Gita in campagna… anzi, in castagna!
Dopo gli ultimi week-end di sole delle ultime settimane di ottobre non è raro che si siano organizzate delle belle scampagnate fuori porta a cercare castagne e/o funghi. Se questo bel rito autunnale non si è ancora compiuto, esorto i genitori a portare i loro bambini nei boschi, all’aria aperta, dove una produzione un po’ scarsa e tardiva (per via del clima umido di quest’estate) riserva ancora qualche possibilità di buon raccolto, soprattutto lungo i sentieri ancora poco battuti dai vacanzieri della domenica.
Quella della raccolta delle castagne è oggi più che altro l’occasione per una bella gita ma un tempo, fino ad un ad un recente passato (soprattutto durante le guerre mondiali e nell’immediato dopoguerra), la castagna era in talune aree alpine e prealpine l’alimento principale della popolazione rurale per quattro-sei mesi l’anno. Grazie alla fioritura tardiva, che avviene tra giugno e luglio, e al notevole vigore vegetativo, il castagno è capace di fruttificare anche nelle annate meteorologicamente avverse. E la castagna, che rappresenta l’ultimo raccolto dell’annata agraria, fu talvolta preziosa anche per le terre di pianura più prossime, salvate dalla fame in occasione di carestie e di produzioni cerealicole particolarmente scarse. I contadini e gli attori dell’economia silvo-pastorale sapevano bene che in caso di bisogno un castagneto poteva diventare una miniera di sostanze nutritive. Permette infatti una produzione calorica per ettaro di 2-3 volte superiore a quella dei cereali tradizionali, quale ad esempio la segale. Nel Medioevo una famiglia di quattro persone riusciva addirittura a sopravvivere per un anno intero alimentandosi principalmente dei frutti forniti da una piccola selva di una cinquantina d’alberi. Così, la rusticità dell’albero, l’elevato valore nutritivo e la lunga conservabilità del frutto, quando opportunamente trattato, hanno fatto del castagneto una coltura antica e a lungo prediletta, anche dopo il XVI sec., periodo che vede l’avvento del mais e della patata, le nuove materie prime dell’alimentazione dei ceti più umili. Il suo valore era legato anche alla molteplicità dei prodotti ricavabili: frutta, foraggi, legna, strame e soprattutto i funghi che nel sottobosco umido, proliferano in gran quantità.
L’importanza di questa coltura è tale che numerosi statuti comunali antichi, soprattutto nelle zone prealpine e appenniniche, trattano del castagneto, della sua coltivazione, cura e tutela: l’uso di “dare la selva”, di consentire cioè, dopo una certa data, il recupero dei frutti lasciati a terra, rientrava tra le antiche consuetudini. E ancora oggi come ieri, i frutti del bosco sono motivo di dispute e contrasti tra castanicoltori e gitanti provenienti dalla pianura. Ma è quando si torna dalla scampagnata che si gode della bontà del frutto. In cucina! Qui oltre per la classica caldarrosta o per la castagna lessata, è nota per un’infinità di possibilità: la pasta e il pane sono due utilizzi della farina di castagne ad esempio; poi ci sono i dolci (ma senza esagerare perché sono delle vere e proprie bombe caloriche!) come il Castagnaccio, il Montebianco o i marrons glacés; per chi la usa da professionista, inoltre, c’è la granella secca per guarnire o da aggiungere allo yogurt.
Ma il valore ecologico della castagna sta anche nel suo albero imponente e longevo, che è diverso dall’ippocastano (si differenzia dal frutto che non possiede ciuffetto sul capo) e che cresce rigoglioso anche lungo i viali delle nostre città. Il castagno ha un portamento maestoso, con chioma espansa più o meno rotondeggiante. Si eleva mediamente a un’altezza di 15-20 metri, ma taluni esemplari toccano e superano i 30 metri. Il fusto, eretto e ramificato a breve altezza, può raggiungere, nella parte basale, anche diametri di 2-3 metri. Le infiorescenze che poi danno il frutto, protetto da un riccio, si sviluppano sempre sui rami dell’annata, sulla parte più esterna della chioma, sviluppandosi così con buone condizioni di illuminazione e soleggiamento.
In Lombardia, molti sono i tipi e le località in cui sono presenti, in una fascia climatica temperata e umida (ma non troppo!), e dove si possono trovare questi frutti, conosciuti come castagne o marroni. Pare che dal punto qualitativo non ci sia differenza! Il valore è solo commerciale: possono fregiarsi del titolo di “marrone” solo quei frutti di pezzatura superiore alla media. I francesi, oltre alla pezzatura, utilizzano come criterio distintivo tra marroni e castagne proprio la percentuale di frutti settati (gemelli): sono definiti marroni le varietà con più dell’88% di frutti interi. Le zone dove più facilmente, per chi esce da Milano, si possono trovare le castagne si concentrano nella fascia boschiva prealpina che dalla Brianza sale verso il comasco e per il varesotto.
Qui voglio segnalarvi, la zona del Campo dei Fiori, sopra Varese, dove oltre all’ampia distesa di boschi c’è un piccolo e delizioso paese, tutto in pietra, Brinzio, noto soprattutto per il Museo della civiltà contadina. In questa località ogni anno si svolge una particolare festa dedicata alla castagna: l’ultima domenica di ottobre la Pro loco organizza la “Festa attorno alla grà” (termine dialettale che indica il locale dove si essiccavano le castagne) con dimostrazione dei metodi naturali di conservazione delle castagne e degustazione.
Ma in questo periodo tutta la Lombardia si anima di sagre dedicate a questo frutto autunnale. Buona gita!