Nella vecchia fattoria: le vie degli animali a Milano.
Girando per la nostra città, forse non ci siamo mai accorti che un numero non esiguo di strade sono dedicate ad animali. Il perché è presto detto: non tanto per uno spirito di storica affezione per le bestie domestiche, addomesticate o da fattoria, ma come testimonianza di come la vita agreste, almeno fino al XIX sec. si spingesse fin dentro il centro cittadino. A memoria di questa vita rurale che ancora oggi impregna di sé alcuni angoli della nostra città, non è raro trovarsi di fronte a nuclei di sistemi produttivi legati a fondi agricoli, come cascine, magari oggi trasformati in condomini. Più facilmente alcune vie ricordano nel loro nome il fatto che lì si svolgevano alcune attività legate alla vita di campagna, più che a quella cittadina che intorno si andava via via sviluppandosi. Iniziamo allora da questa categoria di toponimi con quelli che si trovano intorno alla Ca’ Granda (ex Ospedale Maggiore e oggi Università degli Studi).
Qui oltre al ben noto Convento di S. Antonio (nella via omonima), dove si allevavano i maiali, c’è la via Bergamini, il cui nome secondo alcuni deriva da alcuni allevatori di mucche da latte e casari originari della bergamasca. Più anticamente, alcune contrade (così si chiamavano le strade ) oggi scomparse, sempre nella stessa zona, prendevano il nome di via del Pesce (un tratto dell’odierna Via Paolo da Cannobbio), dove pare si svolgesse un antico mercato del pesce fluviale, portato qui attraverso il Seveso che arrivava nei pressi; o vicolo delle Quaglie (un angolo malfamato del Bottonuto, ormai scomparso, in un lotto fabbricato che va fra l’attuale Via Albricci e la Via Baracchini). Non lontano, al Cordusio, in contrada degli Orefici, vi erano la Via del Gallo e delle Galline, o Pasquèe di Gainn, come veniva detta originariamente, indicando con tale termine un campo dedicato al pascolo, una sorta di aia dove far razzolare le galline. Lo stesso antico termine ricorre in un’altra zona più prossima al Corso Vittorio Emanuele, ancora di recente conosciuta come Pasquirolo. In questo caso si era in presenza di un pasquèe per pecore, un vero e proprio campo acquitrinoso, e per questo libero da edifici, a ridosso dell’abside del Duomo. Non lontano, non a caso, abbiamo ancora oggi la Via Agnello, animale riprodotto su una lapide ritrovata in loco e poi murata sopra il portale di un edificio.
Sempre in centro, una traversa di Via Torino ricorda il più famelico degli animali selvatici, il lupo: si tratta di quella Via Lupetta, già contrada della Lupa, per via di un laboratorio di un fabbricante d’armi, forse il primo in città, che aveva qui come insegna la testa di una lupa (simbolo molto comune fra gli armaioli, soprattutto fra quelli milanesi), che era riprodotta su una lapide murata sull’edificio. Stessa cosa, per analogia si può dire di Via della Cerva (parallela interna di Via Visconti di Modrone), perchè la tradizione la vuole legata ad un’antica locanda medioevale detta della Cervia o Cerva.
Molte altre strade, alcune ancora esistenti, altre scomparse, ricordano antiche professioni svolte grazie allo sfruttamento di prodotti animali. E’ il caso di Via dell’Orso, il cui nome è memore del fatto che durante l’epoca romana qui fossero ubicate le botteghe dei conciatori di pelli (lupi, montoni e anche orsi), con le relative insegne. Stessa cosa si può dire della scomparsa contrada dei Pellizzari, (sull’area dell’attuale Piazza Duomo), dove c’erano i banchi dei pellicciai, mercanti di pelli ovine, o della Piazza della Pescheria minuta (in un area localizzata pressappoco dove oggi c’è la facciata del Duomo) dove si vendevano gamberi e pesciolini piccoli almeno dal XII sec., o della pescheria Grossa (dove oggi la Via Mercanti si innesta su Piazza del Duomo). Nei pressi di S. Vittore, sul luogo dell’attuale Via Zenale, esisteva fino all’inizio del XX sec. la contrada delle Oche. Seppur alcuni parlino dell’esistenza in tale luogo di un antico mercato dei suddetti pennuti, pare invece che il toponimo facesse riferimento più probabilmente all’epiteto “Oche” dato dai popolani a certe monache (quelle del vicino Convento delle Cappuccine della Madonna di Loreto) per via delle loro cuffie con bianche tese ad ampie ali.

Busti dei Visconti sulla facciata dell’Hotel Cavalieri, in ricordo del luogo dove sorgeva la Ca’ de Can, loro prima dimora signorile (foto Robert Ribaudo)
Altri luoghi storici di Milano ricordano attività svolte con l’ausilio di alcuni animali come la Via Falcone, il cui nome pare derivi dalla presenza di una falconiera che nel XIV sec. Bernabò Visconti, abile cacciatore, teneva qui, non lontano dalla sua dimora chiamata per altro Ca’ de Can (nell’isolato dove oggi c’è l’Hotel Cavalieri, in Piazza Missori), per la presenza massiccia di cani da caccia, a cui spesso venivano dati in pasto i suoi creditori o avversari. I mastini – fino a 5.000! – erano mantenuti peraltro dai cittadini e risiedevano nei cortili dell’enorme fortilizio.
Altre località ancora ricordano la presenza di certi particolari animali. Possiamo portare il caso del Ronchetto delle Rane, in fondo al Gratosoglio, o del Portico dell’Elefante, presso il Castello Sforzesco, dove fu riprodotto nel XV sec. dal Ferrini questo esotico animale, molto probabilmente dono di qualche signore ai duchi di Milano, che lì risiedevano.

Notturno sul Portico dell’Elefante (foto Ciabattine). In fondo sulla sinistra si intravede l’affresco con la sagoma del curioso animale.

Particolare del portico dell’Elefante con l’esotico animale in primo piano (foto Giovanni Dall’Orto)
Vorrei chiudere con un’ulteriore curiosità: se pensaste di mostrare ai vostri bambini in Via Aquila qualche esemplare di questo nobile volatile, vi sbagliate. Ma degli animali li troverete comunque, perchè qui ha sede… il parco-canile cittadino!
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[…] della pianura alluvionale del milanese ci ha regalato per secoli, così come avevamo fatto per le strade che hanno preso il nome di alcuni animali. Anche il preambolo è identico a quello svolto in occasione della toponomastica legata agli […]
[…] il famoso quartiere dove la selvatica erba urticante era davvero infestante, o da termini come Pasquirolo (o pasquèe, in dialetto) che indicava per i vecchi milanesi, la zona umida libera da costruzioni […]
[…] Conviene allora raccontare dall’inizio questa storia, che è ormai leggendaria, soprattutto perché legata agli anni di vita che Leonardo da Vinci passò a Milano, alla fine del XV sec., chiamato dal duca Lodovico il Moro a risolvere una serie di questioni tecnico-ingegneristiche, nel quadro degli scambi commerciali e culturali tra corte medicea fiorentina e quella sforzesca milanese. All’interno dell’attività svolta da Leonardo a Milano, che vantava anche interventi artistici, di spessore talmente elevato, da dar vita anche ad una vera e propria scuola, c’era, non ultimo l’affresco per il refettorio del convento domenicano di S. Maria delle Grazie, poi noto come Cenacolo. Sappiamo come il complesso sorgesse, in quel quartiere ribattezzato delle Grazie appunto: in realtà un piccolo borgo, l’unico fuori dalle mura, se tralasciamo quello degli Ortolani di ben altra natura, poichè diviene ben presto uno dei più importanti della città, per ricchezza e decoro. Premeditatamente attraverso regalie e promozioni fondiarie, il duca lo promuove a luogo privilegiato, con nuovi insediamenti dei più fidi cortigiani degli Sforza: i Vimercati, gli Atellani, i Botta, i Guiscardi, gli Stanga, i Sanseverino. Pare che fosse addirittura collegato direttamente al Castello attraverso dei camminamenti sotterranei con i quali si potesse facilmente guadagnare la via per la campagna. In questo quartiere, con al centro proprio la chiesa bramantesca di S. Maria delle Grazie, Lodovico il Moro regala nel 1498 al suo fido ingegnere di corte, milanese d’adozione ormai, un terreno di quasi 10.000 mq coltivati a vigna, per lo splendido lavoro che aveva condotto anche al Cenacolo e soprattutto per non farlo sentire troppo lontano dai suoi vigneti fiorentini. Ora della sorte e della posizione esatta di questo vigneto si erano perse le tracce da tempo: dalla confisca dei beni dei più fidi servitori di Lodovico il Moro, all’arrivo dei francesi (il fondo fu poi riottenuto da Leonardo solo dopo essersi messo a servizio di Luigi XII, re di Francia), fino all’edificazione stratificata dell’intero quartiere soprattutto dopo i devastanti bombardamenti del 1943. Sappiamo che doveva essere ubicato in un lotto alle spalle dell’attuale Palazzo delle Stelline, compreso tra l’attuale Via de Grassi e Via dei Togni, e che con un diritto di passaggio Leonardo o il suo fittavolo poteva raggiungere la vigna attraverso il giardino della Casa degli Atellani, poiché la Via Zenale a quel tempo non c’era ancora, seppur già vi fosse il progetto di collegare con un passaggio S. Vittore con l’attuale Corso Magenta (fu aperta solo nel 1506 sotto Luigi XII, molto probabilmente su consiglio dello stesso Leonardo, e chiamata per secoli Contrada delle Oche). […]
[…] Maggiore e S. Tecla) e due battisteri! La piazza medioevale, dove ogni giorno si teneva il più animato mercato del Nord Italia, contava una serie notevole di logge per i commerci e per le corporazioni e – pensate – […]
[…] trovare cascine (abbandonate), borghi rurali totalmente riutilizzati per abitazioni, toponimi e vie che ricordano come in un passato prossimo o più lontano la campagna stava proprio nel centro della […]
[…] Conviene allora raccontare dall’inizio questa storia, che è ormai leggendaria, soprattutto perché legata agli anni di vita che Leonardo da Vinci passò a Milano, alla fine del XV sec., chiamato dal duca Lodovico il Moro a risolvere una serie di questioni tecnico-ingegneristiche, nel quadro degli scambi commerciali e culturali tra corte medicea fiorentina e quella sforzesca milanese. All’interno dell’attività svolta da Leonardo a Milano, che vantava anche interventi artistici, di spessore talmente elevato, da dar vita anche ad una vera e propria scuola, c’era, non ultimo l’affresco per il refettorio del convento domenicano di S. Maria delle Grazie, poi noto come Cenacolo. Sappiamo come il complesso sorgesse, in quel quartiere ribattezzato delle Grazie appunto: in realtà un piccolo borgo, l’unico fuori dalle mura, se tralasciamo quello degli Ortolani di ben altra natura, poichè diviene ben presto uno dei più importanti della città, per ricchezza e decoro. Premeditatamente attraverso regalie e promozioni fondiarie, il duca lo promuove a luogo privilegiato, con nuovi insediamenti dei più fidi cortigiani degli Sforza: i Vimercati, gli Atellani, i Botta, i Guiscardi, gli Stanga, i Sanseverino. Pare che fosse addirittura collegato direttamente al Castello attraverso dei camminamenti sotterranei con i quali si potesse facilmente guadagnare la via per la campagna. In questo quartiere, con al centro proprio la chiesa bramantesca di S. Maria delle Grazie, Lodovico il Moro regala nel 1498 al suo fido ingegnere di corte, milanese d’adozione ormai, un terreno di quasi 10.000 mq coltivati a vigna, per lo splendido lavoro che aveva condotto anche al Cenacolo e soprattutto per non farlo sentire troppo lontano dai suoi vigneti fiorentini. Ora della sorte e della posizione esatta di questo vigneto si erano perse le tracce da tempo: dalla confisca dei beni dei più fidi servitori di Lodovico il Moro, all’arrivo dei francesi (il fondo fu poi riottenuto da Leonardo solo dopo essersi messo a servizio di Luigi XII, re di Francia), fino all’edificazione stratificata dell’intero quartiere soprattutto dopo i devastanti bombardamenti del 1943. Sappiamo che doveva essere ubicato in un lotto alle spalle dell’attuale Palazzo delle Stelline, compreso tra l’attuale Via de Grassi e Via dei Togni, e che con un diritto di passaggio Leonardo o il suo fittavolo poteva raggiungere la vigna attraverso il giardino della Casa degli Atellani, poiché la Via Zenale a quel tempo non c’era ancora, seppur già vi fosse il progetto di collegare con un passaggio S. Vittore con l’attuale Corso Magenta (fu aperta solo nel 1506 sotto Luigi XII, molto probabilmente su consiglio dello stesso Leonardo, e chiamata per secoli Contrada delle Oche). […]
[…] per la presenza dei mercanti stranieri. La piazza medioevale, dove ogni giorno si teneva il più animato mercato del Nord Italia, contava una serie notevole di logge per i commerci e per le corporazioni e – pensate – ben 16 […]