Milano dal cuore grande anche coi più piccoli: quando l’infanzia abbandonata trovava una casa.
Dei bimbi di Milano abbiamo parlato tante volte, ma un po’ meno di come vivevano e delle possibilità che potesse avere l’infanzia abbandonata o svantaggiata. Oggi ci riproponiamo di fare un excursus nella storia della nostra città vista con gli occhi di un bambino.
Il primo che si accorse del mondo dei bimbi, dei loro bisogni e della loro dignità, fu proprio un milanese, l’arciprete del Duomo, Dateo. Costui, nell’antico quartiere dei Due Muri (pressappoco dove oggi passa la Via Silvio Pellico, dietro la Galleria), sin dall’VIII sec., presso la scomparsa chiesetta di S. Salvatore, aveva organizzato strutture d’accoglienza, per porre rimedio alla terribile piaga dell’abbandono dei minori, spesso illegittimi, che affliggeva la città del periodo. Si tratta in assoluto del primo pubblico ricovero aperto in Europa, dal 787: è ancora più particolare poiché la struttura è specificatamente fondata in un casa acquistata per dare rifugio all’infanzia abbandonata. I bambini venivano qui allattati e mantenuti sino all’età di 7 anni, avviati a qualche professione artigianale e poi accompagnati a vivere in maniera indipendente. Vista e riconosciuta l’encomiabile, e senza precedenti, opera condotta da Dateo, l’arcivescovo Anselmo I in persona, nell’815 si mosse a pietà, donando molti beni all’hospitale (così come veniva chiamato il ricovero). Divenuta obsoleta e insufficiente la struttura fu un altro arcivescovo, Landolfo da Carcano, alla fine del X sec. a spostarne la sede nel più capiente monastero di S. Celso (presso l’attuale Collegio Militare gen. Teullié in Corso Italia). Ma la vera svolta nella lotta all’abbandono dei minori fu impressa con la fondazione della Pia Casa degli Esposti, con sede presso il Collegio femminile di suore agostiniane di S. Caterina.
Nasce così il famoso Ospizio degli Esposti noto come S. Caterina alla Ruota, trasferito di fronte alla Ca’ Granda solo nel 1618 (e anch’esso scomparso, sul naviglio di Via Francesco Sforza, dove ora c’è il Pronto Soccorso del Policlinico). La Ruota, come dice il nome stesso, era un meccanismo rotante (per metà installato dentro le mura e per metà in esterni) che permetteva l’abbandono del minore in sicurezza (cioè non per strada, al freddo e al gelo) e garantendo allo stesso tempo l’anonimato della genitrice. Soppressa la struttura religiosa alla fine del XVIII sec., il convento femminile divenne, dopo la riorganizzazione delle strutture sanitarie voluta dall’imperatore Giuseppe II (figlio di Maria Teresa d’Austria) padiglione ospedaliero, specializzato proprio nell’ospitalità di ragazze madri e trovatelli. Vengono concentrati qui presso l’Ospedale Maggiore, i fanciulli accolti presso le più piccole strutture disseminate sul territorio della città (non poche in verità!!): tutti gli “esposti da latte” e i “figli da pane”, adottando a brefotrofio l’ex convento (per soli illegittimi).
Ma con lo stesso Giuseppe II, la pratica della ruota tra il 1781 e il 1787, viene soppressa, per arginare il fenomeno dilagante dell’abbandono, obbligando così le puerpere a presentarsi alle strutture preposte. Nel 1791, Leopoldo II, successore del sovrano d’Austria, ne decreta la riapertura, dovendo constatare l’insuccesso delle politiche pregresse. Questa struttura provvedeva al mantenimento di 7500-8000 bambini abbandonati, di cui 250 allevati all’interno, fino all’età di quindici anni, quando veniva assegnato loro un tutore: tutti gli “esposti” portavano il cognome “Colombo”, per questo ancor oggi molto frequente nel milanese , che venivano così nominati in memoria dello stemma dell’Ospedale Maggiore da cui la struttura dipendeva strettamente. A Napoli il cognome dei trovatelli accolti in analoghe strutture, era, guarda caso, Esposito: un nome che evidentemente deriva proprio dal fatto che ognuno di loro fosse un “esposto” sulla ruota.
I molti bimbi non ospitati in tali strutture, erano in qualche modo seguiti a distanza, tramite assegnazioni nelle campagne a genitori adottivi. Le puerpere monitorate dall’ospedale venivano dotate di un assegno e una coperta. Il quadro statistico elaborato dal Consiglio Provinciale nel 1865 sulla base dei prospetti annuali redatti da Andrea Buffini e Angelo Leonesio – direttori del brefotrofio di Santa Caterina dal 1842 al 1866 – dimostra che nel solo periodo compreso tra il 1845 e il 1864 furono accolti nell’orfanotrofio milanese 85.267 bambini, con una media annuale di 4.263 abbandoni, corrispondenti a quasi un terzo di tutti i nati in città! Ma accanto al classico brefotrofio, la Milano dell’accoglienza per l’infanzia, povera di mezzi, offriva una serie di strutture capaci di avviare qualunque individuo svantaggiato ad un’onesta vita lavorativa, svolgendo attività di supporto alle famiglie sia nell’educazione di sani principi morali, sia nel sostentamento materiale.
Abbiamo parlato a proposito di questo nei nostri passati interventi su istituzioni milanesi filantropiche come i Martinitt e Stelline, o come il Marchiondi-Spagliardi per i bambini discoli. Insomma, Milano prometteva sin da piccoli assistenza e possibilità, anche di riscatto sociale, tanto da credere a chi ti diceva: Nessuno, ma proprio nessuno, rimarrà indietro!
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