La Darsena di Milano: com’era la vita intorno ai Navigli.
Dopo il nostro intervento sulla vita che si svolgeva sui canali della Milano sull’acqua, vorrei riproporvi un articolo su un luogo speciale della nostra città che oggi sta per essere restituito ai milanesi: la Darsena. Credo che sia istruttivo sapere come nel giro di un secolo, tale luogo abbia cambiato radicalmente identità. Offriamo per questo, a pochi giorni dall’inaugurazione della “nuova” Piazza XXIV Maggio, un altro utile affresco di come i milanesi, anche quelli d’adozione, avevano vissuto la nostra città sino al dopoguerra.
Nell’articolo sui bassifondi della vecchia Milano avevamo visto come la Darsena di Porta Ticinese era stata da tempi immemori luogo di malaffare e sottobosco di traffici illeciti. Ora vediamone il perché e soprattutto scopriamo com’ era questo luogo prima di perdere la sua vocazione di scambio commerciale, funzione principale per cui era nato e cresciuto. Iniziamo quindi col dire che l’idea di realizzare una grande darsena sul luogo di confluenza dei Navigli che si dirigono verso il pavese da una parte e verso il Naviglio di Via Arena (oggi scomparso) in collegamento con la fossa interna, non nacque dal nulla. Sin dal Medioevo infatti esisteva un laghetto sul luogo della Piazza XXIV Maggio, detto di S. Eustorgio, proprio per la vicinanza alla basilica, quartier generale dell’Ordine Domenicano e dell’inquisizione a Milano. Veniva alimentato dalle acque della Vettabbia che percorrendo il borgo di S. Croce, confluivano qui insieme a quelle del fiumi Olona e Seveso, che avevano lentamente attraversato tutta la città.

Una mappa ottocentesca testimonia ancora la fitta rete d’acqua a cielo aperto che gravita intorno al bacino della Darsena.
Tutto filò liscio per le piccole chiatte che portavano materiali dal sud del contado. Ma quando si trattò di far arrivare il marmo per il Duomo, via Ticinello, nel XIV sec., i pesanti blocchi posero problemi di pescaggio, proprio perché le acque non erano molto profonde. Il fondale venne allora dragato tanto da facilitare l’arrivo dei materiali per il cantiere del Duomo. Ma da qui dovevano proseguire su carri trainati da buoi. Solo nel 1439, si ideò un canale che collegava il laghetto di S. Eustorgio alla fossa interna della città (sul lato del Molino delle Armi). Il salto di livello tra il grande bacino d’acqua e la fossa interna fu agevolato dalla costruzione della conca di Via Arena (o Viarenna, chiamata così per via dei resti dell’anfiteatro romano nei pressi).

Tutto ciò che rimane oggi del Naviglio di Via Arena e delle sue conche (Via Conca del Naviglio nella foto di Yorick39)
Solo nel 1603, il vecchio laghetto di Sant’Eustorgio fu trasformato in porto di Milano dal governatore spagnolo, conte de Fuentes. Da quel momento in quello specchio d’acqua, i milanesi cominciarono a vedere di tutto: alcuni vi lavoravano, vi commerciavano, vi facevano il bagno, pescavano e vedevano approdare i barconi provenienti dal Ticino. Sulla piazza attigua (poi XXIV Maggio) si installò il mercato delle bestie da macello e dei cavalli. Rimase luogo di commerci fino al secolo scorso, per chi giungeva in città da sud o per i Navigli. Ma tutta questa mole di merci doveva naturalmente superare legalmente la barriera del dazio (di cui rimangono i caselli ai lati della porta ottocentesca del Cagnola. Il luogo quindi dava adito a contrabbando e fu sempre luogo di malaffare e di sfrosador (gente che frodava il dazio). Questi erano non solo uomini, ma anche donne che nascondevano di tutto sotto le vesti. Facevano base sulle vie a ridosso della confluenza dei Navigli con la Darsena, soprattutto nei magazzini negli interni di Via S. Gottardo, luogo di botteghe artigiane, fabbriche di bambole di porcellana e casere (laboratori di produzione del formaggio). Questi erano disseminate dentro le corti multiple degli isolati delle case di ringhiera che si potevano attraversare fino a raggiungere direttamente il naviglio. Anche tutte queste attività, erano concentrate subito fuori dalle mura, proprio per evitare il dazio di Porta Ticinese, sfuggendo più facilmente al controllo fiscale. E ancora oggi il tessuto abitativo ne è testimonianza.

Il tessuto abitativo a ridosso della Darsena testimonia ancora le profonde corti, una volta animate da mille attività fra acqua e terra
Ma intanto il peso e l’importanza della darsena nel corso del XVIII e XIX sec. aumenta poiché il trasporto fluviale diviene sempre più rilevante. Il traffico delle chiatte cresce come nessuno si sarebbe mai aspettato: si attesta dal 1830 alla fine dell’800, su di una media di 8300 barconi l’anno per la sola darsena di P.ta Ticinese, con un movimento complessivo di 350.000 tonnellate l’anno. Agli inizi del Novecento, con l’industrializzazione, aumenta ancora più incredibilmente l’importanza e il ritmo di crescita del trasporto fluviale per Milano fino a divenire il terzo porto d’Italia per merci trasportate: pietre per costruzione, sabbia, ghiaie, legnami ecc, oltre ai prodotti agricoli ed industriali. Anche sotto l’aspetto del chiasso, il sistema dei Navigli, somigliava, specie qui nel tratto più intensamente commerciale, a un ambiente portuale di una città di mare.
Non dimentichiamo poi gli odori, da quelli delle cibarie, a volte più pungenti che gradevoli, al vero e proprio fetore degli scarichi e spesso della stessa acqua stagnante mischiato a tutti gli altri miasmi. E attorno ai Navigli esisteva tutto un mondo scomparso di sostrari (tenutari di magazzini sul naviglio) e barcaroli da un lato, facchini e carrettieri dall’altro: categorie di gente umile che abitava nei laboratori o in case povere miste a stalle, o in minuti edifici rustici, vicino agli stessi magazzini, per far la guardia alle merci. Qui la facevano da padrone i facchini, soprattutto quelli provenienti dalla val di Blenio (oggi in Svizzera), già presenti a Milano dal XVI sec. prima di stanza in un vicolo omonimo presso la Via Manzoni (ora saturato dalle costruzioni accanto alla Chiesa di S. Francesco di Paola) e poi in Via Torino, presso l’attuale Via della Palla. Pare che la loro particolare parlata e la loro tradizione avesse dato vita alle “bosinate”, un genere letterario in versi meneghino. Lo stesso si può dire degli spazzacamini della Via Magolfa, che si riunivano qui presso una chiesetta ancora esistente, e che qui abitavano tra le case di Via S. Gottardo e il quartiere popolare di Via Gola.
Si può immaginare solo a stento quanto il Naviglio fosse stato importante nello sviluppo industriale e nel Boom economico della città prima della guerra e nel dopoguerra. Nel 1936, il numero delle imbarcazioni transitanti, circa 70 al giorno, superava quello di porti affermati come Bari, Brindisi e Messina, anche se di stazza più modesta per via dei bassi fondali. Nonostante la copertura della rete interna da parte del regime fascista, il Naviglio con la II Guerra Mondiale è ancora una via commerciale efficace (con un traffico annuo di 500.000 tonellate di merci), causa il bombardamento delle normali vie di comunicazione terrestre. Il sistema delle acque e degli uomini che vi lavorano addirittura partecipa alla ricostruzione di Milano dopo i bombardamenti; e ancora nel 1953 la Darsena detiene il tredicesimo posto nella graduatoria dei porti italiani per il ricevimento merci e il terzo per tonnellaggio.
Con gli anni ’70 e il traffico su gomma agonizza la Darsena e il popolo che intorno vi aveva vissuto nella legalità o col malaffare: siamo agli sgoccioli, poiché i costi di trasportano lievitano sempre di più. L’ultimo barcone ormeggia qui per scaricare la sua sabbia nel 1979. L’acqua dei Navigli serve da quel momento solo per irrigare i campi alle porte di Milano e per le foto dei turisti.
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[…] intanto il borgo agricolo si espande e continua sornione la sua vita, lontano dai traffici convulsi della Darsena poco più giù. Vede passare migliaia di barconi che approvvigionano la città di merci e materiali edili. Oggi […]
[…] E’ per questo che più facilmente i carbonai scendevano dalla linea dei canali, costruiti da Gian Galeazzo Visconti per fare arrivare il marmo per il Duomo, da Candoglia, in Val d’Ossola o nelle zone circumvicine (la Val Grande, la Val Vigezzo, Fondotoce, sopra il lago Maggiore), valli peraltro da cui provenivano uomini che si dedicavano a mestieri affini, come gli spazzacamini, dove a Milano costituivano una folta comunità. […]