Chi non vorrebbe vivere in una famiglia che sa sentire davvero?
In effetti la famiglia di cui parlo, e che molti, se non tutti, conoscono già è un gruppo di persone che non hanno il dono dell’udito, ma sentono bene e forte tutto quello che conta. È La famiglia Bélier, protagonista di un bellissimo film campione d’incassi in Francia, che ha conquistato ovunque la critica oltre che il pubblico.
Senza fare alcuna recensione, permettemi almeno qualche doveroso accenno alla storia: tutti i familiari sono sordomuti, tranne la figlia Paula che sembra essere indispensabile a gestire la fattoria e a tradurre attraverso il linguaggio dei segni la comunicazione tra i suoi genitori e il fratello con il resto del mondo. La ragazza (interpretata da una simpatica e brava ex concorrente di The Voice francese) ha un dono: la voce. Un talento che forse la porterà lontano…
Ebbene, il travolgente e contagioso sentire assolutamente anticonformista di queste persone, per un paio d’ore fa sognare a chiunque di poter vivere al centro di una famiglia così: sì, perché questo film ha una capacità unica di far percepire l’handicap finalmente senza alcuna retorica, di più, ha il potere di far cogliere compiutamente quanta quotidiana normalità ci sia anche nella disabilità. Qui c’è un tema non secondario, che è quello dell’abbandono, in questo caso riferito alla figlia che sta per lasciare il “nido” familiare: al primo sguardo, o forse qui al primo ascolto, può sembrare che il solo problema in una famiglia di sordomuti sia il fatto di potersi trovare in difficoltà con la conseguente necessità di dover individuare qualcuno che, al posto della figliola “normo-dotata”, faccia da interprete a tutti… Ma credo che qualunque genitore, se volesse farsi un piccolo ma onesto esame di coscienza, viva comunque il cambiamento, ovvero la maturazione e l’allontanarsi di un figlio ormai cresciuto, un po’ come uno strappo: dunque… non è la stessa, universale “normalità” che sentono i familiari Bélier?
E allora scatta il complimento: bravi i francesi a pennellare questi splendidi ritratti umani, dove la disabilità prende le vere distanze dal conformismo. A riprova di quanto ho appena affermato, ricordo il meraviglioso e mai retorico film “Quasi amici”, la commedia ispirata a una storia vera, di un ricco paraplegico e del suo badante, un ragazzo di periferia di colore, portatore sano di allegria e vitalità: non solo diventano amici, ma il loro legame cambierà le loro vite per sempre.
Di sicuro funziona ben diversamente a Hollywood, dove si mettono in campo storie spettacolari ed esageratamente positive e attori di primissimo piano quando si tratta l’argomento disabilità, quasi si dovesse edulcorare la pillola.
Tutte ottime produzioni, per carità, ma da “Rain Man” a “Il mio piede sinistro”, da “Scent of a woman” a “Forrest Gump” (che però ammetto di aver adorato!), si mette in scena davvero lo spettacolo, si applaude il protagonista che è più vero del vero nel rappresentare un portatore di handicap, sì ma…?
Personalmente ritengo non abbiano la lievità, l’intelligenza, la normale simpatia di queste commedie francesi, specialmente del film sulla Famiglia Bélier, dove è così sensibile la sceneggiatura da far vivere allo spettatore, in modo del tutto fisiologico, in una scena clou, quello che provano i familiari, mentre non possono ascoltare la voce della figlia cantante, ma sentono tutto quello che importa di più. So che il pubblico femminile è più disponibile dei maschietti a vedere questi bei film, ma ho un trucchetto per tutte le donne che ci leggono: al cinema ho sentito una tipa dire “Vediamo la famiglia BELEN??”… Provate a proporre il film al vostro amico/compagno/marito con questo titolo improvvisato: con un’attraente prospettiva del genere, come farà a dirvi di no?