Perchè si chiama slogan?
Oggi mi cimenterò nella spiegazione etimologica del termine slogan. Per cominciare, essendo una copywriter pubblicitaria da tanto tempo, mi sono un po’ vergognata di non essermi mai chiesta l’origine di questa parola prima di oggi… Vero è che slogan è roba da soffitta da trisavoli (come quella della nonna di MastroLindo… visto che adesso negli spot ha fatto la sua discutibile apparizione, seconda solo a quella della nonna di Coccolino di tempo fa!) perché chi si occupa di marketing si farebbe tagliare a fettine julienne la lingua piuttosto che pronunciare una parola così desueta. Oggi ce ne sono di più specifiche e di sicuro in testa alle classifiche figura il cosiddetto “claim”. Ma torniamo allo slogan: ho scoperto che l’origine è gaelica, in particolare “slaugh” vuol dire “moltitudine di spiriti” e “ghairm” significa “urlo”. Per i Celti provenienti da aree della Scozia, lo Slaugh-ghairm era il grido di battaglia dei morti. Più avanti la parola ha abbracciato un significato più ampio, legando il concetto a “gruppo di persone”, più vicino all’accezione moderna di slogan che si delinea come frase/concetto a effetto, capace di colpire l’immaginazione di tante persone. Tutti poi quando parlano di annunci pubblicitari si fanno facilmente rapire dall’immagine, ma lasciate che una creativa che scrive testi, spezzi una lancia in favore proprio degli slogan! In Italia gli esempi sono infiniti e rimasti nella memoria nei secoli dei secoli di tutti i fruitori, ma quest’oggi voglio fare una piccola e rapida celebrazione delle meravigliose campagne stampa prodotte a partire dagli anni Sessanta dall’agenzia USA fondata da Bill Bernbach, DDB (presso il cui Gruppo in Italia ho avuto il privilegio di lavorare): quella stracelebre del Maggiolino della Volkswagen.
Certo il format creativo delle pagine era già modernissimo, come si vede dalle immagini. Pulitissimo, leggero, con il solo Beatle come protagonista… ma così denso di creatività. Però gli slogan (e il testo a seguire, la famosa body-copy) erano mirabili. Partite dall’idea che alla fine della II Guerra Mondiale gli Statunitensi non vedevano ancora di buon occhio i prodotti tedeschi. In più il Maggiolino era una reliquia della Germania nazista, dalle linee poco affascinanti per l’epoca. Un brutto anatroccolo come avrebbe potuto brillare in mezzo alla concorrenza, pubblicizzato poi con messaggi che sottolineavano il lusso e la spaziosità delle macchine, soprattutto a favore delle famiglie in crescita negli USA?

Che parole e immagini usare per pubblicizzare un’auto piccola e non deluxe negli anni in cui negli USA andavano di moda queste cosine?
Bernbach scelse di trasformare i difetti in virtù, noialtri pubblicitari diremmo i minus in plus. Nacquero così splendide pagine pubblicitarie come queste due.
“Lemon” è il primo di questi claim, scusate, diciamola all’antica… slogan. Il termine, tradotto dall’inglese, significa “Scartato”. Cosa voleva dire? Che per il rigore dei test a cui veniva sottoposto, un Maggiolino, un Beatle come quello nella foto poteva essere eliminato anche a causa di un solo piccolo difetto. C’è uno slogan migliore per parlare di affidabilità e sicurezza?
E poi l’indimenticata “Think small”.
Nella società americana l’imperativo era pensare in grande in tutti i sensi, ma ancor più, come si diceva, nel settore automotive, perché le auto tanto più erano grandi, tanto più erano eleganti o comunque perfette per la vita delle famiglie americane. E invece con questa pubblicità si sottolineava (anche con la bella immagine in cui il prodotto era piccolissimo… provate a dirlo adesso a un’azieneda di scegliere una campagna così, con il suo prodotto quasi invisibile!) la “grandezza” di una vettura pratica, che aveva tutto ciò che ci voleva e nulla più. E per concludere sempre con una parola, avrete notato che fatalmente il termine Beatle si associa sempre a qualcosa di molto, molto amato dal pubblico. Proprio come recitava un altro slogan: “Comunque vada, sarà un successo”.