne caratterizzerebbe il carattere saliente dell’animale-simbolo). Successivamente fu Claudio Claudiano nel 398 seguito da Sidonio Apollinare nel 440 a tramandarne la leggenda. Ed è probabile che la storia ricalchi quanto raccontato da Virgilio a proposito di Enea, che si incamminò sulla strada di Roma perché messosi all’inseguimento di una scrofa con i suoi piccoli.
Nel XVI sec. la vecchia versione dei fatti, trascinata avanti anche dalla tradizione orale, fu riportata da Andrea Alciati. Questa racconta ancora una volta come Belloveso, a capo dei Galli, fondò la città dove vide una scrofa, lanuta solo sul dorso, e che si narra essere stata bianca.
Da qui il passo è breve per arrivare fino ai giorni nostri… e solo la canzone più popolare potrebbe farsi carico di una versione così “mostruosamente” creativa per spiegare la scelta di un luogo per fondare una grande e nobile città, e per darne anche la ragione del suo nome.
Sentiamone a questo punto insieme la “vera storia”, cantata da Walter Di Gemma.